settore statale, regime fiscaleNella sentenza in rassegna (n. 23742/2015), la Cassazione è chiamata a pronunciarsi sul trattamento fiscale dei proventi in denaro conseguiti a titolo di contributo o di liberalità di cui alla lettera b) del terzo comma dell’articolo 55 del Tuir (ante 2004).

 

Nella specie, la società contribuente, in relazione a un finanziamento di durata decennale, con rate semestrali posticipate, contratto con un istituto bancario nel 1989 (in parte destinato all’acquisto di materie prime e in parte all’acquisizione di impianti e, quindi, di beni ammortizzabili), aveva, nello stesso anno, ottenuto un contributo dalla regione Friuli Venezia Giulia ai sensi della legge regionale n. 25/1965 erogato in quote semestrali (anch’esse posticipate). A partire dal 1991, quando erano state erogate le prime due tranche del contributo e fino al 1997, la società aveva trattato le componenti dello stesso diversamente sotto il profilo contabile e fiscale. Da un canto, aveva considerato quale provento in conto esercizio gli interessi sulle somme per l’acquisto di materie prime (scorte) e, dall’altro, “contributo in conto impianti” la parte destinata ad abbattere gli interessi sulle somme per l’acquisto di beni strumentali. Tale parte del contributo era stata fatta confluire nella riserva di patrimonio netto in sospensione di imposta ai sensi dell’articolo 55, comma 3, lettera b), del Tuir (ante 1998), che considerava sopravvenienze attive – tra gli altri – i “proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di contributo”, il cui ammontare, nel limite del 50% se accantonato in apposita riserva, concorreva a formare il reddito nell’esercizio nella misura in cui il fondo fosse stato utilizzato per scopi diversi dalla copertura di perdite di esercizio.

 

Negli esercizi 1998 e 1999 (l’ultima tranche di finanziamento e contributo erano state versate rispettivamente il 30 giugno e il 1° luglio 1999), per la parte di contributo relativa all’acquisto di beni strumentali, non era stata incrementata in misura corrispondente la riserva di patrimonio netto in sospensione di imposta, non essendo ciò più praticabile per intervenuta modifica dell’articolo 55, comma 3, lettera b), del Tuir a opera dell’articolo 21 della legge n. 449/1997 (in vigore dal 1° gennaio 1998), che aveva escluso tale possibilità, eliminando la relativa previsione normativa. Piuttosto, la società aveva contabilizzato un “risconto passivo” per differire il rimanente contributo lungo la residua vita utile dei cespiti acquistati con il finanziamento. Il risconto era stato progressivamente diminuito, anno per anno, della quota di competenza di tale contributo secondo il piano di ammortamento dei beni strumentali.

 

Con riferimento, invece, alla parte di contributo relativa all’acquisto di scorte negli esercizi 1998 e 1999, questa era stata considerata in conto esercizio come ricavo, così come avvenuto nei precedenti esercizi. Ebbene, dal raffronto dell’evoluzione dei fatti di causa con quella delle modifiche legislative che nel periodo in questione hanno interessato la lettera b) dell’articolo 55 del Tuir e, in particolare, il trattamento fiscale dei “proventi in denaro….a titolo di contributo”, il Collegio ha ritenuto che il trattamento, dapprima contabile e poi fiscale, dei proventi in denaro ricevuti a titolo di contributo adottato dalla società contribuente, accantonati in apposita riserva di patrimonio netto in sospensione di imposta, non poteva essere considerato giuridicamente corretto. Ciò in quanto ogni tranche del contributo erogato dalla Regione è stato “utilizzato” immediatamente per il pagamento della tranche di finanziamento. Ciò ha comportato che, se da un canto gli interessi passivi corrisposti per il finanziamento sono stati contabilizzati al passivo dell’esercizio, la mancata contabilizzazione della corrispondente tranche di contributo – illegittimamente accantonato a riserva in sospensione di imposta – ha determinato la mancata esposizione in bilancio della “corrispondente” voce di “attivo”, con conseguente minor reddito fiscale illegittimamente dichiarato.

 

Quanto, infine, alla scelta adottata nell’esercizio 1999 e, in particolare, alla tecnica del “risconto” utilizzata dalla società, la Cassazione ha ritenuto anche questa scorretta. Ciò perché la stessa presuppone un collegamento (non previsto dalla norma) tra l’erogazione del contributo, quale manifestazione finanziaria, con la “vita utile” dei cespiti acquisiti con il finanziamento. E tale scelta è stata assunta in un periodo nel quale l’articolo 55, nella versione vigente ratione temporis, consentiva esclusivamente due alternative: l’integrale allocazione dei proventi in denaro nell’esercizio in cui sono stati incassati ovvero l’allocazione degli stessi in quote costanti nell’esercizio di incasso e nei successivi, non oltre il quarto. Il tutto in base a una allocazione contabile e fiscale diversa dal “risconto passivo”.