celle-piccole-risarcimento-carcere-innocenteFa ancora discutere il caso di Beniamino Zuncheddu, condannato a 32 anni di carcere ma poi dichiarato innocente: adesso arriva un mini risarcimento per gli anni in galera, ma sono sufficienti a rimediare al danno?


La storia di Zuncheddu è un dramma che si è protratto per decenni. Condannato all’ergastolo per la tragica strage di Sinnai, nel sud Sardegna, avvenuta nel lontano 1991, è stato finalmente assolto il 27 gennaio scorso e rimesso in libertà dalla Corte d’appello di Roma al termine di un processo di revisione.

La sua difesa, affidata all’avvocato Mauro Trogu, ha presentato nel 2016 una richiesta di risarcimento per le terribili condizioni di detenzione patite nei vari istituti carcerari, tra cui il carcere di Buoncammino a Cagliari e quello di Badu ‘e Carros a Nuoro.

Risarcimento che adesso, seppur di certo non milionario, è arrivato.

Celle piccole e sovraffollate: mini risarcimento per 32 anni in carcere da innocente

Il Tribunale di Sorveglianza di Cagliari ha stabilito pertanto che lo Stato dovrà versare circa 30.000 euro in risarcimento per le condizioni detentive disumane che Zuncheddu ha dovuto subire.

Dopo un’accurata istruttoria, il magistrato di sorveglianza ha riconosciuto il diritto di Zuncheddu a ottenere il risarcimento, nonostante l’opposizione del Ministero della Giustizia. I giudici hanno stabilito che la sua detenzione è stata “inumana e degradante”, violando così la Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo. Si è fatto riferimento alle direttive della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, che stabiliscono criteri riguardanti lo spazio vitale minimo che ogni detenuto dovrebbe avere a disposizione.

Nel frattempo, si stanno aprendo nuove indagini per individuare i veri responsabili della strage di Sinnai. Il Procuratore Generale di Cagliari, Luigi Patronaggio, ha recentemente trasferito tutti gli atti istruttori alla competente Procura di Cagliari per riaprire l’inchiesta su questo tragico evento avvenuto nell’ormai lontano 1991. La strage, avvenuta nell’ovile di Cuile is Coccus, ha causato la morte di tre persone e ha segnato indelebilmente la vita di Zuncheddu, vittima di un’ingiusta accusa e di anni di privazione della libertà.

Si tratta di un risarcimento adeguato?

Mentre la notizia del risarcimento di circa 30.000 euro a Beniamino Zuncheddu per i 32 anni di ingiusta detenzione potrebbe sembrare un passo verso la riparazione di un grave errore giudiziario, è fondamentale interrogarsi sulla reale adeguatezza di tale compensazione. Infatti, dietro a questo importo si nasconde una questione più profonda che riguarda il valore della libertà e della dignità umana, spesso non quantificabili in termini monetari.

Il periodo di 32 anni trascorsi dietro le sbarre rappresenta un’ingiustizia insostenibile, un lungo incubo vissuto da Zuncheddu, un tempo prezioso irrimediabilmente perduto. Durante questi anni, ha dovuto affrontare non solo la privazione della libertà, ma anche condizioni detentive disumane e degradanti, come riconosciuto dal Tribunale di Sorveglianza di Cagliari. Le dimensioni ristrette delle celle e il sovraffollamento hanno contribuito a rendere la sua esperienza carceraria ancora più tormentata, trasformando la punizione in una vera e propria tortura psicologica.

Di fronte a una tale ingiustizia, l’importo del risarcimento appare quasi come un’espressione di superficialità. Come possiamo quantificare il prezzo di tre decenni persi, di opportunità negate, di rapporti interrotti, di speranze infrante? È davvero possibile compensare adeguatamente una vita spezzata?

Inoltre, va considerato che Zuncheddu non è solo una vittima dell’errore giudiziario, ma anche dei suoi effetti collaterali: l’impossibilità di costruire una carriera, di mantenere relazioni stabili, di godere di una vita normale. L’impatto psicologico e emotivo di un’esperienza così traumatica è incalcolabile e può persistere per anni, se non per tutta la vita.

Si ricorda comunque che la battaglia legale di Zuncheddu è ancora in corso. L’avvocato Trogu sta ora attendendo il termine dei 90 giorni previsti per il deposito delle motivazioni della sentenza di assoluzione di Roma, dopodiché si apriranno altri 45 giorni per un’eventuale impugnazione. Solo allora Zuncheddu potrà presentare una seconda richiesta di risarcimento, questa volta per l’ingiusta detenzione durata 32 anni, un periodo trascorso dietro le sbarre nonostante fosse innocente, come ha dimostrato il processo di revisione.

Pertanto, mentre si riconosce il gesto del Tribunale di Sorveglianza di Cagliari nel concedere il risarcimento a Zuncheddu, non si può fare a meno di chiedersi se sia sufficiente. Questo caso ci spinge a riflettere sulla necessità di rivedere i criteri di compensazione per gli errori giudiziari, al fine di garantire una vera e propria riparazione per le vittime e di scongiurare il ripetersi di simili tragedie in futuro.

Il triste scenario delle carceri Italiane: un’emergenza umana da affrontare

L’ingiusta detenzione di Beniamino Zuncheddu non è soltanto un tragico errore giudiziario, ma anche un riflesso di un problema più ampio e sistemico: le condizioni disumane e degradanti delle carceri italiane. La storia di Zuncheddu ci offre uno sguardo penetrante sulle realtà nascoste dietro le mura delle nostre istituzioni penitenziarie, dove la sofferenza e la disperazione sono spesso all’ordine del giorno.

Le celle piccole e sovraffollate, denunciate nel caso di Zuncheddu, sono una triste realtà che affligge molte carceri italiane. Queste condizioni non solo violano i diritti fondamentali dei detenuti, ma contribuiscono anche a rendere il sistema carcerario un luogo di punizione, piuttosto che di rieducazione e reinserimento sociale. La mancanza di spazio vitale, di privacy e di dignità mina la salute fisica e mentale dei detenuti, alimentando rabbia, frustrazione e disperazione.

Inoltre, il sovraffollamento carcerario rappresenta una sfida significativa per il personale penitenziario, che spesso si trova a gestire un numero di detenuti ben al di sopra della capacità delle strutture. Questo può portare a situazioni di tensione e conflitto, mettendo a rischio la sicurezza sia dei detenuti che del personale.

È evidente che le condizioni delle carceri italiane richiedono urgenti interventi e riforme. È necessario investire risorse per migliorare le infrastrutture carcerarie, garantendo spazi adeguati e dignitosi per i detenuti. Allo stesso tempo, occorre adottare politiche volte a ridurre il sovraffollamento carcerario, attraverso l’implementazione di alternative alla detenzione per i reati minori e il potenziamento dei programmi di reinserimento sociale.

Ma la questione va oltre la mera questione di infrastrutture e politiche carcerarie. È necessario affrontare le cause profonde dell’elevato tasso di incarcerazione in Italia, tra cui la povertà, la disuguaglianza sociale, la marginalizzazione e l’inefficienza del sistema giudiziario. Solo attraverso un approccio olistico e integrato possiamo sperare di trasformare il sistema carcerario italiano in un luogo di rieducazione, riabilitazione e giustizia sociale.

Il caso di Zuncheddu ci ricorda che dietro ogni cifra e statistica ci sono storie umane di sofferenza e ingiustizia. È nostro dovere, come società civile, confrontarci con queste realtà, mobilitandoci per un cambiamento reale e duraturo. Solo così potremo sperare di costruire un futuro in cui la giustizia e la dignità umana siano garantite per tutti, senza eccezioni.

 


Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it