L’Anac con determinazione n. 13 del 10/12/2015 ha reso precise indicazioni interpretative concernenti «le modifiche apportate alla disciplina dell’arbitrato nei contratti pubblici dalla legge 6 novembre 2012, n. 190, recante disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell’illegalità nella pubblica amministrazione».
Il divieto introdotto al comma 18 dell’art. 1, della l. 190/2012, non comprende le categorie degli avvocati dello Stato e dei magistrati a riposo, ciò in quanto, attesa l’espressa dizione della norma, la medesima deve correttamente essere riferita solo ai magistrati (ordinari, amministrativi, militari e contabili), agli avvocati e procuratori dello Stato ed ai componenti delle commissioni tributarie in servizio.
Tale interpretazione è anche coerente con la ratio legis della norma. In merito, si osserva, infatti, come lo scopo della norma sia quello di evitare il verificarsi di potenziali situazioni di conflitto di interesse e, dunque, sottintende verosimilmente lo svolgimento attuale delle funzioni proprie dei magistrati e degli avvocati dello Stato.
Quanto ai profili di diritto intertemporale dell’applicazione del citato comma 18, si rileva come il suddetto divieto non abbia efficacia retroattiva con riguardo agli incarichi relativi a procedimenti arbitrali in corso od a collegi arbitrali già costituiti alla data del 28 novembre 2012 (data di entrata in vigore della norma); a tale ipotesi deve assimilarsi anche il caso dei provvedimenti di nomina, con conseguente accettazione, intervenuti prima della data suddetta, anche ove il collegio non si fosse ancora costituito e sia stata presentata l’istanza di nomina del terzo arbitro alla camera arbitrale successivamente a tale data.
Tale interpretazione è ormai consolidata (anche a seguito del Comunicato n. 38, del 19.12.2012 della Camera arbitrale, del parere espresso al riguardo dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri (DAGL) e degli orientamenti assunti dalla stessa Avvocatura Generale dello Stato). Essa è, altresì, conforme ai principi generali in materia di efficacia di legge nel tempo (e, in particolare, all’art. 11 delle preleggi), attesa l’assenza di una diversa disciplina transitoria, ed è suffragata dalla stessa giurisprudenza della Corte EDU sulla generale irretroattività delle norme a meno di motivi imperativi di interesse generale.
Aderendo, peraltro all’orientamento espresso dalla Corte di Cassazione (cfr. sez. III, 16 aprile 2008 n. 9972), secondo cui il principio di irretroattività della legge implica che la norma sopravvenuta sia applicabile agli effetti non ancora esauriti di un rapporto giuridico sorto anteriormente solo allorché la nuova legge sia diretta a disciplinare tali effetti con autonoma considerazione dei medesimi, si rileva come tale ipotesi certamente non ricorra nel caso di specie.
Detta conclusione è, inoltre, coerente anche con una lettura costituzionalmente orientata della norma, giacché l’intervento sugli arbitrati in corso – con la caducazione del collegio già nominato – si porrebbe in contrasto con l’art. 111 della Costituzione.
In ordine alle modalità di nomina dell’arbitro di elezione pubblica, scelto a norma dell’art. 1, comma 23 della legge n. 190/2012 “preferibilmente” tra i dirigenti pubblici (nel caso di arbitrato tra p.a. e soggetti privati) si osserva quanto segue.
In relazione alla disposizione normativa appena richiamata giova precisare come l’espressa previsione della stessa porti ad escludere, innanzitutto, l’applicabilità a tale ipotesi dell’art. 815, comma 1, n. 5, c.p.c. che ammette, la ricusazione dell’arbitro «se è legato ad una delle parti, a una società da questa controllata, al soggetto che la controlla, o a società sottoposta a comune controllo, da un rapporto di lavoro subordinato o da un rapporto continuativo di consulenza o di prestazione d’opera retribuita, ovvero da altri rapporti di natura patrimoniale o associativa che ne compromettono l’indipendenza; inoltre, se è tutore o curatore di una delle parti».
Con specifico riguardo, invece, al rinvio al Codice contenuto nel medesimo comma 23 dell’ art. 1 (per il caso di impossibilità di individuare un dirigente pubblico cui affidare l’incarico di arbitro), è da ritenere che la genericità di detto rinvio comporti la riferibilità al complesso delle disposizioni del Codice ivi comprese quelle relative alle modalità di nomina degli arbitri di cui all’art. 241; la stessa genericità porta ad escludere, per contro, l’idoneità del richiamo al Codice ad attribuire alla Camera Arbitrale il (nuovo) potere di nomina dell’arbitro della p.a.
A ciò si aggiunga che il comma 21 stabilisce, in via generale, che la nomina degli arbitri per la risoluzione delle controversie nelle quali è parte una pubblica amministrazione avviene «nel rispetto dei principi di pubblicità e di rotazione e secondo le modalità previste dai commi 22, 23 e 24 del presente articolo, oltre che nel rispetto delle disposizioni del codice di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, in quanto applicabili».
Detta disposizione sembrerebbe, dunque, trovare applicazione sia con riguardo alle controversie tra p.a. (comma 22) che con riguardo alle controversie tra privati e p.a. (comma 23). Può, altresì, osservarsi che ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. c) del Codice, quest’ultimo non si applica ai contratti pubblici concernenti i servizi d’arbitrato e di conciliazione. La nomina dell’arbitro di parte deve comunque avvenire nel rispetto della disciplina generale ai sensi dell’art. 241, commi 4 e 6, del Codice, ove sono stabiliti i motivi di incompatibilità per l’affidamento dell’incarico.
Per le restanti direttive dell’ANAC potete consultare la delibera in allegato a quest’articolo.