residenzaEcco quanto si desume dall’ordinanza 2777 dell’11 febbraio 2016 della Corte di cassazione. Senza causa di “forza maggiore” a giustificare il mancato trasferimento di residenza, decade il presupposto del bonus ed è tardi per mettere in campo requisiti alternativi. Il contribuente perde i benefici prima casa nell’ipotesi di mancato trasferimento della residenza nel Comune di ubicazione dell’immobile entro il termine di diciotto mesi dall’acquisto, in assenza della prova di un evento oggettivo e imprevedibile idoneo a configurare la vis maior, dovendo tener fede al presupposto originariamente invocato.

 

La vicenda processuale

 

La vertenza giudiziaria nasce dall’impugnazione di un avviso di liquidazione, con cui l’Agenzia delle Entrate recupera le ordinarie imposte di registro, ipotecaria e catastale a seguito della decadenza dalle agevolazioni spettanti in relazione all’acquisto della prima casa, non avendo il contribuente trasferito, nel termine di diciotto mesi, la propria residenza nel Comune di ubicazione dell’immobile.

 

La Ctr, nel confermare il verdetto di primo grado, annulla detto avviso di liquidazione, ritenendo, in primo luogo, che il tardivo trasferimento della residenza nel termine dei diciotto mesi dall’acquisto possa trovare la sua giustificazione in una causa di forza maggiore (nella specie, presunti lavori di ristrutturazione dell’immobile). Altresì, a detta dei giudici di merito, al contribuente spetterebbe l’agevolazione prima casa avendo fornito la prova documentale di avere il centro dei propri interessi economici nello stesso comune ove si trova l’abitazione (oggetto dell’acquisto agevolato), soddisfacendo la condizione alternativa (normativamente richiesta) dell’ubicazione dell’immobile “nel luogo in cui l’acquirente svolge la propria attività”.

 

Ricorre in Cassazione l’Agenzia delle Entrate lamentando, in una duplice prospettiva, la violazione dell’articolo 1 e della relativa nota 2-bis della tariffa, parte I, allegata al Dpr 131/1986 (Tur).

 

La pronuncia della Cassazione

 

La Corte suprema ha accolto il ricorso del Fisco, confermando da un lato la prassi dell’Amministrazione finanziaria e l’orientamento di legittimità maggioritario, per cui soltanto una causa di forza di maggiore oggettiva, inevitabile e imprevedibile, della cui prova è onerato il contribuente, potrebbe dispensarlo dall’obbligo del trasferimento della residenza nel Comune dell’immobile acquistato. Altresì, ad avviso dei giudici, deve “escludersi che l’agevolazione, originariamente invocata in ragione dell’esistenza di uno specifico presupposto, possa poi essere recuperata in ragione di un differente presupposto una volta che si sia accertato inesistente quello su cui si confidava”.

 

Osservazioni

 

Nel confermare, dunque, l’orientamento di legittimità maggioritario, che attribuisce rilevanza alla vis maior (a titolo esemplificativo, si veda Cassazione, sentenza 7067/2014) idonea a esentare il contribuente dall’obbligo legale del trasferimento della residenza nel termine di diciotto mesi dall’acquisto, per non incorrere nella decadenza dell’agevolazione provvisoriamente accordata al momento della registrazione del rogito, la Corte suprema si sofferma sulle caratteristiche di detta vis maior e sul tema dell’oggetto dell’onus probandi di cui è gravato il contribuente, che perora la conservazione del beneficio. Spetta, infatti, al contribuente allegare la sussistenza del fatto impeditivo e comprovarne la esistenza e consistenza dei caratteri di non imputabilità, imprevedibilità e inevitabilità dello stesso. Circostanza non verificatesi nel caso di specie, dove il contribuente si è limitato ad asserire ritardi nei lavori di ristrutturazione a lui non imputabili e verificatisi dopo l’acquisto dell’immobile, non fornendo alcuna prova in tal senso. Resta, dunque, orientamento minoritario quanto di recente affermato dalla Corte suprema con la sentenza 2616/2016 sull’irrilevanza della causa di forza maggiore, quale evento idoneo a esentare l’acquirente “prima casa” dall’obbligo del trasferimento della residenza nel termine dei diciotto mesi dall’atto di vendita.

 

La Cassazione, altresì, in altra prospettiva, ha chiarito che, qualora il contribuente nell’atto di acquisto richieda l’agevolazione prima casa, subordinandola alla condizione del trasferimento della propria residenza nel comune di ubicazione dell’immobile entro il termine di diciotto mesi, detta condizione non è “surrogabile a posteriori” a mezzo della dimostrazione della sussistenza di altri requisiti alternativi ai quali è pure subordinato il beneficio in parola, come per esempio lo svolgimento della propria attività in detto comune.

 

Invero, considerato quanto argomentato in sentenza, se il contribuente avesse goduto del requisito alternativo (luogo di svolgimento della propria attività), al momento della stipulazione dell’atto non avrebbe avuto alcuna ragione a dichiarare l’intenzione del trasferimento della propria residenza. Né tantomeno nell’ordinamento giuridico è possibile rinvenire alcuna ipotesi di istanza per la concessione di un beneficio, nella quale possa rimanere elusa la precisa identificazione dei presupposti.

 

Da ultimo, una volta che l’acquirente abbia subordinato l’agevolazione prima casa alla condizione risolutiva del trasferimento della residenza, per i giudici di legittimità, vi è l’esigenza di non valicare il termine di decadenza normativamente previsto per l’avveramento di detta condizione. Pertanto – si legge in sentenza – “qualunque sia l’ipotizzabile relazione destinata ad instaurarsi tra le molteplici condizioni alternative di legge, ciò che certamente è da escludersi … è che l’emersione della fungibilità reciproca tra dette condizioni possa avvenire al momento della verifica giudiziale dell’esistenza del presupposto originariamente invocato, perché ciò sarebbe palesemente preclusivo della facoltà dell’Amministrazione procedente di sottoporne a verifica la consistenza effettiva”.