Anche quest’anno, in concomitanza con la Festa del Papà, INPS e Save the Children hanno diffuso alcuni dati sulla fruizione del congedo di paternità obbligatorio riferiti al nostro Paese. Ne emerge un quadro in chiaro scuro.
Le principali differenze sono determinate dalla tipologia contrattuale di cui si gode, dal reddito, dalle dimensioni aziendali e dal territorio in cui si vive.
La normativa
Prima di entrare nei numeri, un breve cenno alla base normativa.
In Italia il congedo obbligatorio di 10 giorni è previsto dall’art. 27-bis del D.Lgs. 151/2001, Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità.
Possono usufruirne i padri (anche adottivi e affidatari) lavoratori dipendenti sia nel settore pubblico che in quello privato; sono invece esclusi i lavoratori autonomi e quelli iscritti alla Gestione Separata.
Tale strumento, pertanto, non va confuso con il congedo parentale, che è un periodo di astensione facoltativa dal lavoro, fruibile da entrambi i genitori fino al compimento dei 12 anni del figlio.
Il cambio di atteggiamento sul congedo di paternità obbligatorio: ma ancora c’è molta strada da percorrere
Non v’è dubbio che l’utilizzo e l’atteggiamento nei confronti di questo diritto sono radicalmente cambiati, sia per il papà- lavoratore che per il datore, dal momento in cui è diventato obbligatorio; anche se appare alquanto pretenzioso affermare che con esso si possa raggiungere l’obiettivo di ottenere una più equa ripartizione delle responsabilità di assistenza tra uomini e donne, nonché permettere una precoce instaurazione del legame tra padre e figlio; considerato che per le mamme sono previsti 5 mesi, a fronte di appena 10 giorni per i papà.
Tra l’altro, le proposte avanzate da alcune forze politiche per il riconoscimento di un congedo paritario non hanno avuto successo. Mentre in altri Paesi, come la Spagna, sono già una realtà.
Ad oggi, pertanto, si può usufruire del congedo obbligatorio da 2 mesi prima la data presunta del parto fino ai 5 mesi successivi alla nascita (stessi termini nei casi previsti per adozione e affidamento), oppure durante il congedo di maternità della madre lavoratrice. Esso è previsto anche in caso di morte perinatale.
In caso di parto plurimo, la durata è aumentata a 20 giorni lavorativi.
Viene riconosciuta un’indennità giornaliera pari al 100% della retribuzione, inoltre tali periodi sono considerati come attività lavorativa sia nel computo del trattamento normativo che in quello previdenziale.
Con il D.Lgs 105/2022, in materia di conciliazione vita-lavoro, sono state introdotte anche pesanti sanzioni amministrative per i datori di lavoro che impediscano la corretta e libera fruizione del diritto (da 516,00 a 2.582,00 euro).
Dal 2013 al 2022 triplicato il congedo di paternità, ma ancora differenze
Negli ultimi dati diffusi dall’INPS e Save the Children si registra un incremento progressivo dell’utilizzo, passato dal 19,2% dei padri aventi diritto nel 2013 al 64,5% nel 2023. Se ne avvalgono, quindi, più di 3 uomini su 5; un risultato nel complesso positivo, anche se nell’ultimo periodo questa tendenza ha subito una frenata, considerato che nel 2023 l’aumento è stato di appena lo 0,5% rispetto all’anno precedente.
Le differenze, come anticipato, sono determinate da più fattori.
A farne maggior uso sono i papà che hanno un contratto di lavoro a tempo indeterminato (circa il 70%), rispetto a quanti ne hanno uno a tempo determinato (40%) o di quelli con contratti a termine (20%).
Rispetto al reddito, la fruizione maggiore è per quelli nella forbice 28-50 mila euro annui (83%), oppure superiore ai 50 mila euro (80%); per i lavoratori con un reddito 15-28 mila euro annui, invece, il dato scende sensibilmente (66%).
Rimanendo ai punti più significativi dell’analisi, si osserva che anche la dimensione aziendale incide in maniera sostanziale sull’effettivo utilizzo del congedo obbligatorio; infatti, ne usufruiscono l’80% dei padri che lavorano in aziende con più di 100 dipendenti, mentre si scende al 40% per quelle con meno di 15 dipendenti.
Tutti risultati che confermano una diffusa difficoltà di accesso per le categorie meno tutelate.
Dal monitoraggio territoriale ancora forti diseguaglianze Nord/Sud
Molto interessanti anche i numeri scorporati per Regioni, poiché ripropongono un quadro di diseguaglianze territoriali già evidenziate per altri argomenti oggetto di miei precedenti approfondimenti su questa testata.
Il congedo è maggiormente utilizzato nel Nord del nostro Paese (76% dei padri aventi diritto), meno al Centro (67%) e molto poco al Sud e nelle Isole (44%).
Dalla fotografia scattata risulta evidente il divario tra la percentuale più bassa conseguita dalla Calabria (35,1%) e quella più alta del Veneto (79%).
Al Nord, le Regioni presentano quasi tutte tassi di utilizzo uguali o superiori al 70% (Veneto 79%, Friuli Venezia-Giulia 78%, Emilia-Romagna 76,5%, Lombardia 76,4%, Trentino-Alto Adige 75,9%, Piemonte 74,6%, Valle d’Aosta 70%); fa eccezione la sola Liguria che si attesta al 64,3%.
Al Centro la posizione più bassa del podio è occupata dal Lazio (63,2%), mentre Umbria (73,7%), Marche (71,6%) e Toscana (70,8%) presentano risultati vicini a quelli delle Regioni settentrionali.
Infine al Sud e nelle Isole, l’uso del congedo di paternità supera complessivamente il 50%, ma con segmentazioni molto differenti: Abruzzo (64,9%), Sardegna (58,1%), Basilicata (56,5%), Molise (54,1%), Puglia (51%); mentre rimangono sotto questa soglia Sicilia (39,4%), Campania (39,1%) e Calabria (35,1%).