comunicazioni istituzionali periodo elettoraleLe norme in tema di comunicazione politica e di parità di accesso per le elezioni, nazionali e locali, presentano alcuni profili di complessità, che potrebbe essere opportuno cercare di dipanare, così da consentire un pieno e corretto rispetto della par condicio (legge 28/2000) e, in particolare, degli obblighi delle amministrazioni, anche se non direttamente impegnate nella contesa, in materia di comunicazione istituzionale.

 

Il principio della par condicio

 

Con l’espressione par condicio si ricomprende il complesso di disposizioni volte a imporre agli organi di informazione di garantire un’adeguata visibilità a tutti i soggetti attivi nella politica. Essa si fa tradizionalmente risalire dal principio anglosassone di equal time (o equal opportunities), per il quale le emittenti durante le campagne elettorali devono gestire la presenza di candidati politici e l’espressione delle loro opinioni, nonché garantire a tutti loro l’accesso ai mezzi di informazione, con ragionevoli costi e tariffe nonché con un’equa collocazione degli interventi all’interno dei palinsesti. Sull’argomento sono intervenute da tempo le Istituzioni comunitarie anche con l’affermazione che una regolamentazione dei mezzi di comunicazione di massa risulta accettabile, in quanto motivata da esigenze tecniche o per assicurare diversità e pluralismo.

 

Le prossime elezioni. Le disposizioni per la fissazione della data del voto

 

Nel 2016, sulla base delle elaborazioni fornite da Ancitel Spa (la società di servizi per i Comuni dell’Anci – Associazione nazionale Comuni italiani), su un totale di 8.047 Comuni, ben 1.371 saranno quelli interessati da elezioni comunali, con oltre 16 milioni di votanti. Ai sensi dell’articolo 1 della legge 182/1991, le competizioni elettorali si devono svolgere nel periodo compreso dal 15 aprile al 15 giugno 2016. Le modalità di determinazione della data di svolgimento delle elezioni si rinvengono nell’articolo 3 della legge n. 182: la data è fissata dal ministro dell’Interno non oltre il 50° giorno precedente quello della votazione ed è comunicata immediatamente ai prefetti perché provvedano alla convocazione dei comizi e agli altri adempimenti di loro competenza previsti dalla legge. E, infatti, con proprio decreto, il ministro dell’Interno ha fissato la data di svolgimento del turno annuale ordinario di elezioni amministrative nelle regioni a statuto ordinario per domenica 5 giugno 2016. L’eventuale turno di ballottaggio avrà luogo domenica 19 giugno. Le regioni a statuto speciale hanno in materia competenza normativa di rango costituzionale, attribuita dai rispettivi statuti, e possono così accorpare le elezioni a quelle nazionali o individuare date diverse. Il Trentino Alto-Adige ha deciso per l’8 maggio, con eventuali ballottaggi il 22 maggio. Le elezioni amministrative in Sardegna sono fissate per il 31 maggio, con l’eventuale turno di ballottaggio il 14 giugno. In Valle d’Aosta si voterà soltanto nel comune di Ayas il 15 maggio. Coincidono invece con quelle nazionali le date delle elezioni amministrative in Friuli Venezia Giulia e Sicilia.

 

Le specifiche regole sulla par condicio rivolte alle pubbliche amministrazioni

 

L’esigenza che le pubbliche amministrazioni nelle competizioni elettorali mantengano una assoluta terzietà, per evitare che la posizione di preminenza da loro rivestita possa, anche se non direttamente, orientare l’opinione di voto, ha imposto, proprio in tema di par condicio, il rilascio di specifiche disposizioni, destinate in particolare a disciplinare nella campagna elettorale l’attività di comunicazione istituzionale. Pur se i principali soggetti destinatari sono le autonomie locali interessate dal suffragio, l’applicabilità delle norme è estesa a tutte le amministrazioni indicate dall’articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001. L’articolo 9, comma 1, della legge 28/2000 stabilisce che “Dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni”. Appare chiara l’intenzione del legislatore di non ostacolare il regolare e necessario servizio di comunicazione di utilità sociale: per questi motivi, occorre distinguere la “comunicazione di servizio” (di trasparenza, utile a fornire conoscenza e che si caratterizza per il vantaggio e l’utilità collettiva che ne derivano, da valutarsi in ragione dell’interesse dei cittadini) dalla “comunicazione di immagine” (con finalità di carattere elettoral-propagandistico, destinata in prima battuta a produrre un beneficio all’ente dal quale promana e che sostanzialmente ne usufruisce, e non ai cittadini amministrati, cui è solo formalmente destinata).

 

La norma tutela e garantisce il principio di imparzialità dell’azione amministrativa che, insieme a quello di buon andamento, poggia sull’articolo 97 della Carta. La ratio è quella di evitare che, nella fase che precede le elezioni, le compagini politiche al governo dei rispettivi territori usufruiscano della titolarità delle proprie cariche elettive, cogliendo l’opportunità di momenti di comunicazione per defletterle in manifestazioni di promozione politica occulte, subliminali o indirette. In altri termini, il divieto è diretto a scongiurare il pericolo che la Pa, nello svolgere attività di comunicazione istituzionale in periodo elettorale, per evidenti finalità offra, col ricorso a percorsi non imparziali di informazione, una raffigurazione allettante di sé stessa e degli individui preposti agli organi di indirizzo, con una evidente coincidenza tra attività di comunicazione istituzionale e quella propria dei soggetti politici di riferimento. Da tali considerazioni appare evidente che destinatari in via primaria del divieto sono gli organi rappresentativi delle Autonomie locali e non i singoli soggetti titolari di cariche pubbliche. Ovviamente, gli individui titolari di cariche pubbliche, qualora si siano candidati alle elezioni, possono effettuare propaganda purché questa non venga realizzata nell’esercizio delle proprie funzioni istituzionali e non si faccia ricorso a mezzi, risorse, personale e strutture nella disponibilità dell’ente per l’esercizio delle funzioni d’istituto (vedasi anche circolare n. 5 del 26 febbraio 2016 del ministero dell’Interno).

 

La comunicazione istituzionale

 

Occorre a questo punto chiarire l’espressione “comunicazione istituzionale”, anche alla luce della legge n. 150/2000 (“Disciplina delle attività di informazione e di comunicazione delle pubbliche amministrazioni”). L’articolo 1, comma 1, punto 4), della legge definisce “… attività di informazione e di comunicazione istituzionale quelle poste in essere in Italia o all’estero dalle PP.AA. di cui al citato art. 1, comma 2 del d.lgs 165/2001 e volte a conseguire:

 

a) l’informazione ai mezzi di comunicazione di massa, attraverso stampa, audiovisivi e strumenti telematici;
b) la comunicazione esterna rivolta ai cittadini, alle collettività e ad altri enti attraverso ogni modalità tecnica ed organizzativa;
c) la comunicazione interna realizzata nell’ambito di ciascun ente”.

 

La legge n. 150 individua poi, all’articolo 1, comma 5, le finalità cui si rivolgono tali attività di informazione e di comunicazione:

 

a) illustrare e favorire la conoscenza delle disposizioni normative, al fine di facilitarne l’applicazione;
b) illustrare le attività delle istituzioni e il loro funzionamento;
c) favorire l’accesso ai servizi pubblici, promuovendone la conoscenza;
d) promuovere conoscenze allargate e approfondite su temi di rilevante interesse pubblico e sociale;
e) favorire processi interni di semplificazione delle procedure e di modernizzazione degli apparati nonché la conoscenza dell’avvio e del percorso dei procedimenti amministrativi;
f) promuovere l’immagine delle amministrazioni nonché quella dell’Italia, in Europa e nel mondo, conferendo conoscenza e visibilità ad eventi d’importanza locale, regionale, nazionale ed internazionale”.

 

Individuato il quadro definitorio fissato dalla norma, occorre delineare in dettaglio cosa si intenda effettivamente per “comunicazione istituzionale”: essa può definirsi come la comunicazione pubblica esercitata dalla pubblica amministrazione, comunque essa si configuri (Stato, autonomie territoriali, ecc.), al fine di accrescere l’informazione, la conoscenza, la partecipazione e la fruizione dei cittadini ai servizi pubblici, orientando nel contempo le loro scelte, come nel caso di comportamenti a tutela dell’ambiente, della salute, dello sviluppo e di altri settori. La comunicazione istituzionale è manifestazione della nuova forma di interpretare i rapporti fra pubbliche amministrazioni e cittadini/utenti, costituisce un dovere per le prime e dà maggiore efficacia ai diritti dei secondi (alla trasparenza, all’informazione, all’assistenza, alla semplificazione e, in generale, alla partecipazione). La comunicazione istituzionale, attraverso il circuito informativo, informa i soggetti amministrati delle attività svolte e degli obiettivi perseguiti dai soggetti pubblici, così da garantire la reciproca prossimità e l’effettivo accesso dei cittadini alle attività pubbliche.

 

Per quanto riguarda le amministrazioni dello Stato, la legge 150/2000 prevede, in particolare, l’elaborazione annuale di un programma di tutte le attività di comunicazione che intendono svolgere nel corso dell’anno successivo, da trasmettere entro il mese di novembre al dipartimento per l’Informazione e l’editoria operante presso la presidenza del Consiglio dei ministri. Il Consiglio dei ministri approva il piano annuale di comunicazione, predisposto in base ai programmi elaborati delle amministrazioni dello Stato (articoli 11 e 12); le eventuali iniziative di comunicazione non previste nel programma, tempestivamente comunicate al dipartimento, possono essere promosse e realizzate solo per particolari e contingenti esigenze sopravvenute nel corso dell’anno.

 

I divieti 

 

L’articolo 9 della legge 28/2000 pone il divieto a tutte le amministrazioni pubbliche, dalla data di convocazione dei comizi elettorali e fino alla chiusura delle operazioni di voto, di svolgere attività di comunicazione, ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale e indispensabili per l’efficace assolvimento delle proprie funzioni. Il divieto richiede che la condotta sia realizzata da una “pubblica amministrazione” (requisito soggettivo) e che integri una delle fattispecie di comunicazione istituzionale vietate (requisito oggettivo), così come individuate finalisticamente dall’articolo 1 della legge 150/2000. Quanto al primo requisito, è già stato accennato che l’espressione “pubbliche amministrazioni” si riferisce agli organi rappresentativi degli enti e non ai singoli soggetti titolari di cariche pubbliche e che destinatarie della disposizione sono prevalentemente le autonomie territoriali/locali. La norma in questione tende infatti a evitare in particolare che la comunicazione istituzionale posta in essere dagli enti locali in periodo pre-elettorale possa svilupparsi in parallelo con la propaganda messa in atto dalle liste e dai candidati. Tra l’altro, osservare doverosamente il principio di imparzialità amministrativa è di efficace freno all’innegabile vantaggio del quale potrebbero beneficiare gli amministratori in scadenza di mandato, in ragione della evidente maggiore visibilità della quale godono rispetto agli altri competitori.

 

Pur se il divieto risulta prevalentemente posto nei confronti delle autonomie locali, tuttavia l’ampia formulazione della prescrizione normativa permette di affermare che la preclusione, dal punto di vista soggettivo, si estende a ogni amministrazione pubblica, per la superiore esigenza di impedire qualunque lesione, anche meramente potenziale, all’esercizio neutrale e imparziale della funzione amministrativa. Relativamente alla sfera oggettiva di applicazione, si può sostenere che la norma riguardi tutte le iniziative di comunicazione istituzionale provenienti da una pubblica amministrazione, indipendentemente dalla modalità e dallo strumento tecnico utilizzati, così da non limitare la portata della norma a quelle veicolate con la stampa o le radio-video emittenti. Di talché, il divieto opera anche nelle ipotesi ove la non corretta informazione istituzionale dell’attività svolta utilizzi quale mezzo di diffusione delle pubblicazioni il sito web dell’ente, in alternativa o in parallelo con il tradizionale invio cartaceo attraverso il mezzo postale.

 

L’interpretazione estensiva dei divieti

 

Occorre precisare che le limitazioni fissate dall’articolo 9 della legge 28/2000 riguardano, prima di tutto, l’informazione con strumenti mass-mediatici, in grado di creare e diffondere messaggi rivolti a un pubblico ampio, in tutte le fasce della popolazione. L’ambito del divieto non può così essere circoscritto alla sola attività con i media tradizionali (cartelloni, stampe, giornali, convegni e anche messaggi radiotelevisivi), ma va esteso anche ai “nuovi media”, cioè alle reti telematiche e al web.

 

A monte, tuttavia, si deve valutare se la comunicazione realizzata abbia effettivamente leso il principio della parità dei competitori politici nel corso della campagna elettorale. La lesione si verifica ogni qual volta l’informazione, prendendo le mosse dalla valorizzazione dell’immagine dell’amministrazione, indifferentemente se rivolta al soggetto pubblico ovvero agli organi che lo costituiscono, di fatto fornisce una implicita approvazione e valutazione positiva della gestione passata dell’ente, che proprio in quel momento è sottoposta al vaglio democratico dell’elettorato. Quest’ultimo a sua volta può essere influenzato da una ambigua comunicazione fornita dall’amministrazione “uscente”, che si avvale inopportunamente della propria posizione istituzionale per promuovere la propria immagine e valorizzare il proprio operato.

 

Di converso, anche in periodo di elezioni, è possibile lo svolgimento dell’attività di comunicazione istituzionale: la norma infatti ammette deroghe, peraltro entro limiti precisi e ben individuati, rappresentati dalla “impersonalità” e dalla “indispensabilità”, caratteristiche che devono sussistere congiuntamente. Infatti, qualora la comunicazione nel periodo elettorale non risultasse “impersonale” (cioè caratterizzata da evidenti collegamenti, anche indiretti, tra attività dell’ente e organo-candidato), essa determinerebbe un concreto avvalimento della posizione istituzionale e sottenderebbe una evidente finalità di tipo promozionale. Quanto alla “indispensabilità”, per garantire l’efficace svolgimento delle funzioni amministrative, in campagna elettorale risulteranno permesse solo le forme di comunicazione assolutamente indispensabili e non procrastinabili (i cui effetti giuridici potrebbero essere lesi da uno differimento temporale), quali la pubblicità legale, necessaria per l’efficacia degli atti amministrativi.

 

È evidente come situazioni della specie rivestano maggior criticità in quelle autonomie locali direttamente interessate dalle elezioni. Tuttavia, occorre che anche le amministrazioni diverse dalle autonomie locali rispettino il generale divieto normativo: si pensi, ad esempio, ad accordi o protocolli d’intesa sottoscritti tra amministrazioni, alcune delle quali sono a carattere elettivo e che potrebbero beneficiare della relativa “comunicazione di servizio” (attività di informazione destinata dalla Pa ai propri amministrati – cittadini/utenti – per garantire efficienza all’attività pubblica e ai servizi erogati), così da sfruttarla quale “comunicazione di immagine”, destinata invece a promuovere la “rappresentazione” dell’amministrazione innanzi agli utenti-amministrati, così da elevarla e rafforzarla.

 

I limiti temporali e territoriali al divieto. Elezione a carattere locale

 

Importante è anche il tema dell’ambito di applicazione del divieto. Dal punto di vista temporale, esso decorre dalla data di convocazione dei comizi elettorali e ha termine al momento della conclusione delle operazioni di voto. Più complessa appare la delimitazione territoriale, poiché la formulazione dell’articolo 9 non fornisce alcuna distinzione al riguardo né risulta declinata su di una specifica tipologia di competizione elettorale; tuttavia, proprio sotto il profilo dell’estensione del divieto, a seconda che la pubblica amministrazione sia interessata o meno dalla competizione elettorale in corso di svolgimento, nel caso di consultazioni elettorali di carattere locale l’Autorità ha ritenuto che “il divieto di comunicazione istituzionale di cui all’art. 9 trovi utile applicazione esclusivamente con riferimento alle amministrazioni pubbliche negli ambiti territoriali interessati dalle consultazioni amministrative” (nota n. 13136 dell’ufficio Comunicazione politica e conflitti di interesse del 20 marzo 2012 in riscontro alla richiesta del dipartimento per l’Informazione e l’editoria presso la presidenza del Consiglio dei ministri).

 

Per comprendere appieno il disposto della norma, occorre approfondire il concetto di “elezione a carattere locale”, anche in riferimento al prossimo voto di questo 2016. Tenuto infatti conto che il numero degli aventi diritto, come accennato, oltrepassa i 16 milioni, secondo la consolidata prassi interpretativa dell’Agcom il superamento della soglia di un quarto del totale degli elettori attribuisce carattere di consultazione nazionale alle prossime elezioni. Così, in base all’articolo 9 della legge 28/2000, per tutte le amministrazioni pubbliche, durante l’intero periodo elettorale, è vietata l’attività di comunicazione istituzionale. Peraltro, resta fermo che, qualora non si raggiunga nel corso delle tornate elettorali un quarto degli elettori su base nazionale, la comunicazione istituzionale delle amministrazioni centrali dello Stato oggetto di diffusione su tutto il territorio nazionale, in ossequio al principio di imparzialità, dovrà comunque rigorosamente attenersi ai princìpi generali in tema di informazione. L’Autorità, relativamente agli enti locali territorialmente limitrofi a quelli nei quali si svolgono le consultazioni elettorali, ha infine riconosciuto la necessità di garantire l’imparzialità nelle iniziative di comunicazione, onde evitare attività di significato indirettamente propagandistico.