connessioni-rete-social-networkSiamo in un mondo che tende a separare e a categorizzare, tipico del pensiero critico, cioè il pensiero che serve per farsi un giudizio chiaro; pertanto, separa, divide, analizza, fino ad arrivare a qualcosa di stabile e definito.

La mancanza di dialettica

La mancanza ormai del senso dialettico, comporta immediatamente la mancanza del senso della storia, del divenire, del movimento, che comporta magari discutere all’infinito, secondo formule astratte, se è un bene che lo Stato intervenga nell’economia o se, viceversa, il mercato debba essere completamente libero o parzialmente regolato.

Sentiremo discutere all’infinito se la legalità va o meno rispettata a prescindere o se, al contrario, è necessario infrangerla in caso di leggi che sono ritenute ingiuste.

È evidente in tempi recenti, l’opposizione, apparentemente irrisolvibile, fra il pensiero utopico o ideale e quello realistico, incapace, di pensare la vita che è sempre, assieme, utopistica e realistica.

Basti pensare alle dicotomie che nascono nell’ambito del cosiddetto pensiero bioetico, dove ci si scontra e ci si urta su concetti quali quello della vita e della morte che, presi in sé e per sé, astrattamente, finiscono col non avere senso mentre, se è vero che la morte ha un senso solo perché c’è la vita e che, se la vita dà un senso alla morte, anche la morte dà un senso alla vita.

Pensiero dialettico e pensiero critico

Solo se si recupera il pensiero dialettico, si può recuperare il senso della filosofia e delle altre scienze umane che, in qualche modo, entrano con essa in relazione, per dare un senso alla stessa scienza propriamente detta. Mentre oggi, la cultura si fonda nel pensiero critico che si propone di raggiungere un giudizio attraverso processi mentali di discernimento, analisi, valutazione, inferenza e comprende processi di riflessione su aree specifiche, con l’intento di formarsi un giudizio solido che riconcili l’evidenza empirica con il senso comune.

Il pensiero critico tenta di circoscrivere e isolare le cose, con la chiarezza, l’accuratezza, la precisione e l’evidenza, che crea oggi figure iper specialistiche su ogni singolo argomento.

L’esempio di Leonardo Da Vinci

Oggi non potrebbero esistere figure ibride come Leonardo Da Vinci, che aveva la caratteristica di essere artista, scienziato, progettista, inventore e chi sa cos’altro; quello che oggi noi chiamiamo genio rinascimentale.

Noi attribuiamo a quell’epoca la valorizzazione di tutte le potenzialità umane alla base della dignità dell’individuo, con il rifiuto della separazione tra spirito e corpo, dove la ricerca del piacere e della felicità mondana non sarebbero più rivestite di colpevolezza e disonestà, ma anzi elogiate in tutte le sue forme, ma nel contempo ne rifugiamo.

Nel rinascimento viene dato un nuovo valore alla dialettica, allo scambio di opinioni e informazioni, al confronto. Il rinnovamento culturale si manifesta con la trasformazione dell’educazione scolastica.

Fino ad allora i libri e il metodo didattico usato nel Trecento consisteva nell’adottare i testi medioevali da imparare a memoria, mentre il rinnovamento operato dagli studia humanitatis si esprime nel nuovo concetto di preparare i cittadini esperti delle nuove professioni e insieme in grado di gestire la cosa pubblica. Vale ancora la definizione aristotelica e ciceroniana di uomo come essere politico, che deve occuparsi della res publica.

La scuola deve preparare gli studenti, presentandogli i grandi modelli del passato con lo studio finalizzato alla formazione dello spirito sociale. Tutto questo ci dovrebbe far riflettere sulla differenza che oggi noi facciamo dividendo discipline scientifiche dalle discipline umanistiche, studiate separatamente come se fossero in due mondi diversi, figlia di un pensiero riduzionista, che specializza all’esasperazione, perdendo il collegamento con il resto, in qualunque settore.

Quel pensiero che elimina ogni aspetto possibilmente metafisico della mente tentando di superare il problema mente-corpo, riducendo la mente a proprietà o aspetto del corpo e negando qualsiasi forma di dualismo, assumendo che la mente si manifesti soprattutto in due aspetti, il cervello e il comportamento.

Riducendo la mente a questi aspetti, si propone di studiare solo questi, senza fare altre assunzioni su una eventuale realtà oltre o dietro questi fenomeni.

Questo concetto riduzionista e iper specialistico di oggi, ha dei grossi limiti evidenti, infatti se solo facessimo riferimento al nostro sistema nervoso, scopriremmo che non è il numero di neuroni che fa l’intelligenza, ma è l’interconnessione tra loro (sinapsi) che rende potente la macchina umana nel suo complesso.

Ogni volta che si studia, si legge si impara, non bisogna mai smettere di mettere in relazione, cercare le connessioni e trovare anche quella sottile trama di congiunzione con il resto.

Francesco Melzi, Pompeo Leoni e i codici Da Vinci

A tal proposito, bisogna ricordare che esiste una raccolta di scritti di Leonardo Da Vinci, i famosi codici Da Vinci, quella serie di appunti fatti dal grande Leonardo in una vita, presi da un certo Francesco Melzi, discepolo di Leonardo Da Vinci che raccolse le opere e gli scritti di Leonardo, secondo le volontà espresse in vita dal suo maestro, e che stampò quello che al nostro secolo prende il nome di Trattato della Pittura.

Fece seguito la pubblicazione unica del codice Urbinate 1270 che raccoglieva pensieri e riflessioni, scritti e disegni preparatori di Leonardo. Il figlio di Francesco Melzi, Orazio, lasciò tutto il patrimonio di Leonardo, conservato meticolosamente per anni dal padre Francesco, a Pompeo Leoni, scultore ufficiale del Re di Spagna Filippo II, con la promessa di ricevere in cambio una carica pubblica presso il Senato di Milano.

Questo Pompeo Leoni fu responsabile della nuova organizzazione degli scritti e del loro smembramento, suddividendo gli scritti per categoria e argomento, quindi di fatto destrutturando le connessioni che Leonardo Da Vinci aveva lasciato nei suoi scritti, addirittura strappando delle pagine e ricollocandole in posti diversi.

Questo perché sicuramente questo Pompeo Leoni non era in grado di capire gli appunti e le connessioni mentali di Leonardo, anche perché magari spinto dal ricavare dalla vendita una somma di denaro più alta, era più facile vendere i diversi argomenti.

Ma il modello di Leonardo era un modello rinascimentale, per cui potevi saltare da un argomento ad un altro, dalla politica alla filosofia alla scienza o alla pittura, senza chiedere il permesso.

Perché il suo pensiero non era per categorie, per cui l’aspetto scientifico non era scollegato dall’aspetto umanistico o da qualsiasi altro aspetto, capace di immaginare cose che una mente schematica e riduzionista non avrebbe potuto concepire. Focalizzare oggi lo studio per compartimenti stagni, è un modo di separare anche le menti.

Qualcuno potrebbe anche obiettare che se non ci fossero limiti e confini ad uno studio, non si finirebbe mai di studiare. Infatti, il problema è proprio quello, la convinzione che ci sia un tempo per lo studio e un tempo per l’applicazione. Questa è una cosa fuorviante. Perché bisogna capacitarsi che lo studio e la ricerca delle interconnessioni della conoscenza, durano tutta una vita.

E non bisogna avere l’illusione di avere il controllo di una cosa che si conosce a fondo e quindi quasi di averne il possesso.

Einstein e Prigogine: la mente e il sistema aperto

Einstein, che sicuramente non era solo un fisico, disse: “la mente funzione come un paracadute, funziona solo se si apre”, intendendo quindi, una mente anche libera da condizionamenti, pregiudizi e schemi mentali precostituiti. Tanti studiosi, partendo da punti completamente diversi, arrivarono alla stessa conclusione, dell’importanza delle connessioni.

Ilya Prigogine, premio Nobel per la chimica alla fine degli anni ’60 che scoprì, attraverso lo studio dei vortici, le “strutture dissipative” definì i cosiddetti “sistemi aperti”, cioè sistemi che hanno la capacità di scambiare energia e materia con il loro ambiente. Egli arrivò ad affermare che qualsiasi sistema “vivente” o in crescita nell’universo può essere considerato tale: un fiore che spunta, un’organizzazione che si arricchisce, una società che si struttura, un ecosistema che si sviluppa, un pianeta che si muove nello spazio, o … un essere umano che si evolve, attraverso i continui scambi, a vari livelli, con il suo ambiente.

Le caratteristiche dei sistemi “aperti”

Una caratteristica comune di questi sistemi “aperti” è che sono in grado di mantenere la loro struttura e persino di crescere e di evolversi, in sistemi ancora più complessi, perché sono capaci di adattare le loro strutture in base agli scambi che effettuano con l’ambiente, il quale assorbe il loro disordine. In altri termini, ciò significa che hanno la capacità di “dissipare la loro entropia” nell’ambiente. In questo modo la quantità globale di entropia effettivamente cresce, rispettando alla fine la seconda grande legge della termodinamica.

Il concetto, dovuto a Prigogine, di “strutture dissipative” soggette a “biforcazioni” periodiche non lineari porta un contributo enorme alla comprensione scientifica del nostro mondo, permettendo di descrivere il processo evolutivo di qualunque sistema aperto, in qualunque punto del nostro universo. Tale processo si ripete milioni di volte ogni minuto nelle nostre cellule; presiede anche all’evoluzione dei regni della natura, dei pianeti, delle galassie, e in particolare… della nostra coscienza di esseri umani.

Questo vale sia se banalmente si pensa ad un essere vivente che si ciba e poi espelle, che per il concetto dell’uomo che prende e dà verso il suo ambiente, inteso anche come ambiente sociale.

Il metodo Bateson

Gregory Bateson, un altro che studiava cose completamente diverse da Prigogine, occupandosi dell’«area d’incontro tra il pensiero filosofico molto astratto e formale da una parte e la storia naturale dell’uomo e delle altre creature dall’altra» scoprì, in un certo senso, lo stesso principio di Prigogine, partendo da uno studio apparentemente completamente diverso, ossia come ogni scoperta in un ambito scientifico o umanistico, influiva su tutte le altre e anche sui loro confini.

Il metodo di Bateson è fortemente olistico, volto ad individuare le connessioni esistenti tra fenomeni come la struttura delle foglie, la grammatica di una frase, la simmetria bilaterale di un animale, la corsa agli armamenti, ecc. Questa epistemologia basata sulla cibernetica è definita da Batesonecologia delle idee.

L’ecologia delle idee è orientata allo studio dei sistemi evolutivi. Occupandosi dell’evoluzione, questo modello considera anche l’apprendimento che appartiene alla stessa classe di fenomeni.

Nella concezione di Bateson, la mente non si limita agli individui, ma anche alla società e, soprattutto definisce l’ecosistema stesso una mente. Di più, l’ecosistema è la “vasta Mente” il sistema più grande ed importante che esista, di cui l’individuo è solo un sottosistema. È questo l’aspetto olistico dell’ecologia delle idee, la mente individuale è solo un sottosistema del sistema biologico che connette tutti gli esseri viventi, e che possiede le caratteristiche di un sistema cibernetico.

Questa concezione ha immediate ripercussioni etiche che Bateson considera molto attentamente, e che lo portano a criticare la cultura occidentale. L’errore della cultura occidentale consiste proprio nel suo carattere dicotomico che separa la ragione dalle emozioni, l’individuo dalla società e l’umanità dalla natura. In questo modo la coscienza, che è solo una parte del più vasto sistema individuo-società-ecosistema, ignora tale connessione, e rivendica esclusivamente per sé il carattere di mente.

La coscienza è stolta perché ignora la natura sistemica del mondo, credendo di avere il controllo di un sistema di cui è solo una parte. Se quest’epistemologia errata è presente da secoli, nell’epoca moderna diventa pericolosa poiché si serve di una tecnologia molto potente che le consente di arrecare gravi danni all’ambiente circostante. Ogni volta che il sistema viene ignorato a favore della finalità si generano danni. La finalità cosciente ha fatto sì che da Darwin in poi l’unità di sopravvivenza nel contesto della selezione naturale sia considerato il singolo individuo, o la famiglia, o la singola specie; in antitesi alle altre società, razze o specie.

Ciò porta a considerare l’uomo signore e padrone di una natura da sfruttare e manipolare secondo le finalità coscienti. «Se questa è l’opinione che avete sul vostro rapporto con la natura e se possedete una tecnica progredita, la probabilità che avete di sopravvivere sarà quella di una palla di neve all’inferno» (Verso un’Ecologia della Mente). L’uomo distrugge il proprio ambiente e non si accorge di distruggere anche sé stesso.

L’istruzione

Il tipo di approccio all’istruzione, dunque, diventa fondamentale, con gli insegnanti che dovrebbero avere la funzione di “maestri” che aiutano ad allargare il modo di vedere e a leggere le connessioni, prima che avere l’ossessione dei programmi ministeriali, rendendo vive le lezioni e il confronto con gli alunni, per fagli capire sempre i limiti di ogni disciplina, facendo in modo che quando l’alunno vede questo limite, non veda l’ora di superarlo per scoprire nuovi territori e non creare nuovi fanatici che stanno chiusi all’interno dei muri della loro conoscenza, che maturano quell’atteggiamento saccente e che non ascoltano più per capire, ma solo per giudicare.

Bisogna dare spazio alla capacità delle potenziali connessioni di alunni creativi, che se riescono a non entrare in quella quantità di schemi preordinati, conservando quella “non conformità” che possiamo definire di Peter Pan, ossia bambini sopravvissuti nei corpi degli adulti, capaci di pensare ancora oggi a concetti di libertà, giustizia e uguaglianza, disancorati dagli schemi che ingabbiano e falsificano questi concetti.

L’importanza dei collegamenti sociali

Le nuove generazioni devono capire i collegamenti sociali, perché le nostre menti e le nostre prospettive adesso ci rendono coscienti solo quando una cosa ci colpisce direttamente, quando un problema è all’interno dei nostri confini, altrimenti non è un nostro problema.

La società salta proprio quando saltano le connessioni. Una volta un bambino cresceva con l’aiuto delle famiglie allargate e della comunità, pure con il contributo dei vicini. Stiamo costruendo la nostra individualità e non ce ne rendiamo conto. Noi siamo animali sociali e abbiamo bisogno di connessioni e di confronto per crescere.

Ma se le nostre connessioni saltano già dalla prima istruzione e dal tipo di cultura che costruiamo, accrescendo solo il nostro ego e disinnescando la prima connessione che tiene insieme gli esseri umani, ossia l’amore e di conseguenza la solidarietà. Ognuno di noi cerca connessioni e cerca amore. Ma per amare ci vuole coraggio.

Sentire che quello che accade a un altro sta succedendo anche a noi. Non dobbiamo aspettare che capiti a noi per accorgercene. Se oggi ci mancano due foglie di basilico o il sale, nonostante abitiamo in un condominio con altre 30 famiglie, magari pensiamo di dover andare in un supermercato a prenderlo. Serve una comunità per crescere un bambino e dargli sicurezza.

La sola famiglia chiusa dentro la sua casetta non basta. E se non condividiamo le cose, queste cose ci possederanno. I bambini sono liberi. Siamo noi che li facciamo crescere con le nostre categorie e le nostre etichette.

Una volta chi aveva la televisione la metteva anche a disposizione dei vicini, se c’era una partita o una trasmissione particolare.

Le connessioni della rete sociale non sono i social network

I vicini si portavano le sedie e magari anche qualcosa da mangiare per condividerlo. Quella era una comunità vera. Una volta bastavano 2-3 amici ed eravamo a posto.

Adesso con 2.500 followers su Facebook non riusciamo ad avere la stessa cosa, perché condividiamo con questi amici virtuali, un mondo che non esiste. Poi guardiamo video con i bambini che cadono e si ammazzano e i genitori invece di soccorrerli li filmano.

Per mandare il filmato a Paperissima o avere più like sui social network. Facciamo viaggi organizzati, non per viaggiare e conoscere ma per raccontare di essere stati in un posto figo, da pubblicare con tutti i dettagli.

Cresciamo bambini in lockdown e con la DAD, lamentandoci poi che questi ragazzi sono sconnessi, che hanno la “mente scissa” con disturbi psicotici, con un ego malato, chi con deliri di persecuzione, chi con deliri di grandiosità, chi con deliri erotomanici, chi con deliri di controllo e così via.

Poi ci stupiamo se aumentano i figli che uccidono i genitori, i genitori che buttano i figli dalla finestra o i fidanzati uccidono le fidanzate.

Ci sarà anche un motivo se questo accade.

Perché non si cresce più con autostima, ossia stimando i propri confini, capendo quando finisce il nostro confine e comincia l’altro, perché non si è abituati a guardare più le persone negli occhi, ma avendo relazioni dietro un Personal Computer o uno smartphone, mantenendo solo connessioni telematiche, che dipendono esclusivamente dai provider.

 


Fonte: articolo di Roberto Recordare