Dal CNEL (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) arriva un documento che boccia senza appello il salario minimo: eccone spiegati i motivi.
Alla presenza della quasi totalità dei consiglieri, è stato illustrato infatti all’Assemblea il documento relativo agli esiti della prima fase istruttoria tecnica sul lavoro povero e il salario minimo, precedentemente approvato dalla Commissione dell’Informazione con il solo voto contrario della CGIL e l’astensione della UIL.
L’iter che ha portato alla predisposizione del documento ha le sue premesse nella Direttiva europea 2022/2041. Nel solco delle sollecitazioni espresse a livello europeo, il CNEL l’11 luglio scorso ha presentato alla Camera dei Deputati una memoria sul lavoro povero e il salario minimo, approvata all’unanimità. Il mese successivo, l’11 agosto, il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha incaricato il CNEL di redigere in 60 giorni un documento di analisi e proposta sul tema.
Documento che adesso è arrivato ed è stato approvato: e che contiene un giudizio negativo sulla proposta.
Ecco perché il CNEL boccia il salario minimo
I componenti della Commissione dell’informazione del CNEL concordano nel sottolineare l’estrema complessità del tema. Non è dato sapere, per esempio, l’impatto di una eventuale legge in materia di salario minimo sul sistema economico e produttivo e sulla stessa finanza pubblica con riferimento al problema delle esternalizzazioni e degli appalti di servizi nelle pubbliche amministrazioni.
Ancora non chiariti – e comunque ampiamente dibattuti – sono i possibili effetti sui singoli lavoratori e sulle dinamiche complessive del mercato del lavoro.
Nel testo si evidenzia – ed è il punto focale della questione – che la direttiva europea non impone il salario minimo e che dove esiste un robusto ed esteso sistema di contrattazione collettiva non si richiedono ulteriori verifiche o adempimenti. Pertanto secondo la commissione il trattamento retributivo previsto da un contratto collettivo qualificato (cioè sottoscritto da soggetti realmente rappresentativi) risulta già di per sé adeguato.
In ogni caso, nel dibattito pubblico, la povertà lavorativa è spesso collegata a salari insufficienti mentre questa è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda secondo il CNEL:
- i tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno)
- la composizione familiare (e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo)
- e l’azione redistributiva dello Stato.
Il testo completo del documento
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it