Un’importante riflessione del Dott. Fabio Ascenzi sul dibattito relativo al potere d’intervento del Presidente della Repubblica sulle leggi del Parlamento, anche in relazione all’autonomia differenziata.
Sono passati alcuni giorni dalla visita del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in Calabria dove, in occasione delle celebrazioni della Festa del Lavoro, ha pronunciato parole significative sui danni che sarebbero prodotti da un’ulteriore separazione tra Nord e Sud del Paese.
Ovviamente, come nel suo stile e rispettoso qual è del ruolo assegnato dalla Costituzione, il Capo dello Stato non ha mai fatto riferimento diretto al disegno di legge sull’autonomia differenziata in discussione al Parlamento.
Ma le parole pronunciate sono apparse ai più come un monito alquanto inequivocabile:
«L’Europa – e in essa l’Italia – deve essere protagonista a livello globale. Il Mezzogiorno d’Italia è parte dell’Europa. Ed è decisivo per il suo futuro, insieme ai vari Sud del Continente. Il nostro Mezzogiorno è una realtà complessa, non certo uniforme. Le sue potenzialità, le sue vocazioni, i suoi problemi non sono riassumibili in un’analisi semplificata. Vi sono eccellenze, che questa mattina abbiamo posto in rilievo, e vi sono grandi divari. Le Regioni meridionali dispongono oggi di un reddito che non raggiunge quello di altre aree nazionali. Per alcuni aspetti i loro cittadini fruiscono di servizi meno efficienti. Nel Meridione il tasso di occupazione è più basso rispetto al Centro e al Nord. Donne e giovani pagano un costo elevato e sono tanti coloro che, a malincuore, lasciano la terra d’origine, accentuando un rischio di spopolamento che andrebbe frenato. Per rispetto del valore, della storia e del futuro di quei territori. Lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno. È appena il caso di sottolineare come una crescita equilibrata e di qualità del Sud d’Italia assicuri grande beneficio all’intero territorio nazionale. Una separazione delle strade tra territori del Nord e territori del Meridione recherebbe gravi danni agli uni e agli altri».
Nonostante la prudenza istituzionale, il nesso causale tra quanto affermato e la discussione in atto sul regionalismo differenziato è apparso evidente, anche in considerazione del fatto che proprio il giorno precedente il disegno di legge Calderoli era approdato alla Camera dei deputati per l’approvazione definitiva.
Autonomia differenziata: quali poteri del Presidente della Repubblica sulla legge
Per questo motivo è subito tornata in auge la discussione sulla vexata quaestio dei poteri attribuiti al Presidente della Repubblica rispetto alle leggi approvate dal Parlamento. Non solo tra gli studiosi, ma anche tra i tifosi degli opposti schieramenti che, a seconda delle convenienze, si dividono abitualmente tra sostenitori della figura del Presidente interventista, con la conseguenza di considerare alcune dichiarazioni sin troppo blande, e chi al contrario lo vorrebbe ridotto a una sorta di Presidente notaio, finendo magari per ritenere le stesse un’indebita invasione del campo riservato all’attività parlamentare.
Sulle prerogative del Capo dello Stato rispetto all’attività legislativa, l’art. 73 della Costituzione dice poco e chiaro: le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dalla approvazione. Rimanendo alla lettera, pertanto, sembrerebbe che in linea generale il Presidente non possa rifiutare la promulgazione di una legge approvata dalla maggioranza delle Camere.
Ma il tema è molto più complesso e delicato, tanto che su di esso si registrano da sempre posizioni differenti tra gli autorevoli giuristi che lo hanno affrontato. Certamente questo atto presidenziale non può essere ridotto a mera formalità, né tantomeno a obbligo automatico, considerato che la stessa Costituzione prevede, al successivo art. 74, che il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione.
I limiti di intervento del Capo dello Stato, quindi, sono confinati all’interno di precisi dettami costituzionali che, pur prevedendo una relazione e una dialettica dinamica tra gli organi, fonda il suo principio democratico sul dogma della separazione dei poteri; per cui il Presidente deve sì svolgere il suo ruolo di garante della Costituzione, ma sempre assicurando indipendenza ed equilibrio con gli altri (esecutivo, legislativo e giudiziario).
E infatti, nel secondo comma dello stesso art. 74 Cost. è dettato che se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata. Per tutto ciò, così configurata dalla Costituzione, la promulgazione risulta un atto dovuto che si inserisce nella fase integrativa dell’efficacia della legge, con la sola possibilità di essere posticipata attraverso la richiesta di riesame alle Camere. Rare e controverse risultano, invece, le ragioni che potrebbero legittimarne un vero e proprio rifiuto.
D’altronde i numeri parlano chiaro: dagli albori della Repubblica sono stati esercitati appena 63 rinvii e di questi più della metà hanno riguardato un’ipotizzata violazione dell’art. 81 Cost., relativamente alla mancata copertura finanziaria della legge approvata. Tuttavia, come si è detto, la questione è piuttosto complessa e delicata, dunque difficilmente riducibile a definizioni rigide e conclusive.
Infatti, dallo studio degli atti emerge come l’esercizio di questo potere sia stato utilizzato negli anni in maniera molto diversa dai Presidenti, a seconda dell’interpretazione del ruolo di garanzia che ogni inquilino del Colle si è voluto assegnare. Non vi è dubbio, ad esempio, che per oltre quarant’anni sia stato circoscritto prevalentemente alla mancata copertura finanziaria della legge approvata, mentre durante i settennati di Cossiga (1985-1992) e di Ciampi (1999-2006) sono state tessute maglie più larghe, venendo motivato anche per presunte violazioni di espressi enunciati costituzionali o persino per questioni relative al merito delle scelte compiute dal legislatore.
D’altronde, sempre a questi due Presidenti va ricondotto l’inizio di alcune prassi informali, come l’utilizzo diffuso di lettere inviate al Governo, ma rese pubbliche contestualmente alla promulgazione della legge, per esplicitare criticità e rilievi, motivando allo stesso tempo le ragioni della promulgazione o del mancato esercizio del potere di rinvio (definita da alcuni studiosi promulgazione dissenziente o promulgazione con motivazione contraria); o ancora della cosiddetta moral suasion, ovvero esternazioni per mezzo di comunicati, dichiarazioni, attraverso cui manifestare preoccupazioni, dubbi o perplessità in ordine alla legge in esame alle Camere, con lo scopo di richiamare l’organo legislativo su alcune osservazioni del Presidente che, se inascoltate, potrebbero comportare un rinvio del testo.
Le recenti parole del Presidente della Repubblica Mattarella
Successivamente, entrambe queste prassi sono state utilizzate da Napolitano (2006-2015) e da Mattarella, il quale ha di recente ribadito la sua interpretazione della funzione in un esemplare compendio di diritto costituzionale, enunciato il 5 marzo nel corso dell’intervento presso i vertici della Casagit, la cassa autonoma di assistenza sanitaria dei giornalisti:
«[…] frequentemente il Presidente della Repubblica viene invocato con difformi, diverse motivazioni. C’è chi gli si rivolge chiedendo con veemenza: “il Presidente della Repubblica non firmi questa legge perché non può condividerla, perché gravemente sbagliata”, oppure: “il Presidente Repubblica ha firmato quella legge e quindi l’ha condivisa, l’ha approvata, l’ha fatta propria”.
Il Presidente della Repubblica non firma le leggi, ne firma la promulgazione, che è cosa ben diversa. È quell’atto indispensabile per la pubblicazione ed entrata in vigore delle leggi, con cui il Presidente della Repubblica attesta che le Camere hanno entrambe approvato una nuova legge, nel medesimo testo, e che questo testo non presenta profili di evidente incostituzionalità.
Se andasse al di là di questo limite che gli assegna la Costituzione e dicesse, per esempio: “non promulgo questa legge perché c’è forse qualche dubbio di costituzionalità che potrebbe racchiudere e raffigurarvisi”, si arrogherebbe indebitamente il compito che è rimesso alla Corte costituzionale. O se, addirittura, dicesse: “non firmo questa legge perché non la condivido, perché, a mio avviso è sbagliata”, farebbe ben altro, andrebbe al di là di qualunque limite posto dalla Costituzione nel rapporto tra i poteri dello Stato e tra gli organi costituzionali.
Quando il Presidente della Repubblica promulga una legge, non fa propria la legge, non la condivide, fa semplicemente il suo dovere, che è quello che ho descritto. Qualche volta ho come l’impressione che qualcuno pensi ancora allo Statuto Albertino in cui, come è noto, la funzione legislativa veniva affidata congiuntamente alle due Camere e al re.
Quando le Camere approvavano la legge, il re prima di promulgarle doveva apporre la sua sanzione, cioè la sua condivisione nel merito, perché aveva anche attribuito il potere legislativo. Fortunatamente non è più così. Il Presidente della Repubblica non è un sovrano, fortunatamente, e quindi non ha questo potere. Ha soltanto quello che ho descritto. Anzi nei suoi compiti c’è, tra quelli fondamentali, quello di fare in modo che ciascuno rispetti la Costituzione. A partire da sé stesso, naturalmente, e che ciascuno la rispetti nel colloquio e nel confronto tra gli organi costituzionali.
Sarebbe grave se uno di questi, e tra questi anche il Presidente della Repubblica, pretendesse di attribuirsi compiti che la Costituzione assegna ad altri poteri dello Stato. E questa è una indicazione di democrazia che si inserisce in quell’armonico disegno che la nostra Costituzione indica e presenta, in maniera sinceramente ammirevole per coloro che la scrissero, che ebbero la forza – in condizioni difficili e anche dialetticamente molto accese – di definirla e approvarla. Anche questo rientra nella libertà, nel rispetto della libertà di tutti coloro a cui la Costituzione assegna un compito, che nessun altro può sottrarre per farlo proprio».
Parole chiare e costituzionalmente ineccepibili che, se volessimo accostarle all’intervento tenuto in Calabria lo scorso 30 aprile, consiglierebbero di evitare interpretazioni forzate del pensiero presidenziale, nonché di scorgerne indizi per scenari futuri, prassi sterile e fuorviante, come ci insegna una lunga cronaca quirinalizia.
Al momento, pertanto, sembrerebbe più prudente ricondurre quel monito nell’alveo della suddetta prerogativa di moral suasion propria del Capo dello Stato, tra l’altro l’unica utilizzabile nella fase precedente all’approvazione di una legge. In seguito, se e quando il Presidente lo riterrà necessario, potrà mettere in atto quanto doveroso e costituzionalmente consentito per far sentire la propria voce sul disegno dell’autonomia differenziata, come su altre delicate riforme in itinere che potrebbero minare l’equilibrio dell’impianto istituzionale garantito dalla nostra Costituzione.
Fonte: articolo del Dott. Fabio Ascenzi