camere di commercio, imprese straniere unioncamereSul Corriere della sera il presidente di Confcommercio sottolinea che “il cammino di riforma che il Governo sta attuando è condivisibile” ma “le Camere hanno fatto molto per l’economia diffusa” e “sono una delle pubbliche amministrazioni più efficienti del Paese”.

 

«Sì al cambiamento, ma rispettando il sistema delle imprese». La riforma delle Camere di Commercio (da 105 enti si arriverà a 60, il taglio progressivo degli introiti nel 2017 toccherà il 50%, rimane il Registro telematico delle imprese, che gestisce il “fascicolo” di 6 milioni di imprese) è in dirittura d’arrivo ma il decreto Madia sta già sollevando preoccupazioni che il presidente di Confcommercio, Carlo Sangalli, spiega premettendo che «siamo pronti ad accettare la sfida».

 

Presidente, come cambierà il Sistema camerale con la riforma Madia?

 

«Il cammino di riforma che il governo sta attuando, a partire da quella della Pubblica amministrazione, è certamente condivisibile. L’alleggerimento della struttura amministrativa a tutti i livelli, all’insegna del contenimento dei costi e della maggior efficienza è una esigenza strategica per le imprese, in particolare per le piccole e medie».

 

Quindi, siete pronti?

 

«Gli imprenditori hanno un disperato bisogno di abolire la cattiva burocrazia, quella che genera complicazioni, tempi biblici, costi impropri che appesantiscono lo svolgimento della loro attività. Del resto lo stesso sistema camerale in questi mesi ha messo in moto una “autoriforma” che si sta concretizzando a partire da una nuova geografia della presenza sul territorio alla messa in comune di servizi dedicati alle imprese».

 

La prevista riduzione di tariffe e diritti camerali cosa comporterà?

 

«È la sfida più difficile. Si tratta di “fare di più con meno”: certo con “molto meno” si fa davvero poco. Le Camere di commercio vivono soltanto col diritto annuale versato dalle imprese. Il taglio della metà di questo contributo significa un risparmio medio d i 5 euro a l mese per azienda, ma si traduce con il taglio del 70 per cento delle risorse camerali dirette alle imprese e al territorio. Ricordo che negli anni più difficili della crisi, dal 2010 al 2012, il sostegno all’economia locale è cresciuto del 47 per cento. C’è anche un rischio di tenuta occupazionale, almeno in alcune aree del Paese».

 

La vostra non è solo una posizione di difesa di posti e ruoli?

 

«Guardi che anche noi vogliamo il cambiamento. Lo abbiamo nel dna delle imprese del commercio, turismo, dei servizi e delle professioni che non possono vivere di rendita. Nelle Camere di commercio ci siamo con la nostra autonomia, fuori da logiche politi che , pensando solo alla competitività delle imprese. E in questi ultimi anni, come associazioni di categoria, abbiamo contribuito a fare delle Camere di commercio una delle pubbliche amministrazioni più efficienti del Paese».

 

C’è però chi sostiene che le Camere di Commercio abbiano ricchezze accumulate e non spese a favore dei territori e delle imprese: è vero?

 

«Le Camere hanno fatto molto per l’economia diffusa, almeno fino al taglio delle entrate. Hanno sostenuto l’internazionalizzazione delle piccole e medie aziende, l’avviamento di giovani imprenditori, l’accesso al credito. Ma soprattutto hanno fatto sistema sui territori, con gli enti locali, le Regioni, la società civile organizzata. Ed hanno sostenuto numerose infrastrutture per rafforzare i territori e l’economia diffusa».

 

Come controllate i bilanci?

 

«Per quel che riguarda i costi e bilanci, essendo governate da imprenditori, abbiamo portato nel pubblico lo spirito aziendale di estremo rigore. Penso, ad esempio, al costo del personale che – prima dei tagli – non superava in media il 25% dei bilanci camerali».

 

Lei aveva chiesto che la riforma non fosse un «intervento calato dall’alto»: come è stata l’interlocuzione con il Governo nella fase di definizione del decreto?

 

«Abbiamo aperto un dialogo con il Governo anche come Rete imprese Italia. Credo e spero che possiamo dare un contributo per fare una buona riforma . Si amo convinti che oltre al Registro delle imprese, vadano salvaguardate e rilanciate le funzioni di promozione e sostegno del sistema delle imprese».

 

Cosa succederà se la riforma non dovesse andare nel la via che auspicate? Vi farete sentire come categoria?

 

«Sono per natura ottimista e, al di là di qualunque valutazione politica, ho fiducia nella motivazione di fondo che spinge Renzi al cambiamento. Ed è una motivazione che va nell’interesse del Paese. Speriamo che venga declinata sempre bene anche a livello operativo: come deve essere la riforma delle Camere.