Ecco una panoramica sugli ultimi dati dell’Istat sulle aree interne in Italia: aumentano e preoccupano le tendenze al calo demografico e allo spopolamento.


Circa la metà dei comuni Italiani, oltre 4mila, per la precisione il 48,5% del totale si trova in aree interne. Si tratta di piccoli Comuni, lontani dai centri urbani più grandi, definiti Intermedi, Periferici e Ultraperiferici, contraddistinti da una scarsa accessibilità ai servizi essenziali e da distanze elevate, scarsi collegamenti e connessioni ai servizi stessi.

L’Istat, Istituto Italiano di Statistica, dedica a questi comuni un programma di mappatura, con rilevazioni, interviste, raccolte dati, strutturato su di un ciclo di programmazione 2021-2027 definito con l’acronimo SNAI, che sta ad indicare Strategia Nazionale delle Aree Interne.

I dati raccolti in questo programma possono contribuire ad offrire una diversa chiave di lettura “delle molteplici sfumature territoriali e delle profonde interconnessioni tra gli eventi demografici e l’ambiente in cui si verificano” alla luce di una meglio valutata dimensione territoriale entro la quale analizzare i fenomeni demografici e sociali che si verificano in tutto il sistema Paese con un occhio specifico a quelle aree che potremmo definire svantaggiate.

Secondo le intenzioni dell’Istat, questa specifica analisi può essere d’ausilio come strumento di programmazione che tenga conto della fragilità di questi territori, luoghi nei quali i fenomeni demografici come l’invecchiamento della popolazione e l’abbandono delle terre o delle case a causa delle migrazioni verso centri più grandi e anche verso paesi esteri risultano essere accentuati rispetto al resto dell’Italia.

Calo demografico e spopolamento: la fotografia Istat dell’Italia delle aree interne

Tra i molteplici aspetti presi in considerazione nell’ampio report pubblicato a fine luglio 2024, i due punti forse più rappresentativi dei mutamenti in atto nel tessuto sociale e urbano, possono essere rappresentati dai numeri del calo demografico e dall’alto numero degli espatri. Altro dato sul quale ragionare, la differenza ancora permanente tra Nord e Sud Italia, sia in termini  di accesso ai servizi territoriali che rispetto ai numeri osservati nel report.

I dati geografici

Analizzando i dati suddivisi per aree geografiche si può notare come mentre nel Centro-nord il calo demografico coinvolge quasi in egual misura i Comuni interni e quelli centrali a differenza di quanto invece accade nel Mezzogiorno dove la diminuzione della popolazione riguarda per lo più Comuni appartenenti alle Aree interne e risulta, inoltre, più intensa rispetto a quanto accade per la stessa tipologia di Comuni nel Centro-nord. Se si prendono in considerazione i dati dell’intero periodo, dall’inizio delle rilevazioni di questa tipologia, cioè l’intervallo temporale ventennale 2002-2023 il calo delle nascite è stato del 28,5% nei Centri e del 32,7% nelle Aree interne.

Flussi migratori

Numeri rilevanti quelli del flusso migratorio che origina dalle aree interne in direzione dei Centri abitati più grandi, meglio serviti e meglio collegati.  Dal 2002 al 2023 si contano circa 3 milioni e mezzo di movimenti che hanno interessato questa traiettoria verso ‘l’esterno’ mentre circa 3 milioni e 300mila hanno riguardato movimenti sulla traiettoria inversa, cioè dalla Città per così dire, semplificando di molto, alla ‘campagna’.  La perdita complessiva dovuta allo scambio tra aree pari a poco meno di 190mila residenti delle Aree interne, equivalenti alla scomparsa di una città numerosa come Taranto. Infatti quasi la metà delle partenze (46,2%) origina da Aree interne del Mezzogiorno, il 34,1% da quelle del Nord e il 19,7% da Aree interne del Centro. Specularmente, sono i Centri del Nord che accolgono la prevalenza di queste partenze (50,8%), seguiti dai Centri del Mezzogiorno (25,9%) e del Centro Italia (23,3%). Importante anche il dato che riguarda i flussi di espatri dei cittadini italiani verso l’estero. “A differenza dei Centri, le Aree interne, soprattutto nell’ultimo decennio – si legge nel rapporto pubblicato – non sono attrattive per gli immigrati stranieri che scelgono di insediarsi più frequentemente nei grandi centri urbani dotati di servizi e, molto spesso, laddove risiedono altri concittadini appartenenti alle stesse comunità (effetto network). Il ridotto apporto della presenza straniera non permette di compensare adeguatamente i flussi di espatrio e, in combinazione con la bassa natalità, causa il diffuso declino demografico delle Aree interne.”

L’emigrazione del capitalo umano come “dato permanente”

I dati dell’Istat così esaminati dimostrano come l’emigrazione di capitale umano sia ormai un dato permanente, potremmo dire cronico del nostro Paese, soprattutto per ciò che riguarda le aree interne, che non risulta essere compensata da equivalenti rientri di giovani qualificati, generando così un saldo negativo che crea danni al tessuto produttivo dei luoghi di partenza, soprattutto a quelli più fragili come le Aree interne. Il dato positivo, in controtendenza con gli altri trend esaminati è rappresento da età media e speranza di vita delle aree interne, rispetto al dato cittadino. “Negli ultimi 20 anni i Comuni delle Aree interne, che hanno una popolazione più anziana di quella dei Centri, hanno sempre registrato tassi di mortalità più elevati dei Centri. Nel 2023 nelle Aree interne si registra un tasso del 12,1 per mille, contro uno del 10,9 per mille nei Centri .

Questo dato, insieme ad altri elementi presi in considerazione, ci mostra che le aree ultraperiferiche offrono una migliore qualità della vita, quindi una aspettativa di vita più lunga, soprattutto per gli anziani, permane in questi piccoli centri un senso di comunità e di sostegno reciproco, nella vita quotidiana, vantaggio che tuttavia nel centro-nord viene compensato da una più ampia disponibilità di servizi in corrispondenza dei Poli e dei Comuni cintura.

Il report dell’Istat

Qui il documento completo.


Fonte: articolo di Rossella Angius