autonomia-differenziata-finanziamento-lepAutonomia differenziata: alcuni dubbi nodali sul finanziamento dei LEP dopo le novità introdotte nel disegno di legge, analizzati da Fabio Ascenzi.


Lo scorso 29 aprile il disegno di legge per la cosiddetta autonomia differenziata è approdato alla Camera dei deputati per l’approvazione definitiva.

La corsa continua e i lavori della I° Commissione Affari costituzionali sono terminati in meno di tre mesi, non senza qualche pesante scontro.

Tra questi, il più rumoroso è stato il caso dell’emendamento presentato dall’opposizione nella seduta del 24 aprile che, grazie ad alcune assenze di deputati tra le fila della maggioranza, risultava approvato con 10 voti a favore e 7 contrari; sono seguiti ore di bagarre e di febbrili consulti regolamentari, ma alla fine quell’esito è stato dichiarato nullo e l’emendamento rimesso ai voti il giorno successivo, risultando ovviamente respinto.

Un testo approvato senza alcuna modifica

Al di là dell’incidente istituzionale, su cui sono state riportate versioni opposte, quanto accaduto non è di poco conto, poiché l’approvazione dell’emendamento avrebbe comportato una modifica del testo e, di conseguenza, la necessità di una seconda lettura al Senato.

Ma così non è stato. Infatti, nonostante le vibranti proteste di metodo sul fatto, nonché le numerose criticità di merito sul disegno di legge avanzate da autorevoli costituzionalisti e associazioni nel corso delle audizioni, il testo approvato non ha subito modifiche.

Anche per effetto dell’utilizzo della cosiddetta tagliola, necessaria secondo la maggioranza per evitare l’ostruzionismo delle minoranze, che ha ulteriormente contingentato la discussione, consentendo il voto solamente su un centinaio di emendamenti rispetto a un totale di 2200 presentati.

L’atto in discussione ora alla Camera, quindi, risulta identico a quello già votato dall’aula del Senato nella seduta del 23 gennaio 2024.

Ergo, non appena approvato, si appresta a divenire legge della Repubblica.

Autonomia differenziata: i dubbi sul finanziamento dei LEP

Su alcune criticità ho già avuto modo di riflettere in precedenti articoli. Voglio tornare in particolare su una, poiché ritengo che, con profili positivi e negativi, sia tra le modifiche più rilevanti introdotte nel corso della discussione.

Durante l’esame in Senato, infatti, è stato approvato un emendamento, presentato da alcune forze politiche della stessa maggioranza di Governo, con il quale si prevede che non si potrà procedere alla concessione dell’autonomia alle Regioni richiedenti se prima non ci sia stato il finanziamento dei LEP (Livelli Essenziali delle Prestazioni) sulle relative materie.

In linea generale, considero questa modifica alquanto migliorativa rispetto alla proposta iniziale, ma ciò non esime dal verificarne la validità dell’iter previsto e soprattutto dal chiedersi con quali risorse si vorrebbero finanziare i suddetti livelli essenziali, valutato l’impatto economico che ne è stato calcolato, nonché il presupposto dell’invarianza finanziaria, previsto sin dall’inizio e rimasto confermato nel testo in approvazione alla Camera.

I criteri per l’individuazione di beni e risorse

Partiamo dal primo punto. Il disegno di legge prevede che i criteri per l’individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative necessari per l’esercizio da parte della Regione di ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, sono affidati alle singole intese Stato-Regione e proposti da una Commissione paritetica Stato-Regione-Autonomie locali, disciplinata dall’intesa medesima, alla quale è affidato anche il monitoraggio.

Se così fosse, la concessione dell’autonomia su alcune funzioni risulterà del tutto parcellizzata, non scaturendo da un disegno omogeneo ma di volta in volta dalla singola intesa, e lo Stato perderebbe completamente quella visione unitaria che sarebbe invece necessaria affinché possa mantenere un ruolo di garanzia e controllo nella definizione dei fabbisogni standard, nonché nel monitoraggio dei LEP.

Questa eventualità andrebbe assolutamente evitata, poiché produrrebbe differenze sostanziali tra le stesse Regioni che avessero concessa l’autonomia, ma soprattutto perché potrebbe creare un ulteriore diseguaglianza tra territori, considerato che nello stesso tempo lo Stato dovrà continuare a garantire i medesimi livelli essenziali anche per le Regioni che non abbiano chiesto la differenziazione, ma non avendone più una gestione unica e contemporanea.

Inoltre, con questo processo si arriverebbe a instaurare un meccanismo simile a quanto previsto per le Regioni a Statuto speciale, i cui statuti però, è bene ricordarlo, sono approvati con legge costituzionale. E la differenza non sembra essere di poco conto.

Modalità di approvazione dei LEP

Anche sulla modalità di approvazione dei LEP, diritti fondamentali per garantire l’eguaglianza sostanziale dettata dalla nostra Costituzione, sono state apportate delle modifiche. Si è superata, infatti, l’originaria formulazione del disegno di legge, che si era spinta ad affidare la disciplina e il finanziamento degli stessi al solo strumento del d.P.C.M.

Tale evenienza, non solo avrebbe esautorato in maniera ancora più evidente il ruolo del Parlamento all’interno della procedura, ma anche sollevato forti dubbi di costituzionalità, considerato che l’art. 117 Cost., secondo comma, lett. m), affida chiaramente alla legislazione esclusiva dello Stato la «determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale».

Pertanto, anche questa modifica sarebbe da registrare positivamente, se non fosse che, mentre da una parte si è delegato il Governo a emanare, entro due anni dall’approvazione della legge, uno o più decreti legislativi per l’individuazione delle prestazioni da considerarsi essenziali, da un’altra si è specificato anche che nelle more dell’esercizio della delega i LEP possono essere comunque adottati con semplice atto amministrativo (leggasi nuovamente d.P.C.M.) sulla base di quanto previsto dalla Legge di bilancio per il 2023.

Interrogativi e incertezze sui finanziamenti

Venendo, infine, al tema delle risorse gli interrogativi e le incertezze appaiono ancora più evidenti.

Alcuni studi effettuati rivelano che, se si volessero finanziare i LEP così come definiti dalla Commissione Cassese, occorrerebbero almeno 100 miliardi di euro all’anno. Ad esempio, l’ufficio parlamentare di Bilancio ha stimato che solo per finanziare il diritto di tutti i bambini italiani ad avere accesso al tempo pieno scolastico servirebbero circa 4 miliardi di euro.

Tali cifre danno già un ordine di grandezza, ma per comprendere meglio di cosa si stia parlando è utile registrare che lintera legge Finanziaria 2024 ha avuto un ammontare complessivo di 28 miliardi di euro.

A fronte di questi numeri, risulta più che lecito chiedersi come si intenda trovare le risorse necessarie a far sì che la concessione dell’autonomia ad alcune Regioni non produca come primo effetto una limitazione dei diritti costituzionalmente garantiti per i cittadini delle altre.

Durante le audizioni nella I° Commissione Affari costituzionali della Camera il monito della Banca d’Italia al riguardo è stato alquanto eloquente: «Tra i principi enunciati nel DDL vi è quello dell’iniziale neutralità del riassetto delle competenze sui saldi di finanza pubblica, ma non si può escludere che già nell’immediato la spesa complessiva possa risentire della maggiore frammentazione nell’offerta dei servizi pubblici e dei costi dovuti a diseconomie di scala.

Inoltre, con l’andare del tempo, la dinamica del gettito delle compartecipazioni potrebbe risultare disallineata rispetto a quella della spesa per le funzioni devolute: le RAD [Regioni ad autonomia differenziata] con redditi pro capite più elevati e una crescita più pronunciata delle basi imponibili acquisirebbero in tal modo un extra-gettito da spendere liberamente, mentre – per preservare l’equilibrio di bilancio – il governo centrale potrebbe dover ricorrere a tagli alle prestazioni negli ambiti di spesa non trasferiti alle RAD o a inasprimenti del prelievo sui tributi erariali».

Tagli di servizi, nuove tasse o cristallizzazione della spesa storica, con accluse le conclamate ingiustizie che da decenni questo sistema si porta dietro. Non sembrano prospettive rosee; aspettiamo che ci sia dato modo di capire meglio, magari prima che sia troppo tardi.


Fonte: articolo di Fabio Ascenzi