Un approfondimento, a cura di Fabio Ascenzi, dedicato agli effetti immediati e alle prospettive a breve termine della conversione in legge del ddl in materia di autonomia differenziata.


Con 172 voti favorevoli, 99 contrari e un astenuto il disegno di legge sull’autonomia differenziata è stato approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati.

Il Presidente della Repubblica ha ora 30 giorni per promulgare la legge, così come dettato dall’art. 33 della Costituzione, oppure per esercitare il potere previsto dall’art. 34 e rinviarla alle Camere con messaggio motivato chiedendone una nuova deliberazione.

Nel caso di promulgazione, il provvedimento entrerà in vigore dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale.

Sui limiti di intervento del Capo dello Stato rispetto all’attività legislativa del Parlamento ho già avuto modo di intervenire su questa testata. Resta da capire cosa potrebbe succedere il giorno dopo la legge completasse l’iter di integrazione dell’efficacia, nonché le possibili azioni di chi l’ha voluta e di chi l’ha osteggiata.

L’autonomia differenziata è legge: effetti immediati e prospettive a breve termine

L’approvazione della legge non comporta l’immediato trasferimento di competenze alle Regioni. Essa è infatti una norma di natura procedurale, dove vengono indicati il percorso e le regole che dovranno essere seguite per ottenere la differenziazione da parte di chi lo volesse.

Le Regioni che l’hanno sostenuta potranno avviare immediatamente il dialogo con il Governo per chiedere il trasferimento di alcune delle 9 materie che sono state ritenute dalla Commissione Cassese non-leppizabili, cioè non vincolate al finanziamento dei LEP.

Volendo richiamare all’impatto che ciò avrebbe sull’impianto generale del riparto Stato-Regioni vale la pena memorizzare che si tratta di:

  • rapporti internazionali e con l’Unione europea;
  • commercio con l’estero;
  • professioni;
  • protezione civile;
  • previdenza complementare e integrativa;
  • coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
  • casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
  • enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale;
  • organizzazione della giustizia di pace.

Secondo le simulazioni effettuate, queste 9 materie si trascinerebbero dietro ben 184 funzioni.

Preoccupazioni e criticità

Preoccupazioni nei confronti di una siffatta babele normativa sono state espresse dalla Banca d’Italia, da autorevoli costituzionalisti, da associazioni imprenditoriali e molti altri.

La richiesta delle altre 14 materie, su 23 per cui il terzo comma dell’art. 116 Cost consente ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, sarà invece subordinata alla definizione e (ci si augura) al finanziamento dei relativi LEP, per cui la legge prevede il termine di 24 mesi.

Anche per questa parte della norma sono state sollevate numerose criticità, dovute all’incertezza dei finanziamenti, alle procedure previste per la loro adozione, alla previsione solo teorica del fondo perequativo che dovrebbe servire a ridurre i divari territoriali prima che qualsiasi forma di differenziazione possa ricevere il via libera dallo Stato.

Obiezioni, evidentemente, rimaste tutte inascoltate, considerato che la maggioranza parlamentare non ha inteso rallentare la corsa del provvedimento né tantomeno consentire l’approvazione di emendamenti.

Per chi volesse opporsi a questa legge la Costituzione offre principalmente due strumenti: ricorsi alla Corte costituzionale e referendum abrogativo ex art. 75 Cost.

Prossimi articoli consentiranno i dovuti approfondimenti, ma intanto si può tracciare una veloce sintesi.

Opposizione all’efficacia normativa

È bene ricordare che il provvedimento appena approvato non è una riforma costituzionale, ma una legge ordinaria, e quindi non sarà sottoposta a Referendum confermativo ex art. 138 Cost.

Il primo e più immediato strumento per opporsi alla sua efficacia, pertanto, è il ricorso alla Corte costituzionale che, come previsto dall’art. 127 Cost., può essere promosso da ogni Regione entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge.

Il secondo strumento è il Referendum abrogativo, che può essere indetto per cancellare una legge o una parte di essa. Richiede una tempistica più lunga e soprattutto il raggiungimento del quorum, essendo obbligatoria la partecipazione di almeno la metà più uno degli aventi diritto al voto per essere ritenuto valido. Inoltre, autorevoli costituzionalisti hanno richiamato alla particolare attenzione che dovrà essere posta nella formulazione del quesito poiché, considerata la natura rafforzata della legge, nonché altri aspetti di carattere tecnico-giuridico in essa contenuti, se ne potrebbe rischiare l’inammissibilità o la scarsa adeguatezza.

Come detto su questi argomenti ci sarà modo di tornare, anche perché saranno quelli che catalizzeranno le maggiori attenzioni nei prossimi mesi.

Il punto critico della legge: le modalità attuative

Ho sempre sostenuto che non è la sola evocazione dell’autonomia o del regionalismo differenziato a mettere in pericolo i princìpi fondamentali della nostra Costituzione, semmai le modalità con cui si vorrebbero attuare.

La prima è prevista sin dalla Carta del 1948, l’hanno voluta i nostri padri e madri costituenti; ma va sempre sottolineato come nella formulazione dell’art. 5, posto addirittura tra i princìpi fondamentali, trovano equilibrio, legame e uguale peso, il principio della Repubblica una e indivisibile, con il riconoscimento e la promozione delle autonomie, dell’autonomia e del decentramento. Il secondo è stato poi introdotto dalla riforma del Titolo V approvata nel 2001; ma il nuovo articolo 116 terzo comma va letto, come tutti, in assoluto combinato disposto con l’intero impianto costituzionale storico e riformato.

Pertanto, nel procedere alla richiesta di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, mai possono essere messi in discussione i princìpi dell’unità e dell’uguaglianza sostanziale: l’art. 5 stabilisce che la Repubblica, è una e indivisibile; l’art. 3 che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale; l’art. 119, quinto comma, che è dovere dello Stato destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici.

Perché nascere o risiedere in luoghi diversi non può determinare forme di cittadinanza diverse; anzi, se differenze ci fossero, sarebbe proprio lo Stato a dover intervenire per eliminarle.

Ne dipenderà il destino dell’Italia e l’unità della Repubblica.


Fonte: articolo di Fabio Ascenzi