Dopo “trent’anni” il governo vara la riforma per le banche popolari. Non tutte, ma solo “le dieci piu’ grandi” con almeno 8 miliardi di attivi, avranno un anno e mezzo di tempo per cambiare pelle, eliminare il voto capitario (una testa un voto) e trasformarsi in Spa. Un “momento storico” dice il premier Matteo Renzi, ribadendo che il Paese, pur potendo vantare un sistema bancario “serio, solido e sano”, ha pero’ “troppi banchieri e troppo poco credito” e che l’obiettivo dell’intervento del governo e’ quello di rafforzare il sistema per essere pronti alle sfide europee ma senza “danneggiare i piccoli istituti” e senza toccare “il credito cooperativo”.
La scelta, annunciata gia’ nei giorni scorsi, arriva con quello che era stato battezzato ‘Investment compact’, che diventa un decreto sulle banche (e sugli investimenti) con un occhio anche ai consumatori, come sottolinea il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, confermando le misure per il cambio piu’ rapido e soprattutto senza costi del conto corrente (con risarcimenti proporzionali ai ritardi per gli istituti che non rispetteranno i nuovi termini, due settimane in tutto). Padoan chiarisce che si e’ scelto di procedere per decreto “per dare un segnale di urgenza” e che la scelta del governo “concilia la necessita’ di dare una scossa forte preservando pero’ in alcuni casi una forma di governance che ha servito bene il Paese”. Per questo si parte dalle grandi, anche se in futuro andranno valutati “altri suggerimenti di modifica della governance” per le piccole. Peraltro si interviene in modo graduale, indicando 18 mesi per adeguarsi che sono “un tempo sufficiente per un processo che potrebbe essere completato in molto meno”.
L’intervento comunque, rendera’ le popolari “piu’ forti” e “piu’ efficienti” dice Padoan. Un intervento che ha suscitato fin dagli annunci polemiche politiche oltre alla preoccupazione degli addetti ai lavori. E che avrebbe incontrato la netta opposizione di Ncd, anche durante la riunione dei ministri, con l’intenzione del partito di Angelino Alfano di tenersi adesso le ‘mani libere’ per la conversione del decreto. Il provvedimento nasceva con la volonta’ di far ripartire gli investimenti, ma ha perso per strada diverse misure contenute nelle prime bozze, a partire dalla certezza delle regole per i grandi investitori, per garantire “un testo snello”, in attesa del nuovo capo dello Stato, spiegano Graziano Delrio e il ministro Federica Guidi, assicurando che in futuro saranno recuperate.
Il ‘patto’ con lo Stato che doveva ‘congelare’ in particolare le norme fiscali da inattesi (e retroattivi) cambiamenti non ha trovato spazio nella versione finale, cosi’ come il restyling del Fondo centrale di garanzia (che doveva essere esteso anche alle cartolarizzazioni per poter poi cedere i titoli alla Bce nell’ambito del piano di acquisti degli Abs mezzanine) o la creazione dell’Agenzia unica per gli investimenti, una sorta di ‘super agenzia’ in cui far confluire Ice, Invitalia e Enit, per la quale gia’ si era ipotizzato un ruolo per Luca Cordero di Montezemolo, magari nella veste di consigliere del premier (“Se personalmente posso dare un contributo, lo faro’ molto volentieri” si e’ limitato a dire, interpellato, il neo presidente di Alitalia).
Tra le misure confermate, la definizione delle Pmi innovative, cui vengono estese le agevolazioni delle start up, il cosiddetto ‘lending indiretto’ per facilitare l’apporto di liquidita’ di investitori stranieri, ma anche l’ampliamento del ‘patent box’ (le agevolazioni fiscali per chi usa brevetti nell’attivita’ di impresa) ai marchi commerciali, per invogliare i grandi gruppi del lusso, ma anche del ‘food’, che sono migrati all’estero a tornare in Italia. E arriva anche l’annunciata ‘newco’ per immettere risorse fresche nelle aziende in crisi: la nuova societa’ a partecipazione pubblico-privata, spiega Guidi, “non fara’ salvataggi di aziende decotte ma “in imprese in difficolta’ che possono essere riportate a breve in equilibrio e in utile”.
FONTE: Confcommercio