Presentato il “Rapporto sulle economie territoriali” dell’Ufficio Studi Confcommercio: nel 2016 Pil a +1,6% e consumi a +1,4%. Ma il Paese è appesantito da deficit di legalità e di accessibilità logistica, eccessi di carico fiscale e di burocrazia, scarsa qualità del capitale umano, soprattutto in varie regioni meridionali.
“Lo 0,8 di crescita del Pil italiano a fine 2015 è troppo poco. Se lo scorso anno c’è finalmente stata una crescita del Pil e dell’occupazione, il minimo che si potesse raggiungere era infatti l’1% di previsione indicato da Confcommercio giusto un anno fa. Questo grazie al contesto internazionale favorevole e a una politica fiscale interna almeno ‘distensiva’”. Così il responsabile dell’Ufficio Studi di Confcommercio, Mariano Bella, commentando i dati contenuti nel “Rapporto sulle economie territoriali”, la cui presentazione ha inaugurato la tradizionale due giorni della Confederazione in riva al Lago di Como.
Sgombriamo subito il campo dalle previsioni: Confcommercio per il 2016 prevede una crescita dell’1,6%, sostenuta dai consumi (+1,4%) e dagli investimenti (+1,6%), grazie a prospettive di breve periodo che restano favorevoli anche se sono crescenti i rischi al ribasso della previsione. Mentre la deflazione appare più un pericolo teorico che una reale minaccia. Una crescita affatto eccezionale, insomma, tanto più che anche proiettandosi al 2017 la situazione cambia davvero poco (Pil a +1,6%, consumi a +1,7%, investimenti a +3,7%). E allora – e qui è sta la “ciccia” del Rapporto del Centro Studi – bisogna domandarsi perché l’Italia è incapace di cogliere le opportunità del contesto economico favorevole e perché è così lenta nell’approfittare delle riforme così faticosamente approvate.
La risposta è semplice: il Paese è schiacciato ancora da gravi difetti strutturali che non sembrano in via di aggiustamento. Si chiamano deficit di legalità e di accessibilità logistica, eccessi di carico fiscale e di burocrazia, scarsa qualità del capitale umano e agiscono in modo particolarmente sfavorevole in diverse regioni meridionali. Le cifre della crescita, dunque, alla fine sono una media tra il contributo di alcune regioni dinamiche – come la Lombardia e il Nord-ovest – e di regioni ancora in recessione, come la Calabria, o a crescita nulla, come diverse aree del Mezzogiorno.