L’uso medico della cannabis ha prospettive interessanti. Ma gli studi finora sono ancora troppo pochi per trarre conclusioni sulla sua efficacia e sicurezza, soprattutto “a lungo termine?
Quindi “il discorso è ancora aperto”. Oppure, detta in altri termini, “è un po’ un campo minato“. Parola di Patrizia Hrelia, presidente della Società italiana di Tossicologia (Sitox), che questa mattina all’Accademia delle Scienze di Bologna ha aperto la giornata di studi proprio sulla cannabis terapeutica. “Se ne parla tanto- spiega Hrelia, parlando alla ‘Dire’ a margine del convegno- ma il grande problema è che ci sono pochi studi sull’uso medico della cannabis. Non c’è ancora un dato sulla tossicità che sia utile a trarre conclusioni sull’efficacia e la sicurezza della sostanza”. Dunque, sottolinea Hrelia, “è un discorso aperto”.
La legge del novembre 2015 che ha dato il via libera agli usi medici della cannabis ha “fortemente standardizzato” sia le preparazioni sia la dispensazione del prodotto, che ad esempio può essere assunto solo con un decotto o con aerosol tramite un vaporizzatore specifico. Inoltre, sono strettamente definiti anche i casi in cui può essere utilizzata la cannabis medica: per la terapia del dolore nei pazienti affetti da sclerosi multipla; contro nausee e vomito causati da chemioterapia, radioterapia e terapie per Hiv; come stimolante dell’appetito nella cachessia, anoressia e malati di Aids; per combattere l’effetto ipotensivo del glaucoma; per contrastare gli spasmi dovuti alla sindrome di Gilles de la Tourette. Definite anche le controindicazioni per adolescenti, persone con disturbi cardio-polmonari, malati epatite e con grave insufficienza renale, oltre a chi ha alle spalle disturbi psichiatrici, abuso di sostanze, tossicodipendenze o terapie con antidepressivi. Va evitata, naturalmente, anche in gravidanza.
Le prospettive terapeutiche della cannabis sono interessanti- afferma Hrelia- ma non c’è un dato certo sul fronte della sicurezza. Non si conoscono gli effetti a lungo termine. E’ un po’ un campo minato, per questo ci vuole chiarezza, formazione e corretta informazione sia agli operatori sia ai cittadini, ai quali in particolare non bisogna creare false speranze perchè la cannabis è un farmaco sintomatico e non curativo”. Finora, continua la presidente della Sitox, “non hanno segnalato effetti tossicologi” derivanti dall’uso medico della cannabis, ma “sul lungo periodo non lo sappiamo. Gli studi sono ancora pochi per avere un quadro completo. Oggi conosciamo soprattutto controindicazioni e interazioni con altri farmaci”.
Il progetto pilota avviato dal ministero nel 2015, che terminerà alla fine del 2017, riguarda il preparato Cannabis FM-2, che ha un basso contenuto di Thc (5-8%), il principio attivo responsabile dei disturbi psicotici legati al consumo della sostanza, e di cannabidiolo (Cbd). La pianta viene coltivata a Firenze, all’interno dell’Istituto chimico militare. “E’ un progetto coraggioso, una scommessa del ministero- aggiunge il farmacologo Gioacchino Calapai dell’Università di Messina, membro del tavolo tecnico dello stesso ministero sulla fitomedicina- fatta un po’ al buio. Anche se i risultati prodotti non hanno finora fornito risposte esaustive, è evidente che l’uso a lungo termine della cannabis produce un deficit nell’apprendimento, che si riflette sull’iter e sul rendimento negli studi”. Sulla questione ci sono però “studi contrastanti”, perchè alcune ricerche sostengono ad esempio che “l’effetto non sia irreversibile”. Per questo, insiste Calapai, “è importante investigare sulle modalità di somministrazione alternative al fumo per mitigare i danni, sull’efficacia e la sicurezza delle preparazioni e sul ruolo dei principi attivi Thc e Cbd”.