sviluppo digitaleRequisiti soggettivi e oggettivi per l’accesso al beneficio, delucidazioni sulle modalità di calcolo e di utilizzo, ipotesi di cumulo con altre agevolazioni e istruzioni sugli adempimenti necessari per la fruizione del credito di imposta. Questi gli argomenti trattati dalla circolare n. 5/E del 16 marzo 2016, con cui l’Agenzia delle Entrate, in condivisione con il ministero dello Sviluppo economico, fornisce le linee guida per la corretta interpretazione e applicazione del “bonus ricerca”.

 

Come preliminarmente ricordato dalla circolare, si tratta dell’incentivo diretto a favorire gli investimenti in attività di ricerca e sviluppo introdotto dall’articolo 3 del Dl 145/2013 (“decreto destinazione Italia”). La disposizione è stata oggetto di un intervento di restyling da parte della legge di Stabilità 2015, che ha completamente riscritto la disciplina agevolativa. Il beneficio è riconosciuto sotto forma di credito di imposta a tutte le imprese che investono in attività di ricerca e sviluppo a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 e fino a quello in corso al 31 dicembre 2019 (gli esercizi dal 2015 al 2019 per i soggetti con periodo di imposta coincidente con l’anno solare) ed è calcolato secondo il metodo incrementale, sull’investimento realizzato in eccedenza rispetto a quello medio effettuato nei tre periodi di imposta precedenti a quello in corso al 31 dicembre 2015.

 

La misura del credito di imposta è pari al 25% degli investimenti “incrementali” relativi alle quote di ammortamento delle spese per l’acquisizione o l’utilizzo di strumenti e attrezzature di laboratorio e alle spese di acquisizione di competenze tecniche e privative industriali relative a un’invenzione ed è elevata al 50% per gli investimenti “incrementali” riferiti all’assunzione di personale altamente qualificato e a contratti di ricerca “extra muros” non infragruppo. L’agevolazione – attribuita fino a un importo massimo annuale di 5 milioni di euro per ciascun beneficiario – spetta a condizione che l’impresa effettui investimenti di ammontare almeno pari a 30mila euro.

 

Dopo il decreto attuativo Mef-Mise del 27 maggio 2015, l’Agenzia delle Entrate illustra la disciplina della nuova versione del bonus ricerca, sottolineando, innanzi tutto, i possibili punti di collegamento e le sinergie esistenti con il regime opzionale di tassazione agevolata dei redditi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali (“patent box”), in forza dei quali viene esplicitato che i costi rilevanti ai fini dell’attribuzione del credito di imposta valgono in toto anche ai fini della determinazione del reddito detassato nel regime di “patent box”.

 

Chi beneficia dell’agevolazione

 

Il credito d’imposta è riconosciuto a tutte le imprese residenti nel territorio dello Stato – anche se iniziano l’attività durante il periodo di vigenza dell’agevolazione – e alle stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti che effettuano investimenti in attività di ricerca e sviluppo, indipendentemente dalla natura giuridica, dalla dimensione aziendale, dal settore economico in cui operano e dal regime contabile adottato. Al riguardo, la circolare chiarisce che rientrano nel novero dei soggetti beneficiari i consorzi, le reti-soggetto, gli imprenditori agricoli e gli enti non commerciali con riferimento all’attività commerciale eventualmente esercitata; sono, invece, escluse le imprese sottoposte a procedure concorsuali non finalizzate alla continuazione dell’esercizio dell’attività economica, come solitamente avviene nel caso del fallimento e della liquidazione coatta.

 

Le attività di ricerca eleggibili

 

Per delimitare l’ambito oggettivo dell’agevolazione, la circolare 5/2016 fornisce, innanzitutto, un importante chiarimento in merito alle attività di ricerca e sviluppo che danno diritto al beneficio, specificando che le attività di R&S ammissibili possono essere svolte anche in ambiti diversi da quello scientifico e tecnologico (ad esempio, storico, sociologico) atteso che, in linea generale, le attività di ricerca e sviluppo sono volte all’acquisizione di nuove conoscenze, all’accrescimento di quelle esistenti e all’utilizzo di tali conoscenze per nuove applicazioni. La suddetta indicazione fuga ogni dubbio in merito alla volontà del legislatore di non circoscrivere ai soli ambiti scientifici, tecnologici e commerciali le conoscenze e le capacità esistenti, la cui acquisizione, strutturazione e utilizzazione rileva agli effetti dell’agevolazione, confermando che la differenza tra la normativa interna e la “Disciplina degli aiuti di Stato a favore di ricerca, sviluppo e innovazione” in vigore (cfr Comunicazione della Commissione (2014/C 198/01) del 27 giugno 2014) – dalla quale vengono sostanzialmente mutuate le definizioni delle attività di R&S ammissibili – discende da un mero difetto di coordinamento formale.

 

Con riferimento alle fasi della ricerca agevolabili, si ricorda infatti che l’elencazione delle attività ammissibili, contenuta sia nella norma primaria che nel decreto attuativo, ricalca sostanzialmente le “Definizioni” – recate dal paragrafo 1.3, punto 15, della citata disciplina comunitaria – relative, rispettivamente, alla “ricerca fondamentale”, alla “ricerca industriale” e allo “sviluppo sperimentale”. Sempre in tema di raccordo tra la disciplina comunitaria e la disciplina agevolativa interna, viene chiarito che la collocazione nell’ambito nella definizione di “sviluppo sperimentale” degli “studi di fattibilità” (che nella disciplina comunitaria rappresentano un’autonoma misura di aiuto) non esclude che tale attività sia agevolabile se svolta anche nelle fasi della ricerca fondamentale e della ricerca industriale.

 

In merito al perimetro oggettivo del credito di imposta, l’Agenzia chiarisce in ogni caso che, poiché l’effettiva riconducibilità di specifiche attività aziendali a una delle attività di ricerca ammissibili comporta accertamenti di natura tecnica che involgono la competenza del ministero dello Sviluppo economico, i soggetti interessati ad acquisire una valutazione al riguardo possono presentare un’istanza di interpello, ai sensi dell’articolo 11 della legge 212/2000, e sarà l’Agenzia ad acquisire il parere del Mise. Per lo specifico settore del tessile e della moda, vengono confermate, in linea generale, le indicazioni già fornite dal Mise con la circolare n. 46586 del 16 aprile 2009.

 

Gli investimenti ammissibili

 

Importanti chiarimenti riguardano le categorie di costo ammissibili al beneficio. Si ricorda, infatti, che nel delimitare l’ambito oggettivo della misura, sia l’articolo 3 del Dl 145/2013 sia il decreto interministeriale di attuazione, oltre a definire le attività di R&S ammissibili, elencano – in modo tassativo – le tipologie di spesa eleggibili. Non tutti i costi sostenuti dalle imprese per l’attività di “ricerca fondamentale”, di “ricerca industriale” e di “sviluppo sperimentale” sono infatti rilevanti ai fini del credito di imposta, ma solo quelli riconducili a una delle quattro categorie si spesa, individuate dalla disciplina agevolativa. Si tratta delle spese per:

 

a) personale altamente qualificato impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo

 

b) quote di ammortamento delle spese di acquisizione o utilizzazione di strumenti e attrezzature di laboratorio

 

c) contratti di ricerca stipulati con università, enti di ricerca e organismi equiparati, e con altre imprese (“ricerca extra-muros”)

 

d) competenze tecniche e privative industriali relative a un’invenzione industriale o biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale, anche acquisite da fonti esterne.

 

Con riferimento alle categorie di spesa rilevanti, vengono preliminarmente dati chiarimenti relativi alle caratteristiche comuni ai quattro gruppi di costi. Viene innanzitutto precisato che il criterio di imputazione delle spese eleggibili a uno dei periodi agevolabili avviene secondo le regole generali di competenza fiscale, previste dall’articolo 109 del Tuir, a prescindere dalla circostanza che il soggetto beneficiario applichi tale regola per la determinazione del proprio reddito imponibile ai fini delle imposte sul reddito, quindi anche per gli imprenditori agricoli che determino il proprio reddito su base catastale e i soggetti Ias adopter. Con riferimento a questi ultimi, viene anche precisato che non hanno rilevanza i diversi criteri di qualificazione, imputazione temporale e classificazione adottati in bilancio.

 

Viene poi chiarito che l’imputazione delle spese ai singoli periodi agevolati deve avvenire in base alle regole dell’articolo 109 del Tuir, indipendentemente dalla capitalizzazione dei costi di ricerca e sviluppo. Al riguardo, l’Agenzia però puntualizza che il medesimo costo deve concorrere alla determinazione del credito di imposta in uno solo dei periodi. Sulla base del criterio di imputazione temporale dei costi, sancito dall’articolo 109 del Tuir, viene determinata anche la concorrenza al credito di imposta dei costi eleggibili sostenuti nell’ambito di un progetto di ricerca avviato anteriormente al primo periodo di applicazione dell’agevolazione. È , infatti, chiarito che, in linea con la ratio della misura, volta a incentivare l’attività di ricerca svolta dalle imprese, il riferimento esplicito agli investimenti effettuati a decorrere dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2014 non esclude, di per sé, l’ammissibilità di investimenti in attività di ricerca che risultino avviate in data anteriore al predetto periodo di applicazione dell’agevolazione.

 

Passando all’analisi delle singole categorie di spese eleggibili, con riferimento alla prima categoria, relativa ai costi per personale “altamente qualificato”, ovverosia in possesso di un titolo di dottore di ricerca ovvero iscritto a un ciclo di dottorato presso una università italiana o estera ovvero in possesso di laurea magistrale in discipline di ambito tecnico o scientifico secondo la classificazione Unesco Isced, il documento evidenzia come l’applicazione di un’aliquota maggiorata per tale categoria di costi – pari al 50% – e l’estensione dell’agevolazione con aliquota maggiorata alla categoria delle “collaborazioni” con il personale altamente qualificato, impiegato nelle attività di ricerca ammissibili, sia espressione della volontà del legislatore di continuare a incentivare l’impiego di personale altamente qualificato anche dopo l’abrogazione, a decorrere dal 1° gennaio 2015, dell’articolo 24 Dl 83/2012. Si ricorda, infatti, che la legge di stabilità 2015, nel riscrivere l’articolo 3 del Dl 145/2013 ha, contestualmente, previsto l’abrogazione dell’articolo 24 del Dl 83/2012, che attribuiva un credito di imposta per le nuove assunzioni di profili altamente qualificati, destinando le risorse stanziate per la misura abrogata al finanziamento del “nuovo” credito di imposta per attività di R&S.

 

Un importante chiarimento riguarda il personale altamente qualificato “in rapporto di collaborazione”, nel quale sono ricompresi anche i professionisti (non necessariamente iscritti in un albo professionale), relativamente al quale il decreto attuativo richiede lo svolgimento dell’attività “presso le strutture della medesima impresa”. La circolare, infatti, oltre a individuare la ratio di tale previsione in quella di estendere il beneficio “rafforzato” a tutte le forme di lavoro mediante le quali il personale qualificato può svolgere attività di ricerca “alle dipendenze” dell’impresa, precisa che, in ogni caso, l’attività di ricerca svolta da professionisti in totale autonomia di mezzi e di organizzazione può anch’essa essere agevolabile con l’aliquota del 50% se presenta le caratteristiche previste dalla norma per la “ricerca extra-muros”.

 

In linea con quanto sostenuto per il precedente bonus per attività di ricerca e sviluppo (disciplinato all’articolo 1, commi 280-284, della legge 296/2006), viene riconosciuto come costo ammissibile l’eventuale retribuzione per l’attività di ricerca svolta dall’amministratore, anche non dipendente dell’impresa, ma non rilevano, invece, i compensi erogati all’amministratore semplicemente preposto alla gestione dell’attività di ricerca.

 

Altra precisazione importante con riferimento alla categoria di costi in esame riguarda le modalità di determinazione dell’incremento: considerato che la misura non è un incentivo all’occupazione ma all’attività di ricerca, l’incremento delle spese rispetto alla media dei medesimi costi sostenuti dall’impresa nel periodo di riferimento è rappresentato non solo da un aumento del personale altamente qualificato e/o delle ore lavorate, ma anche, a parità di risorse in organico e di ore dedicate alle attività di ricerca e sviluppo da parte del personale altamente qualificato, da un aumento della remunerazione corrisposta a titolo di retribuzione o di compenso del servizio di consulenza.

 

Per quanto riguarda la seconda categoria di spese eleggibili, la circolare specifica che sono ammissibili al credito di imposta le quote di ammortamento dei beni materiali – diversi dai terreni e dai fabbricati – sia in proprietà che in uso, non necessariamente tipici di laboratorio, ma che sono solitamente utilizzati dall’impresa per svolgere una delle attività eleggibili, avuto riguardo anche al settore economico di appartenenza dell’impresa. Anche per tale gruppo di spese viene precisato che la quantificazione del costo ammissibile è commisurata “in rapporto all’effettivo impiego per le attività di ricerca e sviluppo”, nonché che l’ammortamento rilevante è sempre quello ordinario o tabellare applicato al costo sostenuto per l’acquisto o la produzione del bene, determinato ai sensi dell’articolo 110 del Tuir, e calcolato al lordo di eventuali contributi e/o agevolazioni ricevuti per l’acquisto dei bene.

 

Il documento evidenzia al riguardo che, ai fini della determinazione delle quote di ammortamento ammissibili, non rileva invece la maggiorazione figurativa del 40% del costo di acquisizione degli investimenti in beni materiali strumentali nuovi (articolo 1, commi 91-94, della legge 208/2015). Viene, infatti, messo in luce che i super-ammortamenti previsti dalla Stabilità 2016 costituiscono un incentivo all’acquisto di beni strumentali che, al pari delle altre agevolazioni concesse per l’acquisto di un bene, non ne incrementa il valore ma riduce l’incidenza del costo sostenuto dal soggetto beneficiario.

 

La terza categoria di spese eleggibili è quella della “ricerca extra-muros”, anch’essa premiata con un’aliquota del 50%, costituita dai costi relativi alla ricerca commissionata a università, enti di ricerca e organismi equiparati nonché ad “altri soggetti”, comprese le start-up innovative. Il decreto di attuazione della misura precisa che gli “altri soggetti”, tra i quali, come detto, sono ricompresi anche i professionisti, che svolgono attività di “ricerca extra-muros”, devono essere localizzati o residenti in Stati membri dell’Ue, in Stati aderenti al See o in paesi “collaborativi” che consentono un adeguato scambio di informazioni.

 

La circolare in commento aggiunge che, in caso di ricerca “subappaltata”, la condizione relativa alla localizzazione o alla residenza deve essere verificata anche in capo all’impresa che di fatto svolge l’attività di ricerca. Non è richiesto che l’impresa che svolge su commissione attività di ricerca abbia tale attività nel proprio oggetto sociale né che si serva di personale altamente qualificato; mentre viene richiesta la coerenza tra l’attività effettivamente svolta dal commissionario e l’impegno da questi assunto su commissione. Con riferimento alle caratteristiche che i contratti di ricerca devono presentare al fine di rendere agevolabili i costi sostenuti in capo all’impresa committente, la circolare prevede che gli stessi devono contenere l’impegno a svolgere, direttamente o indirettamente, le attività di ricerca e sviluppo ammissibili e devono, inoltre, prevedere che l’effettivo beneficiario degli eventuali risultati di tale attività sia l’impresa committente.
In nessun caso può beneficiare dell’agevolazione l’impresa commissionaria, la quale riaddebita i costi sostenuti in base ai corrispettivi contrattualmente previsti. Pertanto, come ribadito dalla relazione illustrativa al decreto attuativo, nel caso di ricerca commissionata da un’impresa non residente, priva di stabile organizzazione nel territorio dello stato italiano, a una impresa residente o alla stabile organizzazione di un soggetto non residente, né la prima, per mancanza del presupposto della territorialità, né le seconde potranno beneficiare del credito di imposta per attività di ricerca e sviluppo. Sono esclusi dalla categoria in esame i costi derivanti da commesse affidate a società del gruppo.

 

In merito alla suddetta esclusione introdotta dal decreto di attuazione, il documento chiarisce che la ricerca affidata a soggetti ricompresi nel gruppo, in quanto assimilabile alla ricerca intra-muros deve essere riclassificata virtualmente come tale in capo al committente. La suddetta interpretazione comporta che l’impresa committente, per il calcolo dell’agevolazione, dovrà assumere come costo ammissibile la somma delle spese sostenute dalla commissionaria nei limiti in cui le stesse siano riconducibili alle categorie di costi eleggibili (spese per il personale, per la ricerca contrattuale, per i beni immateriali, nonché le quote di ammortamento dei beni strumentali). A tal fine, la società commissionaria è tenuta a fornire alla società committente un dettaglio delle spese sostenute, ripartite per le categorie rilevanti, supportate da adeguata documentazione.

 

Per quanto riguarda la nozione di “gruppo”, viene effettuato un rinvio all’articolo 2359, commi 1 e 2, del codice civile , compresa l’ipotesi di controllo da parte della medesima persona fisica, tenendo conto anche di partecipazioni, titoli o diritti posseduti dai familiari dell’imprenditore, ai sensi dell’articolo 5, comma 5, del Tuir, ai fini della individuazione delle relazioni di controllo.
 

Da ultimo, con riferimento alla presente categoria di costi eleggibili, viene precisato che l’Agenzia ritiene applicabili le considerazioni contenute nella circolare 51/2011 (emanata a commento del “credito di imposta per le imprese che finanziano progetti di ricerca in Università o enti pubblici di ricerca” di cui all’articolo 1 del Dl 70/2011), secondo cui i costi relativi “alla ricerca contrattuale” sono considerati ammissibili, “nella misura congrua e pertinente”, purché i risultati di tale ricerca siano acquisiti “nell’ambito di un’operazione effettuata alle normali condizioni di mercato e che non comporti elementi di collusione”.

 

Venendo alla quarta e ultima categoria di spese eleggibili, la circolare fornisce innanzitutto l’importante chiarimento secondo cui sono agevolabili come “competenze tecniche” i costi sostenuti per il personale “tecnico” (cioè il personale “non altamente qualificato”), impiegato nelle attività di ricerca e sviluppo ammissibili. In tal modo, sebbene con aliquote differenti, tutti i costi sostenuti per il personale impiegato in attività di ricerca e sviluppo eleggibili vengono ammessi al beneficio, così come era previsto dall’articolo 3 prima delle modifiche operate della legge di stabilità 2015.

 

Sono altresì eleggibili nell’ambito della categoria in analisi tutti i costi sostenuti per l’acquisizione di privative industriali relative a un’invenzione industriale o biotecnologica, a una topografia di prodotto a semiconduttori o a una nuova varietà vegetale. Al riguardo, il documento di prassi fornisce una definizione di “privativa industriale”, specificando che, nell’ordinamento italiano, in via esemplificativa, si sostanzia nei brevetti per invenzione industriale o per invenzione biotecnologica e nella registrazione di topografia di prodotto a semiconduttori e brevetto per nuova varietà vegetale, ed elenca una serie di costi a essa relativi. Si tratta, ad esempio, dei costi sostenuti per consulenze propedeutiche, due diligence, predisposizione di accordi di segretezza, predisposizione di accordi di cessione o di concessione in licenza del brevetto, trascrizione o annotazione nei registri di pubblicità legale, nonché delle spese sostenute per consulenze propedeutiche (studi su brevettabilità, freedom to operate), per il deposito della domanda di brevetto o di registrazione, estensione della domanda di brevetto o registrazione, conversione e ogni istanza a queste connesse, comprese le eventuali traduzioni; mantenimento in vita.

 

Oltre a fornire un elenco esemplificativo e non esaustivo di costi relativi alle privative industriali, la circolare ribadisce che tale costi rilevano sia nel caso di produzione interna sia nel caso di acquisto da fonti esterne, anche appartenenti al medesimo gruppo societario e che rilevano, altresì, tutti costi che l’impresa beneficiaria sostiene per lo sviluppo, il mantenimento e l’accrescimento degliintangibles. Nel caso di produzione interna degli assets giuridicamente tutelabili, viene chiarito che rilevano tutti i costi sostenuti a tal fine. Nel caso di “privativa industriale” acquisita da terzi, in mancanza di un espresso riferimento alle quote di ammortamento, è eleggibile l’intero costo di acquisto, determinato ai sensi dell’articolo 110, comma 1, del Tuir, nel periodo di imposta individuato ai sensi dell’articolo 109, comma 2, del Tuir.

 

Il documento in esame chiude l’analisi della quarta categoria di spese eleggibili con una precisazione dall’evidente portata anti-abuso. Viene, infatti, dichiarato che, nel caso di acquisto della privativa industriale nell’ambito del medesimo gruppo, resta fermo il potere dell’Amministrazione finanziaria di sindacare, secondo i canoni dell’antieconomicità, la congruità dei corrispettivi pattuiti, così come resta ferma l’applicazione delle regole in materia di transfer pricing nel caso di costi derivanti da operazioni con soggetti non residenti nel territorio dello Stato appartenenti al medesimo gruppo.