È legittimo il sequestro preventivo dell’intero patrimonio aziendale disposto ex articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale, quando una società, già soggetta a procedure di riscossione, sposta la sede. È quanto emerge dalla sentenza 29 aprile 2016, n. 17723, della seconda sezione penale della Corte di cassazione.
Vicenda processuale
Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Roma ha disposto il sequestro preventivo a carico di un imprenditore, ai sensi dell’articolo 321, comma 1, del codice di procedura penale, di nove società riconducibili allo stesso, disponendo anche il sequestro di denaro o altre utilità in quanto profitto di una serie di reati tributari. In particolare, era stata riscontrata una pluralità di illeciti, tra cui la sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte tramite alienazione simulata dell’intera struttura aziendale e successivo trasferimento della sede legale, emissione di fatture per operazioni inesistenti e dichiarazione fraudolenta, mediante uso di fatture per operazioni inesistenti. Nella motivazione del predetto provvedimento cautelare si evince che, sulla base di determinati elementi acquisiti nelle indagini, anche con l’ausilio di intercettazioni telefoniche, le società coinvolte erano tutte riconducibili a un unico soggetto. Inoltre, sono emersi determinati profili della personalità dell’indagato, che aveva utilizzato come schermo lo strumento cooperativo e vari prestanome, avvalendosi di una o dell’altra struttura, secondo necessità, anche mediante continui travasi di dipendenti e drenando consistenti risorse degli enti a suo personale beneficio. In sede di riesame, il medesimo Tribunale ha confermato la validità degli atti assunti dal Gip, provvedimento avverso il quale l’imprenditore ha proposto ricorso per cassazione, lamentando violazione di legge sostanziale e processuale, nonché carente o illogica motivazione e travisamento dei fatti.
Decisione-osservazioni
La Corte suprema, nel confermare il provvedimento di sequestro disposto dal Gip, precisa alcuni importanti principi relativi sia all’esistenza dei presupposti fondamentali del sequestro preventivo, quali il “fumus commissi delicti” e il “periculum in mora”, sia all’effettiva opportunità del provvedimento emesso. Si premette che il ricorrente ha censurato la decisione anche sotto il profilo motivazionale. Al riguardo, la Corte ha rilevato che la motivazione è assolutamente puntuale in ordine alla finalità elusiva, peraltro riscontrata anche dalle intercettazioni in atti. Richiamando diversi pronunciamenti, i giudici di legittimità ribadiscono che il vizio di motivazione è ravvisabile non solo quando manca completamente la parte motiva della sentenza, ma anche qualora non sia stato considerato un argomento fondamentale per la decisione espressamente sottoposto all’analisi del giudice; il concetto di mancanza di motivazione non può essere tanto esteso da includere ogni omissione concernente l’analisi di determinati elementi probatori (conforme, Cassazione, pronunce 35532/2010 e 6589/2013). Quanto al profilo riguardante la possibilità o meno di sequestrare il patrimonio aziendale, il ricorrente contesta la possibilità di sottoporre a sequestro l’intero patrimonio aziendale, in quanto esso non potrebbe essere considerato come cosa pertinente al reato, non sussistendo alcuna pertinenzialità tra i beni delle singole società e la pretesa fittizia intestazione delle quote sociali in cui il reato si sarebbe asseritamene sostanziato.
Al riguardo, la Cassazione ha evidenziato che il sequestro delle società è stato effettuato ai sensi del primo comma dell’articolo 321 cpp e che, quindi, è stata ravvisata la necessità che il reato non sia portato a ulteriori conseguenze e, dunque, la necessità di una apposizione di vincolo che riguardi l’intera compagine sociale, senza potersi distinguere tra patrimonio aziendale e quote di partecipazione. Infatti, la richiamata norma prevede che “quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati, a richiesta del pubblico ministero il giudice competente a pronunciarsi nel merito ne dispone il sequestro con decreto motivato. Prima dell’esercizio dell’azione penale provvede il giudice per le indagini preliminari”. La stessa disposizione contempla le varie ipotesi di sequestro preventivo, ossia: quando vi è il pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze dello stesso ovvero agevolare la commissione di altri reati.
Nel caso esaminato ricorre la prima ipotesi, laddove il sequestro è stato disposto in relazione al fatto che la libera disponibilità del capitale sociale e del patrimonio aziendale delle società medesime potesse aggravare o protrarre le conseguenze del reato ipotizzato, anche in termini di definitiva distrazione delle risorse societarie e, quindi, di depauperamento del patrimonio. A tal proposito, un elemento determinante è stato la valutazione dello spostamento della sede sociale all’estero, laddove la Cassazione osserva che il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, previsto dall’articolo 11 del Dlgs 74/2000, è integrato dall’uso di mezzi fraudolenti per occultare i propri o altrui beni al fine di sottrarsi al pagamento del debito tributario, delle sanzioni e relativi interessi. Tra i mezzi fraudolenti, vi sono tutte le condotte che riguardano specificamente la possibilità di sottoporre a esecuzione forzata i beni della società. Sotto tale aspetto, lo spostamento di sede, con tutte le conseguenze che esso determina anche in punto giurisdizione dell’eventuale giudice procedente, costituisce un ostacolo alla procedura in tutti i casi in cui esso sia giustificato con un trasferimento di proprietà non effettivo. E, infatti, ai fini della configurabilità del reato di cui all’articolo 11 del Dlgs 74/2000, rileva qualunque atto idoneo a ostacolare il soddisfacimento di un’obbligazione tributaria (sulla questione, ex multis, Cassazione, pronunce 5824/2007, 40831/2010, 26809/2011, 23986/2011 e 48424/2013).
Inoltre, per quanto concerne l’elemento materiale del reato, la Corte di cassazione ha evidenziato come esso può identificarsi non solo con una condotta istantanea, ma anche con una condotta suscettibile di essere posta in essere in tempi e con atti diversi e plurimi, che solo nella loro lettura complessiva sono idonei a ledere la garanzia patrimoniale dell’Erario (cfr Cassazione, 39079/2013). Nel caso in esame, dalla complessa indagine era emerso anche il carattere fittizio delle sedi legali della maggior parte delle società, l’identità di sede effettiva riconducibile all’unità decisionale dell’indagato e l’alienazione simulata dell’azienda. Invero, la pronuncia si pone, dunque, nel filone giurisprudenziale delle sentenze della Corte secondo cui il sequestro può riguardare i beni della persona giuridica nell’ipotesi in cui la struttura aziendale costituisca un apparato fittizio utilizzato dal reo per commettere gli illeciti, perché in tal caso il reato non risulterebbe commesso nell’interesse o a vantaggio di una persona giuridica, ma a beneficio diretto del reo attraverso lo schermo dell’ente (Cassazione, pronunce 42476/2013, 4235/2013, 33182/2013 e 2006/2014).