quadri aziendaliLa base imponibile per la registrazione del contratto deve tener conto del valore totale dell’atto di acquisto inclusi, quindi, i debiti ereditati dall’acquirente della società.

 

Nella cessione d’azienda, l’imposta di registro proporzionale si applica su tutto ciò che forma il corrispettivo del trasferimento e, quindi, non solo il prezzo corrisposto in denaro, ma anche gli oneri e le passività che – per effetto della cessione – vengono a far carico al cessionario. Si tratta, infatti, solo di diverse modalità convenute dai contraenti per il pagamento del prezzo concordato, che non assumono rilevanza per la determinazione della base imponibile.

 

Lo ha affermato la Corte di cassazione nella sentenza 23873 del 23 novembre 2015.

 

La vicenda processuale

 

La controversia trae origine dall’impugnazione di un avviso di liquidazione, con il quale l’ufficio ha richiesto alle parti contraenti il pagamento dell’imposta suppletiva di registro in relazione a un contratto di cessione di ramo d’azienda. Detto recupero è derivato dalla correzione della liquidazione dell’imposta effettuata in sede di registrazione del contratto; in particolare, l’ufficio aveva tenuto conto – come base imponibile cui commisurare l’imposta – di una somma indicata dalle parti quale prezzo “netto della cessione” e non del maggiore corrispettivo indicato in atto “al lordo degli accolli dei debiti”, che invece assume rilievo ai sensi dell’articolo 51 del Dpr 131/1986.

 

I giudici di prime cure hanno rigettato il ricorso proposto dalle parti affermando, la legittimità dell’atto impositivo sia sotto il profilo della natura dell’atto emesso dall’ufficio sia per quanto concerne il merito.

 

La Commissione tributaria regionale, a seguito di appello dei contribuenti, ha – da un lato – ribadito la correttezza dell’atto in quanto rapportabile alla categoria degli avvisi di liquidazione, mentre – dall’altro – ha riformato la sentenza di primo grado nella parte concernente il merito, ritenendo corretto individuare la base imponibile nel solo importo versato dal cessionario al cedente al netto dei debiti accollati.

 

Secondo i giudici, invero, “in tale atto si ravvisano delle incongruenze lessicali nella individuazione del corrispettivo che viene indicato in € 942.000,00, al lordo degli accolli dei debiti. Tale espressione in realtà induce l’interprete ad un giudizio di intrinseca contraddittorietà poiché il prezzo della compravendita rappresenta il sacrificio economico finale sopportato da una parte per ottenere in cambio la proprietà di un determinato bene e non può essere indicato al lordo o al netto.

 

Tuttavia, il prezzo che viene indicato quale “netto di cessione”, a parere della Ctr, in base alle predette considerazioni sulla natura del corrispettivo economico nel contratto di compravendita, “meglio si presta ad integrare la base imponibile ai fini dell’imposta di registro come avvenuto in un primo tempo nella fattispecie”.
Ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle Entrate.

 

Decisione

 

Con la sentenza in commento, la Corte di cassazione ha ritenuto fondato il motivo di ricorso formulato dall’Amministrazione finanziaria, che ha denunciato la violazione di legge da parte della Ctr, con riferimento agli articoli 21 (ultimo comma), 43 e 51 (commi 1, 2 e 4), del Dpr 131/1986, affermando che, nel caso di cessione di ramo di azienda, qualora sia convenuto che parte del pagamento del prezzo avvenga mediante accollo, da parte dell’acquirente, dei debiti dell’alienante, tale accollo costituisce una modalità di adempimento dell’obbligazione di pagamento del prezzo e, quindi, concorrere a formare la base imponibile su cui calcolare l’imposta di registro sull’atto di cessione.

 

Più specificamente, i giudici di legittimità hanno ritenuto giuridicamente errata la tesi del giudice di seconde cure, poiché poggia esclusivamente sull’affermazione che il prezzo di una compravendita “non potrebbe essere indicato al lordo e al netto”, avendo la Corte già chiarito che “in materia d’imposta di registro, per la determinazione della base imponibile nessuna rilevanza può attribuirsi alle modalità convenute dai contraenti per il pagamento del corrispettivo, quand’anche tali modalità si risolvano nell’accollo dei debiti aziendali da parte del cessionario (sent. n. 12215/2008)”.

 

Inoltre, a parere della Corte suprema, ai fini della determinazione del valore dell’atto di acquisto di un complesso aziendale secondo il criterio del valore dichiarato dalle parti – che l’articolo 51, comma 1, del Dpr 131/1986 pone a base normale della tassazione – “non si debbono detrarre dal prezzo indicato nel contratto le eventuali passività trasferite unitamente al cespite, poiché tale operazione è prevista dall’art. 51, comma quarto, del d.P.R. citato per la specifica ipotesi in cui l’Ufficio finanziario disattenda detto valore e proceda ad autonoma valutazione, nel qual caso soltanto esso dovrà sottrarre le passività al prezzo di mercato del bene (ord. n. 22223/2011)….”.

 

Osservazioni

 

Le conclusioni assunte dalla Cassazione nella sentenza in commento si pongono in linea con l’orientamento già espresso in numerosi precedenti, tra i quali si richiamano le ordinanze 8912/2014 e 22223/2011, e la sentenza 12215/2008. In sostanza, secondo i giudici di legittimità, come regola generale di determinazione della base imponibile ai fini dell’imposta di registro nella cessione dell’azienda o di un ramo di essa, occorre fare riferimento alla “maggior somma risultante tra il corrispettivo dichiarato ed il valore accertato, per cui nessuna rilevanza può attribuirsi alle modalità con cui gli stessi contraenti hanno convenuto il pagamento del corrispettivo per la cessione dell’azienda, corrispettivo che nei caso di specie era costituito dall’accollo da parte dell’acquirente dei debiti dell’azienda” (Cassazione, sentenza 12215/2008).

 

Invero, gli accolli dei debiti contestuali ad altre disposizioni non scontano autonomamente l’imposta di registro, per cui gli stessi, in pratica, devono considerarsi alla stregua di una semplice modalità di pagamento del prezzo convenuto.

 

Ciò si desume, a parere della Corte suprema, dal disposto degli articoli 21, comma 3, e 43, comma 2, del Dpr 131/1986, i quali prevedono rispettivamente che:

 

 

  • non sono soggetti a imposta gli accolli di debiti e oneri collegati e contestuali ad altre disposizioni nonché le quietanze rilasciate nello stesso atto che contiene le disposizioni cui si riferiscono

 

  • i debiti o gli altri oneri accollati e le obbligazioni estinte per effetto dell’atto concorrono a formare la base imponibile.

 

 

In pratica, gli accolli di debiti sono sottratti dal legislatore ad autonoma imposizione ai fini dell’imposta di registro in quanto già concorrenti alla formazione della base imponibile in relazione all’atto che contiene le disposizioni cui si riferiscono, la quale va determinata tenendo conto non solo del “prezzo corrisposto in denaro”, ma anche degli oneri e delle passività che – per effetto della cessione – vengono a far carico al cessionario e che si risolvono in una modalità di pagamento del corrispettivo.

 

Nella sentenza in esame, la Corte di cassazione ha esaminato, altresì, il rapporto tra il disposto dei commi 1 e 4 dell’articolo 51 del Dpr 131/1986, ribadendo un orientamento consolidato (vedi sentenze richiamate). In particolare, i giudici di legittimità hanno chiarito che, ai fini della determinazione del valore dell’atto di acquisto di un complesso aziendale secondo il criterio del valore dichiarato dalle parti (che l’articolo 51, comma 1, del Dpr 131/1986 pone a base normale della tassazione), non si debbono detrarre dal prezzo indicato nel contratto le eventuali passività trasferite unitamente al cespite, poiché lo scomputo delle passività è operazione prevista solo dal comma 4 dell’articolo 51 medesimo, ossia nella specifica ipotesi in cui l’ufficio finanziario disattenda detto valore e proceda a una autonoma valutazione.