L’ANAC ha emesso un parere, in data 03/02/2016, in merito alla possibile applicazione del Codice degli Appalti anche alle procedure di collaudo lavori, nel caso specifico in merito ai compensi da riconoscere ai collaudatori. In esito a quanto richiesto con nota acquisita al protocollo n. 87310 in data 8 luglio 2015, il Consiglio dell’Autorità, nell’Adunanza del 3 febbraio 2016, ha approvato le seguenti considerazioni.
L’Assessorato Regionale dell’energia e dei servizi di pubblica utilità della Regione Sicilia – Dipartimento Regionale dell’acqua e dei rifiuti –Servizio 3 Gestione Infrastrutture per le acque – nella sua veste di gestore concessionario di 23 grandi dighe in territorio siciliano, chiede a questa Autorità indicazioni in ordine alle modalità di conferimento degli incarichi di collaudo in oggetto, e trasmette altresì il parere fornito sulla questione dall’Ufficio Legislativo e Legale della Presidenza della Regione Siciliana.
In particolare, il richiedente manifesta forti perplessità in ordine alle modalità di conferimento degli incarichi, e soprattutto all’entità dei compensi, dei componenti delle Commissioni di collaudo delle dighe, evidenziando che «la previsione di una designazione (da parte del Ministero) di personale, non solo in servizio, ma anche in quiescenza e per importi tariffari che nei casi concreti oscillano tra i 100.000 e i 150.000 euro, mal si concilia con il principio universalmente affermato del conferimento di incarichi a personale interno mediante corresponsione di un incentivo di gran lunga inferiore ai compensi secondo tariffa professionale» e ritiene che gli stessi, sebbene contemplati dalla normativa speciale, debbano essere improntati ai principi del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 e del relativo Regolamento di esecuzione. Richiama tra l’altro l’art. 216, co. 7 lett. d) del Regolamento, laddove prevede il divieto di affidare incarichi di collaudo a soggetti che facciano parte di strutture o di articolazioni organizzative comunque denominate di organismi con funzioni di vigilanza o di controllo nei riguardi dell’intervento da collaudare.
Come sopra accennato, l’istante ha coinvolto sulla questione l’Ufficio Legislativo e Legale della Presidenza della Regione Siciliana il quale, nel richiamare la normativa di riferimento, si è espresso nel senso di ritenere doveroso, ai fini del conferimento degli incarichi di collaudo delle dighe, il rinvio al Codice dei Contratti, in quanto gli affidamenti di collaudi di lavori pubblici non si sottraggono a tale disciplina. Sulla questione è intervenuta la Direzione Generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche di codesto Ministero –- con nota acquisita al protocollo n. 118810 in data 18 settembre 2015, la quale specifica che il collaudo tecnico-funzionale di cui all’art. 14 d.p.r. 1° novembre 1959, n. 1363 «si riferisce esclusivamente alla verifica di aspetti inerenti alla esercibilità in sicurezza dell’impianto di ritenuta» e «prescinde invece dagli aspetti inerenti alla verifica dell’esecuzione del contratto di lavori privati o pubblici». La Direzione Generale sottolinea quindi che tale speciale collaudo è distinto sia dal collaudo tecnico amministrativo espletato in caso di lavori pubblici, sia dal collaudo statico delle opere in calcestruzzo armato ed acciaio, e che le relative commissioni di collaudo sono distinte. Rappresenta inoltre che la complessità delle problematiche tecniche connesse alla progettazione, realizzazione e all’esercizio dei serbatoi artificiali hanno suggerito, conformemente alla consolidata prassi internazionale, di assoggettare tali opere a una specifica verifica sperimentale, che richiede in genere tempi molto dilatati. Viene infine fatto rilevare che il riferimento all’incentivo ai fini del compenso dei collaudatori non è pertinente, in quanto non si tratta di collaudo effettuato nell’interesse del committente, l’impegno temporale è superiore a quello di un normale collaudo tecnico-amministrativo o statico, e «i collaudatori non possono essere dipendenti del committente mentre sono tecnici di questa od altre amministrazioni (anche non più in servizio) o esperti della materia (giusta circolare LL.PP. n. 352/1987)».
Codesto Ministero allega altresì copia del parere reso dal Consiglio di Stato (Sez. II 31 marzo 2004), a fronte di apposito quesito posto dalla stessa Amministrazione a seguito della istituzione del R.I.D. con d.p.r. 24 marzo 2003, n. 136 (Registro Italiano Dighe, ora soppresso, le cui funzioni sono state appunto trasferite al Ministero delle Infrastrutture), avente ad oggetto l’individuazione del soggetto titolare del potere di nomina delle commissioni di collaudo tecnico in argomento. Con tale parere il Consiglio di Stato, sulla base della considerazione per cui «l’attività delle commissioni di collaudo, che sono tenute a certificare la sicurezza degli sbarramenti nella delicata fase di primo riempimento, costituisce un momento del più ampio procedimento di autorizzazione al regolare esercizio del medesimo, di competenza del R.I.D.», conclude che tale atto di nomina «sembra collocarsi coerentemente all’inizio del procedimento citato», e pertanto rientra nella competenza del R.I.D. stesso.
Così riassunta la questione, occorre richiamare la normativa di riferimento.
Il citato d.p.r. 1363/59, recante “Approvazione del regolamento per la compilazione dei progetti, la costruzione e l’esercizio delle dighe di ritenuta” stabilisce all’art. 14 (“Collaudo”) che «Avvenuta l’ultimazione dei lavori, l’ufficio del Genio civile ne dà avviso al Servizio dighe e, qualora gli invasi sperimentali abbiano dato risultati soddisfacenti, la Presidenza della competente Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici dispone per il collaudo dell’opera.
Ai fini del collaudo l’ufficio del Genio civile curerà la raccolta dei disegni di consistenza delle opere e farà redigere dall’assistente governativo una relazione finale sullo svolgimento dei lavori e sulle prove eseguite.
Il collaudo sarà effettuato, giusta designazione del presidente della competente Sezione del Consiglio superiore dei lavori pubblici, da una Commissione collaudatrice costituita di norma da un ingegnere del Genio civile con qualifica non inferiore ad ingegnere capo e da un ingegnere del Servizio dighe che sia a conoscenza dello svolgimento dei lavori. Per opere di notevole importanza la Commissione collaudatrice potrà essere nominata anche durante l’esecuzione dei lavori, in modo che ne possa seguire lo svolgimento.
Le spese per il collaudo ed i compensi spettanti ai collaudatori sono a carico del richiedente la concessione o concessionario. Gli atti di collaudo verranno trasmessi alla Direzione generale delle acque e degli impianti elettrici, per i successivi provvedimenti amministrativi». Successivamente, con il citato d.p.r. 136/2003 veniva istituito il R.I.D. (Registro Italiano Dighe), il cui art. 10 prevedeva l’adozione di un ulteriore regolamento «per la disciplina del procedimento di approvazione dei progetti e del controllo sulla costruzione e l’esercizio delle dighe», dalla cui entrata in vigore sarebbe dovuta derivare l’abrogazione dell’art. 14 d.p.r. 1363/59. Tuttavia, il regolamento di cui al predetto art. 10 d.p.r. 136/2003 non veniva mai adottato e pertanto si ritiene che debba considerarsi tuttora operante il citato art. 14 d.p.r. 1363/59, non essendosi verificata la condizione cui era sottoposta la decorrenza dell’abrogazione in parola.
Ciò premesso, si osserva che il regolamento d.p.r. 1363/59 si occupa in generale della progettazione, costruzione ed esercizio delle dighe di ritenuta, ed evidenzia le modalità tecniche specifiche per la redazione del progetto di massima, del progetto esecutivo e delle allegate relazioni; procede a trattare dell’esecuzione, della direzione e vigilanza lavori, della figura dell’assistente governativo, del controllo dei materiali durante la costruzione, dell’autorizzazione all’invaso per giungere infine al collaudo dell’opera di cui all’art. 14. Tale articolo dispone in particolare che la Commissione collaudatrice è costituita di norma da un ingegnere del Genio civile con qualifica non inferiore ad ingegnere capo e da un ingegnere del Servizio dighe che sia a conoscenza dello svolgimento dei lavori, e che per opere di notevole importanza la Commissione collaudatrice potrà essere nominata anche durante l’esecuzione dei lavori.
L’articolato riproduce pertanto il consueto schema di realizzazione delle opere pubbliche, connotato dalle singole fasi, cui corrispondono diverse competenze in capo a soggetti individuati, pur nel rispetto della peculiare specificità delle opere di cui si tratta. Sembra quindi che la Commissione di collaudo, nel caso di specie, assolva alle medesime funzioni delle commissioni di collaudo delle altre opere pubbliche, con le specificità che in questo caso il collaudo necessita, per la natura stessa delle opere in questione, in relazione a prove e tempi differenti.
Come evidenziato dalla giurisprudenza, le disposizioni dell’art. 14 citato «riproducono sostanzialmente la disciplina generale del collaudo delle opere pubbliche già contenuta negli artt. 91 – 117 del R.D. 25 maggio 1895, n. 350 di approvazione del regolamento della legge sui lavori pubblici. Applicata alla specifica materia delle concessioni per la costruzione e l’esercizio delle dighe di contenimento, questa disciplina comporta che ai fini del collaudo delle opere realizzate il concessionario deve collaborare con il collaudatore in modo da agevolargli il compito di verificare la bontà dell’opera realizzata. Oltre a questa l’obbligo di prestare l’attività materiale necessaria per i controlli e di sopportarne le spese come è specificamente richiesto dal quarto comma dell’art. 14 del d.p.r. n. 1363 del 1959 già citato.
Il che non snatura la funzione generale del collaudo il quale tende, essenzialmente, a parte gli aspetti contabili, a verificare ed a certificare che l’opera è stata eseguita a perfetta regola d’arte e secondo le prescrizioni tecniche stabilite e che siano state rispettate le clausole contrattuali e le varianti d’opera debitamente approvate: sent. n. 1527 del 1973. Da queste premesse discende che il collaudo è costituito da una serie di atti di diversa natura, alcuni dei quali consistono in semplici operazioni materiali o tecniche, altri in atti giuridici di vario contenuto e valore. Con riferimento specifico alla fase della verifica, questa consiste nell’ispezione diretta dal collaudatore, diretta ad acquisire i dati tecnici necessari per il giudizio finale sull’opera. In questa fase, anche quando sia eseguito da organi della pubblica amministrazione e salvo il caso di collaudo di opere dall’esecuzione delle quali nascono benefici economici a carico dello Stato, il collaudo non ha come suo scopo principale la tutela della pubblica incolumità, o il perseguimento di funzioni immediatamente di pubblica utilità per il concedente.
Esso è svolto nell’immediato interesse del concessionario in relazione agli interessi economici che egli ha riposto nell’opera realizzate e dei quali egli è quindi direttamente responsabile nei confronti dei terzi: sent. n. 2602 del 1983. Ne è la riprova la circostanza che durante il periodo di attesa del collaudo e nel corso delle operazioni di questo il concessionario è obbligato alla custodia ed alla manutenzione dell’opera e […] che le operazioni di collaudo, anche se eseguite da organi tecnici della pubblica amministrazione, sono svolte nell’interesse principale del concessionario, il quale è l’unico responsabile dell’impianto fino a quando non si sia completato positivamente il collaudo» (Cass. civ. Sez. III, 1 luglio 1991, n. 7236).
Con riferimento quindi al quesito posto dall’odierno istante, al di là della specifica competenza a nominare le Commissioni in parola, che il Consiglio di Stato aveva risolto permanere in capo all’ente deputato ad autorizzare l’esercizio della diga e che quindi sembrerebbe essere confluito in capo al Ministero, si osserva comunque che la specificità delle opere in questione non sembra giustificare una attribuzione degli incarichi di collaudo al di fuori delle norme e dei principi generali del d.lgs. 163/2006, di derivazione comunitaria, che connotano anche tale tipologia di affidamento qualora effettuato da soggetti pubblici.
Come infatti anche evidenziato nella determinazione Avcp n. 2 del 25 febbraio 2009, adottata a seguito dell’emanazione del decreto legislativo 11 settembre 2008 n. 152, all’articolo 120, co. 2-bis d.lgs. 163/2006 è stato stabilito l’obbligo per le stazioni appaltanti «di valutare in via prioritaria l’idoneità dei propri dipendenti, o di diversa amministrazione aggiudicatrice, all’espletamento dell’incarico di collaudo, sulla base di adeguati requisiti, ammettendo il ricorso a professionisti esterni, nel rispetto dei principi e della normativa comunitaria, solo in caso di carenza di personale idoneo alla prestazione, accertata dal responsabile del procedimento. E’ stato inoltre inserito all’articolo 91, co. 1 e 2 il riferimento espresso al collaudo nell’ambito delle attività rientranti nei servizi attinenti all’ingegneria e architettura oggetto delle procedure concorsuali». L’articolo 91, comma 8, del Codice, inoltre ha vietato l’affidamento di attività di progettazione, direzione lavori, collaudo, etc. con … “procedure diverse da quelle previste dal Codice ” stesso.
L’art. 14 d.p.r. 1363/59, d’altra parte, si limita a statuire alcuni requisiti minimi dei componenti la Commissione di collaudo e pertanto, data l’evoluzione della normativa e la necessità di tenere in considerazione i principi di derivazione comunitaria, non può non sottolinearsi l’esigenza di procedere agli affidamenti secondo quanto statuito dal Codice dei Contratti e dal relativo Regolamento di esecuzione, ponendo la dovuta attenzione ai requisiti specifici da richiedere e verificare in capo ai candidati.
In ordine alla questione rappresentata dai compensi dei collaudatori, si rammenta che ai sensi dell’art. 93, co. 7-ter d.lgs. 163/2006 occorre effettuare una ripartizione delle risorse del fondo per la progettazione e l’innovazione, secondo criteri definiti con regolamento, tenendo conto delle responsabilità connesse alle specifiche prestazioni da svolgere, della complessità delle opere, dai tempi e dai costi previsti dal quadro economico. Alla luce di quanto sopra rappresentato, valuti codesto Ministero l’opportunità di richiedere un nuovo parere al Consiglio di Stato, in considerazione della evoluzione normativa intervenuta in materia.
Il CUP, codice unico di progetto per gli investimenti, deve essere richiesto solo nel caso di lavori pubblici o anche per l’acquisto di beni mobili, arredi, spesa in conto capitale? Maggiori informazioni qui.