Quando tentare di rincorrere i giovani ed il contemporaneo rischia di diventare un autogol!
È stata da poco lanciata dal Dipartimento dell’Informazione e l’Editoria e del Dipartimento della Funzione pubblica la campagna “Pubblica Amministrazione. Più che un posto fisso un posto figo!” e presumiamo che, anche stavolta, non mancheranno reazioni di opinione pubblica ed influencer.
E sì perché la campagna istituzionale presentata a Roma lo scorso 14 settembre alla presenza, fra gli altri, del ministro per la Pubblica amministrazione Paolo Zangrillo e del Sottosegretario all’Editoria Alberto Barachini e della testimonial Orietta Berti, difficilmente potrà lasciare indifferenti perché rispecchia questi strani tempi in cui nel tentativo di rincorrere il linguaggio contemporaneo dei “giovani” si arriva a consolidare e rafforzare stereotipi che invece si vorrebbero (e dovrebbero) superare.
Campagna istituzionale “Pubblica Amministrazione. Più che un posto fisso, un posto figo!”
Stando alle dichiarazioni del Ministro per la Pubblica amministrazione, Paolo Zangrillo, la finalità della campagna è di “scardinare i vecchi stereotipi per raccontare come sta cambiando la Pubblica amministrazione, scoprire le opportunità del pubblico impiego e il valore di lavorare per la collettività“.
Ebbene, temo che tali nobili intenzioni si scontrino con uno slogan che invece di ancorare il messaggio sulla sfera dei valori di cui si vuole fare portatrice la nuova Pubblica Amministrazione finisce per far trionfare il ‘luogo comune’.
La domanda che sorge spontanea infatti, per dirla alla Antonio Lubrano, è: “Ma perché usare stereotipi per abbattere gli stereotipi? “. Ma poi soprattutto, perché farlo se, stando sempre alle parole del Ministro Zangrillo ” il mito del posto fisso è ormai superato” e i giovani “non si accontentano della stabilità“?
Se davvero questi due luoghi comuni sono “datati” per i giovani non si vede la necessità di una campagna di comunicazione che utilizzi due stereotipi per far tornare alla mente ciò che naturalmente i giovani avrebbero culturalmente superato!
Il problema del “posto fisso”
Ma vediamo da dove proviene il convincimento del Ministro in base al quale “i giovani non hanno più il mito del posto fisso”.
Sembrerebbe che alcuni concorsi pubblici recentemente indetti, forse a dispetto delle previsioni, non abbiano ricevuto molte candidature e che vi siano stati casi in cui i vincitori abbiano rifiutato il posto loro offerto.
Ebbene tali circostante non sono che delle eccezione rispetto alla regola e non testimoniano tout court la scarsa attrattività dei giovani verso il pubblico impiego; forse è più probabile ritenere che, laddove i profili richiesti sono di livello medio alto (in termini di anni di expertise e di competenze specialistica) le scelte lavorative dipendono da un ventaglio più ampio di fattori.
Purtroppo ancora oggi, come rappresenta in modo parossistico il film di Checco Zalone, la cultura del “posto fisso” in Italia è lontana dall’essere superata perché viene ancora associata ad un sistema di lavoro privilegiato e protetto a vita.
Sebbene la PA sia sempre più impegnata a gestire le sfide di una società sempre più mutevole e complessa, la percezione che gran parte dell’opinione pubblica ha ancora rispetto ad essa è che si tratti quasi sorta di casta che, più che agire per il bene della collettività spesso tenda a perpetuare se stessa.
Se la Pubblica Amministrazione avesse attivato sistemi di ascolto del cittadino adottando strumenti di customer satisfaction, sia rispetto ai propri clienti interni (personale) che rispetto ai propri utenti, sarebbe più facile poter ancorare il convincimento del Ministro a qualcosa di più solido e fondato.
Il problema del “posto figo”
Per quanto riguarda invece il “posto figo” , ancorché l’espressione faccia parte del gergo informale, riteniamo che sia divenuto concettualmente obsoleto non tanto nella sostanza quanto nel linguaggio di un giovane, almeno quello con un livello culturale medio alto.
Pensare che i giovani cerchino un ‘posto figo’ per crescere professionalmente è infatti intrinsecamente scorretto.
Giovani dinamici, preparati, culturalmente aperti al mondo e alle sfide, cercano di lavorare in organizzazioni altrettanto dinamiche, all’avanguardia dove per esempio il termine meritocrazia non faccia rima con utopia, dove le possibilità di carriera e di crescita siano valutate in maniera costante e non discrezionale e conseguenti al raggiungimento di obiettivi.
Ma poiché purtroppo non è sempre facile trovare in Italia “il posto giusto o quello migliore” rispetto al proprio livello di preparazione, sempre più brillanti giovani decidono di intraprendere carriere professionali all’estero.
Stando agli ultimi dati forniti da Istat e Svimez, sarebbero 31.000 i “cervelli in fuga” rispondenti al seguente identikit: età compresa tra 25 e 34 anni con un titolo di studio medio altro, in prevalenza laurea o superiore alla laurea.
Il problema del linguaggio
Evidentemente, anche questi dati rendono evidente che, la semplificazione dei concetti non aiuta mai ad avvicinarsi ad una realtà complessa come quella del mondo del lavoro che deve fare i conti con tante problematiche non solo di carattere salariale (che nel dibattito pubblico attuale sembra essere l’unico problema), ma con il mismatch tra domanda e offerta di lavoro, gap di genere, lavoro irregolare e sommerso e il possibile tsunami chiamato intelligenza artificiale (IA).
Per questo, dovendo giudicare la campagna dal suo claim, ci sembra che più che giocare sugli stereotipi li rafforzi, utilizzando un linguaggio che si vorrebbe ampiamente superato ma che così usato finisce per persistere.
Il linguaggio non è che lo specchio del pensiero e del tempo in cui si colloca, e rappresentare dunque la Pubblica Amministrazione come un posto figo, rende del tutto evidente il gap culturale della stessa rispetto alla realtà.
Conclusioni
Se la Pubblica Amministrazione vuole davvero incarnare dei valori che vadano ben oltre il posto fisso dovrebbe fare propri quello della qualità, dell’orientamento al cliente, del miglioramento continuo del servizio, della parità di genere, dell’inclusività, della valutazione e del merito, dell’innovazione e della creatività contro la mera burocrazia.
Insomma, non sarebbe male poter sostituire nell’immaginario collettivo la visione della PA come santuario di norme, cavilli e vincoli, con quella più moderna di rappresentare un asset strategico della crescita del Paese, capace anche di rimettere in moto quell’ascensore sociale che è stato alla base dello sviluppo e del progresso dell’Italia del dopoguerra.
Essersi limitati invece a giocare con stereotipi certamente non contribuisce a far fare all’Italia quel salto culturale che sarebbe oltremodo auspicabile.
Ma forse, come canta la nostra Orietta Berti nazionale, “finchè la barca va…”, la si lascia andare!
Fonte: articolo di Francesca Liani
Se si sono ridotti a reclutare gente nella pubblica amministrazione con degli spot come questo, invece di premiare economicamente i dipendenti…
siamo proprio arrivati alla frutta.
Il problema non sono gli spot, ma il tragico stato in cui versa la P.A., sopratutto il comparto degli EE.LL., in particolare i piccoli enti. Non si può pensare di mascherare la realtà mistificando. Non ci può essere alcuna attrattività in una situazione simile. Gli uomini e le donne di valore guardano opportunamente altrove, come è giusto.
Non credo che si possa riformare il tutto con provvedimenti di piccolo cabotaggio e quelli che occorrerebbero, non si possono adottare……