Le chat di Whatsapp possono avere valore legale: la Cassazione ha esposto chiaramente il principio in un alcune sue pronuncie giuridiche. Ecco cosa occorre sapere.
La Corte di Cassazione, con una nota sentenza, ha ammesso il valore di prova legale delle conversazioni avvenute tramite Whatsapp. Occorre però, seguendo la pronuncia giuridica della Corte, quale sia la portata e quali siano i casi direttamente interessati da questo specifico giudizio.
Il giudizio della Corte mira, nella sostanza, a sollecitare una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, preferiti a quelli adottati dal giudice di merito, perchè ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa.
Di recente, ricordiamo, ci si è pronunciati anche sui casi di reato nel leggere le conversazioni Facebook del proprio coniuge.
Chat di Whatsapp, valore legale: la Cassazione docet
La prova informatica, per essere effettivamente «prova» in sede processuale dovrà possedere alcune rilevati ed imprescindibili caratteristiche, tra le quali un ruolo di particolare rilevanza è rivestito dall’integrità.
La registrazione di tali conversazioni, operata da uno degli interlocutori, costituisce una forma di memorizzazione di un fatto storico, della quale si può certamente disporre legittimamente ai fini probatori, trattandosi di una prova documentale, atteso che l’art. 234 c.p.p., comma 1, prevede espressamente la possibilità di acquisire documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo.
L’utilizzabilità della stessa è, tuttavia, condizionata dall’acquisizione del supporto – telematico o figurativo contenente la menzionata registrazione, svolgendo la relativa trascrizione una funzione meramente riproduttiva del contenuto della principale prova documentale
Questo perchè occorre controllare l’affidabilità della prova medesima mediante l’esame diretto del supporto onde verificare con certezza sia la paternità delle registrazioni sia l’attendibilità di quanto da esse documentato.
Occorrerà, inoltre, operare sulle copie e non con i file originali. Occorre però precisare che non si tratta di semplici copie ma di immagini che riproducono esattamente il contenuto, espresso in formato digitale, del supporto di memorizzazione oggetto d’indagine.
Viene così nel caso specifico rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile.
A questo link il testo completo della Sentenza.