clausole-aggiudicazione-stipula-contrattoNuova possibile apertura della giurisprudenza amministrativa alle modifiche delle clausole contrattuali nella fase intercorrente tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto. Il commento dell’Avvocato Renzo Cavadi alla recente Sentenza del Tar Sardegna.


Non vi è una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile alla fase tra l’aggiudicazione e la stipulazione del contratto. La corretta applicazione del principio di economicità, dunque di buon andamento dell’amministrazione – richiamato dall’articolo 30 comma 1 del Codice dei Contratti Pubblici, scongiura una riedizione della procedura che diversamente imporrebbe in tutti i casi di modifica, ancorchè non essenziale delle condizioni.

E’ dunque legittima la clausola contrattuale nella parte in cui ha previsto un adeguamento del compenso per l’appalto rispetto alla procedura di gara, in ragione del lungo tempo trascorso tra la presentazione dell’offerta e la stipulazione del contratto stesso.

Clausole contrattuali tra aggiudicazione e stipula del contratto: chiarimenti

Sulla base di tali considerazioni, il T.A.R. SARDEGNA, sez. II, Cagliari, con sentenza del 21 ottobre 2022 numero 802, (Est. Gabriele Serra), si è soffermato su un tema particolarmente frequente e di grande attualità per gli addetti ai lavori nel settore degli appalti.  Il caso è di particolare interesse, perché permette di mettere a fuoco una delle diverse problematiche che abbracciano il sistema delle modifiche delle clausole contrattuali e quindi della rinegoziazione delle stesse,  cosi come previsto dal comma 1, art. 106 del D. Lgs 50/2016, istituto peraltro da sempre attenzionato tanto dal nostro legislatore quanto dalla giurisprudenza, in ordine non tanto al mantenimento dell’equilibrio economico di forze tra le parti del rapporto contrattuale in essere, quanto alle garanzie di tutela della concorrenza nel mercato delle commesse pubbliche: queste, infatti, potrebbero trovare spazi elusivi dell’obbligo di aggiudicazione ad evidenza pubblica proprio in ragione della modifica delle clausole di contratti già aggiudicati in sede di gara.

La questione giuridica che fa da cornice alla pronunzia in oggetto

La questione che fa da cornice alla pronunzia dei giudici amministrativi riguarda in linea generale, l’esatta portata ed i limiti del cosìdetto principio di immodificabilità del contratto con specifico riferimento alla possibilità o meno di modificare il contenuto di determinate clausole contrattuali nel segmento temporale a cavallo tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto (e in caso affermativo entro quali limiti tale rinegoziazione sia possibile).

Va preliminarmente osservato come il sistema di modifiche disciplinato all’interno del vigente Codice dei contratti, è riferibile unicamente ai contratti, il che porta come inevitabile conseguenza che ex lege si può chiedere una modifica o una rettifica contrattuale,  soltanto se a monte un contratto sia effettivamente già stato stipulato.

Di fatto la giurisprudenza amministrativa del Consiglio di Stato, si è sempre mostrata particolarmente contraria o quanto meno cauta all’ammissione di domande concernenti richieste di modifica di pattuizioni antecedenti alla stipulazione del contratto.

Nella linea di pensiero costantemente seguita dai giudici di Palazzo Spada (Cons. di Stato, sez. IV, 31 ottobre 2022, n. 9426),  si prende come modello interpretativo l’orientamento fornito sul punto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia Unione Europea secondo la quale il principio di parità di trattamento e di trasparenza vietano a che, nella fase successiva all’aggiudicazione di un appalto, si possano essere apportare alla stessa procedura modifiche considerevoli e di un certo spessore al punto tale che le caratteristiche iniziali, si presentino sostanzialmente diverse rispetto a quelle dell’appalto iniziale. In particolare nel richiamo alla giurisprudenza europea, CGUE 7 settembre 2016 (C-549-14 – Finn Frogne) questo è ciò che avviene “se le modifiche previste hanno per effetto o di estendere l’appalto in modo considerevole a elementi non previsti o di alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario, oppure ancora se tali modifiche sono atte a rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto nel senso che, se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi”.

La vicenda da cui è scaturito il contenzioso

Un’impresa risultava aggiudicataria a seguito di espletamento di una gara concernente il servizio di raccolta dei rifiuti. Di fatto però, la stessa aggiudicazione da parte della stazione appaltante nei confronti dell’impresa, veniva disposta ben oltre due anni dalla data effettiva di presentazione dell’offerta in sede di gara.

L’impresa quindi, in relazione a quanto disposto da una ben precisa disposizione di carattere contrattuale ed in ragione dell’aumento dei costi verificatisi nel lungo arco temporale intercorso tra la presentazione della propria offerta e l’inizio del servizio, decideva di inoltrare all’amministrazione precisa istanza finalizzata alla revisione del prezzo iniziale. Secondo l’impresa infatti, il contratto stipulato a seguito di aggiudicazione del servizio, comprendeva al suo interno due distinte clausole e precisamente:

  • la prima di revisione del prezzo (riferibile all’indice FOI) concernente l’adeguamento del compenso durante l’esecuzione del contratto;
  • la seconda riferibile alla doverosa necessità di adeguare il compenso (visto l’aumento dei costi legati al personale e le utenze) non in proiezione futura dell’esecuzione pluriennale del contratto, bensì esclusivamente riferibile al momento precedente la stipula del contratto rispetto a quanto formalizzato in sede di offerta di gara.

L’istanza dell’impresa aggiudicataria veniva formalmente respinta dalla stazione appaltante, nel presupposto che la clausola contrattuale relativa all’aumento determinatosi nel periodo precedente la stipula del contratto, era da intendersi nulla dal momento che non era inserita e disciplinata nello schema contrattuale approvato e posto a base della procedura di gara. Inoltre, la stessa amministrazione, evidenziava che la disposizione del capitolato, prevedeva la possibilità di rivedere i prezzi soltanto ed esclusivamente nel caso in cui l’aumento dei costi fosse risultato superiore del 20 per cento rispetto a quelle indicato proprio in sede di gara.

In relazione al rifiuto opposto dalla stazione appaltante, l’impresa aggiudicataria decideva di rivolgersi dunque di rivolgersi al giudice amministrativo.

Le doglianze della ricorrente di fronte al T.A.R. SARDEGNA

La controversia esaminata dai giudici amministrativi, sulla base delle doglianze avanzate in sede processuale da parte ricorrente, verte concretamente della validità o meno dell’art. 3 del contratto stipulato tra le parti, che, premesso l’ammontare dell’appalto, “salvo quanto previsto riguardo gli eventuali adeguamenti del canone, da riconoscere all’Appaltatore, di cui al presente contratti (a solo titolo esemplificativo e non esaustivo: maggiori utenze (…)”, prevede l’adeguamento del canone non solo in riferimento all’indice FOI, ma anche “in base al maggior costo del personale rispetto a quello vigente alla data di presentazione dell’offerta (come da Tabelle pubblicate dal Ministero del Lavoro – Novembre 2010)”.

Secondo la prospettazione sollevata da parte resistente invece tale previsione contrattuale sarebbe nulla, in quanto contrastante con lo schema di contratto allegato all’aggiudicazione, che riprendeva il contenuto dell’art. 11 del Capitolato e limitava la revisione prezzi entro il limite di cui all’indice FOI; il contratto stipulato sarebbe nullo in parte qua, per contrasto anche con quanto previsto dall’art. 115 del D.lgs. n. 163/2006, ratione temporis applicabile, che prevede inderogabilmente la previsione di una clausola di revisione prezzi nel limite massimo dell’indice FOI, salva la ricorrenza di circostanze eccezionali ed imprevedibili, che l’ente ritiene non ricorrenti nel caso di specie, nonché perché, in tal guisa, il contratto avrebbe sostanzialmente rinegoziato le condizioni poste a base della gara.

L’impresa replica che “nella fattispecie non si discorre dell’adeguamento prezzi annuale (che è un evento fisiologico di ogni contratto d’appalto), bensì della determinazione del corrispettivo di base, che, in seguito ad una situazione patologica (la stipulazione del contratto a distanza di due anni dalla gara) non era più coerente, già al momento dell’avvio del servizio, con i costi del servizio messo in gara (perché, nelle more, era aumentato il numero di utenti da servire ed era aumentato, altresì, il costo del lavoro)”, risultando perciò inconferenti le considerazioni in merito all’insuperabilità dell’indice FOI.

Ciò premesso, il T.A.R. SARDEGNA precisa che, ciò che deve valutarsi, è se tale attività negoziale posta in essere dalle parti dopo l’aggiudicazione “si ponga in senso innovativo quale rinegoziazione, pure eccepita dall’amministrazione come non consentita, rispetto a quanto oggetto della gara, risultando perciò un contratto modificato inammissibilmente, poiché sarebbe dovuto essere posto a base di una nuova gara”.

L’articolata pronunzia dei giudici amministrativi che apre alle modifiche delle clausole contrattuali accogliendo il ricorso

Il T.A.R. SARDEGNA, con la decisione in commento, articola le proprie motivazioni  argomentative sulla base delle seguenti considerazioni.

In via preliminare i giudici amministrativi, sottolineano come sulla questione sottoposta alla loro attenzione, esistono in giurisprudenza due distinti orientamenti fortemente contrapposti.

  • Un primo orientamento piuttosto restrittivo (T.A.R. Lombardia, Brescia, 10 marzo 2022 n. 239) ([1]) evidenzia come l’istanza concernente la revisione del prezzo formulata prima della stipula del contratto da parte dell’impresa aggiudicataria (e quindi in un momento dimensionale in cui non esiste ancora un rapporto paritetico contrattuale), non può ritenersi ammissibile, per il semplice motivo legato al fatto che la sua formulazione presuppone alla base l’esistenza concreta proprio di un contratto valido ed efficace e già in corso di esecuzione. Non a caso, secondo il pensiero espresso dal collegio meneghino “Così come nel corso del rapporto contrattuale l’impresa appaltatrice è tutelata, in caso di un esorbitante aumento dei costi del servizio, dall’istituto della revisione del prezzo (ove previsto dagli atti di gara) ovvero dalla possibilità di esperire i rimedi civilistici di risoluzione del vincolo sinallagmatico, nel diverso caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta”.

L’orientamento richiamato dal T.A.R. SARDEGNA peraltro, trova ulteriore conferma nel pensiero precedentemente espresso dai giudici amministrativi del T.A.R. Lazio, Roma, sez. I, 27 novembre 2017, n. 11732, secondo il quale “La tesi dunque esclude l’ammissibilità dell’applicazione analogica dell’istituto previsto dall’art. 115 del D.lgs. n. 163/2006, ratione temporis applicabile all’odierno giudizio, ed oggi disciplinato dall’art. 106 del D.lgs. n. 50/2016, ad un momento antecedente alla stipulazione del contratto, perché lo spazio che precede la stipulazione sarebbe già pienamente regolato dai principi dell’evidenza pubblica e della “par condicio” tra concorrenti, nonché dell’immodificabilità dell’offerta, i quali non consentono alcun cambiamento dell’oggetto dell’appalto o del contenuto della proposta del privato”.

  • Un secondo orientamento invece decisamente favorevole (T.A.R. Piemonte, Sez. I, 28 giugno 2021, n. 667), valorizzando la ratio dell’articolo 106 del Codice degli Appalti fa presente come esso “sia ascrivibile, nel suo complesso, sia all’esigenza di governare le sopravvenienze contrattuali sia a quella di evitare (in un contesto in cui l’appello al mercato è la regola) vere e proprie forme di diseconomia procedimentale“. In tal senso, si è ricordato che la legislazione concernente il settore degli appalti pubblici, è costruita dal legislatore per essere veicolata principalmente al rispetto del principio di concorrenza, ma è indirizzata anche ai criteri di efficacia ed economicità.

Pertanto è da ritenersi irragionevole “ogni azzeramento di una procedura amministrativa in assenza di specifiche illegittimità che la affliggano”, a maggior ragione nel caso particolare in cui l’operatore economico sia rimasto “vittima” delle sopravvenienze ([2]). Sotto altro profilo il richiamato orientamento dei giudici piemontesi, ha rilevato che “la scelta dell’amministrazione di individuare i termini della necessaria rinegoziazione ancor prima di procedere alla stipulazione del contratto si configura in fondo come prudente, poiché, posto che la rinegoziazione implica ovviamente l’accordo della controparte, ove tale accordo non fosse stato raggiunto, si sarebbe rafforzata in capo all’amministrazione una possibilità di revoca fondata sulle sopravvenienze organizzative e su un ragionevole rispetto delle aspettative dell’aggiudicatario“.

I giudici del T.A.R. SARDEGNA ricordano che nella stessa direzione si è assestato il pensiero di altra giurisprudenza anche unoniale, la quale in termini generali, tiene a precisare come il principio d’immodificabilità del contratto non abbia carattere assoluto.

E infatti la Corte di Giustizia Unione Europea, sez. VIII, nella pronunzia del 7 ottobre 2016 (C 549-14) ha chiarito “che il principio di parità di trattamento e l’obbligo di trasparenza che ne derivano ostano a che, dopo l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’amministrazione aggiudicatrice e l’aggiudicatario apportino alle disposizioni di tale appalto modifiche tali che tali disposizioni presentino caratteristiche sostanzialmente diverse da quelle dell’appalto iniziale”. Ciò premesso, gli stessi giudici comunitari. tendono a specificare che tale meccanismo si manifesta concretamente soltanto nei casi in cui tali modifiche producono l’effetto di:

  1. estendere l’appalto, in modo considerevole, ad elementi non previsti;
  2. alterare l’equilibrio economico contrattuale in favore dell’aggiudicatario;
  3. rimettere in discussione l’aggiudicazione dell’appalto, nel senso che, «se esse fossero state previste nei documenti disciplinanti la procedura di aggiudicazione originaria, sarebbe stata accolta un’altra offerta oppure avrebbero potuto essere ammessi offerenti diversi”.

Sulla base di tali coordinate interpretative e nel richiamo all’istituto disciplinato dall’articolo 106 del Codice degli Appalti attualmente vigente, il collegio amministrativo ancorandosi a quanto espresso da orientamento recente (T.A.R. Toscana, Sez. I, 25 febbraio 2022, n. 228), sottolinea come tale complesso di regole e principi, possa trovare regolarmente applicazione “anche nel caso come quello di specie, ancorchè le sopravvenienze che hanno determinato le modifiche deliberate dalla Regione siano intervenute nella fase tra l’aggiudicazione e la stipula del contratto”. Ed ancora militano a favore della soluzione accolta anche i principi di buona amministrazione ed economia delle risorse pubbliche: la indizione di una gara per l’affidamento della concessione di trasporto pubblico locale costituisce un impegno straordinario per l’amministrazione oltre a rispondere ad esigenze essenziali della collettività. Per questo i suoi esiti non possono essere vanificati in ragione di qualunque sopravvenienza che imponga una revisione delle condizioni contrattuali originariamente fissate, dovendosi pervenire alla sua reiterazione, così come in fase di esecuzione del contratto, solo se le modifiche assumano carattere essenziale”.

Il T.A.R. SARDEGNA peraltro, nel richiamare i due indirizzi giurisprudenziali esaminati, ritiene di aderire proprio al secondo orientamento ammettendo dunque la possibilità di modificare il contenuto di alcune clausole contrattuali proprio nella fase intercorrente tra  l’aggiudicazione e il contratto.  

Più precisamente secondo il collegio amministrativo, la correttezza della linea interpretativa che si ricava dalla seconda tesi (e che trova perfetta aderenza anche nel pensiero di autorevole dottrina), trova un giusto assetto e una perfetta quadratura in relazione a due aspetti chiave così riassumibili: innanzitutto, la legittimità di una rinegoziazione sarebbe da rinvenire nella ratio stessa dell’istituto,  finalisticamente inteso a riequilibrare il rapporto contrattuale sotto il profilo economico, dal momento che “non vi è una disciplina specifica delle sopravvenienze applicabile tra la fase dell’aggiudicazione e la stipulazione del contratto”; inoltre, la giusta e bilanciata applicazione del principio di economicità unitamente al principio di buon andamento – richiamati dal comma 1 art. 30 del Codice dei contratti pubblici –  tende a scongiurare “ una riedizione della gara che diversamente s’imporrebbe in tutti i casi di modifica ancorchè non essenziale delle condizioni”.

Secondo i giudici amministrativi in ogni caso, appare corretto e condivisibile il richiamo alla giurisprudenza unoniale la quale, nella sua impostazione “si riferisce sempre al momento dell’aggiudicazione, ammettendo come visto le modifiche non sostanziali, valorizzando dunque la tipologia e non il momento in cui intervengono”.  In sostanza, data per certa la regola secondo la quale è lecito modificare le condizioni del contratto in un momento prodromico alla stipula contrattuale (visto che le modifiche non considerate essenziali valorizzano la tipologia delle stesse e non il momento in cui intervengono), i giudici del  T.A.R. SARDEGNA optano per la legittimità e l’ammissibilità della clausola del contratto “nella parte in cui ha previsto un adeguamento del compenso per l’appalto rispetto alla procedura di gara in ragione del lungo tempo trascorso tra la presentazione dell’offerta e la stipulazione del contratto stesso”.

Conseguentemente il collegio amministrativo accoglie il ricorso dell’impresa, concludendo nella chiosa finale sul fatto che gli atti impugnati contro l’amministrazione, vanno annullati in quanto illegittimi nella parte in cui hanno ritenuto nulla la clausola contrattuale su cui era fondata la richiesta da parte ricorrente.

Considerazioni finali

La sentenza analizzata pone sul tappeto importanti riflessioni per gli addetti ai lavori nel settore degli appalti e più in generale nel settore della contrattualistica pubblica.

Seguendo in astratto la logica stabilita delle coordinate ispirate dai principi generali di parità di trattamento e obbligo di trasparenza infatti, si dovrebbe ritenere che nella fase susseguente all’aggiudicazione di un appalto pubblico, la ratio del sistema normativo attuale, sarebbe da ostacolo e quindi tenderebbe a impedire a che l’amministrazione e l’impresa aggiudicataria, possano apportare modifiche talmente rilevanti da rivoluzionare con caratteristiche diverse quella che era l’originaria fisiologia dell’appalto aggiudicato in fase iniziale.

In realtà nella sua applicazione e nei suoi risvolti pratici, si ricava che la regola dell’immodificabilità del contratto non ha carattere cogente e assoluto, e proprio sulla base delle sentenze stabilite dalla giurisprudenza anche della Corte di Giustizia Unione Europea, si manifesta oggi, un’apertura più coraggiosa verso l’ammissione di forme di modifiche contrattuali a carattere non sostanziale, valorizzando la tipologia delle clausole contrattuali, e non tanto il momento in cui intervengono.

 

Note

([1]) Negli stessi termini si veda anche T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 10.06.2022, n. 1343.

([2]) Sul punto i giudici del TAR SARDEGNA aggiungono che rispetto alla necessità di intervenuta stipulazione del contratto, tale tesi “ha evidenziato come tale momento sarebbe dirimente ai fini del riparto di giurisdizione quale elemento cardine di passaggio dalla fase pubblicistica a quella privatistica”, ma non rivestirebbe analoga importanza se si guarda “alla realtà economica dell’appalto, che presenta invece una sua fisiologica continuità”, come dimostrato, da un lato, dal fatto che può essere richiesta l’esecuzione anticipata prima della sottoscrizione dell’accordo e, dall’altro, che anche nella fase successiva la natura pubblica dell’appaltante può giustificare ipotesi speciali di caducazione del rapporto, come la risoluzione a seguito dell’emissione di un’interdittiva antimafia a carico dell’impresa”.

 


Fonte: Dott. Avv. Renzo Cavadi - Funzionario direttivo Ministero dell'Istruzione - Ufficio Scolastico Regionale per la Sicilia