L’analisi di una recente sentenza, a cura dell’Avvocato Maurizio Lucca, fornisce interessanti chiarimenti sull’acquisizione di area industriale da un fallimento.


In generale, non è vietato l’acquisto di beni immobili da parte della PA, essendo riconosciuta dall’Ordinamento giuridico la capacità di porre in essere contratti di diritto privato (c.d. autonomia negoziale) nel perseguimento del pubblico interesse, a condizione che l’operazione sia adeguatamente motivata, rispetti le regole di trasparenza nell’individuazione del bene, siano valutate le condizioni di costi/benefici [1].

L’acquisto se giustificato da ragioni di pubblico interesse, se valutato il bene al prezzo conveniente, non può costituire motivo di responsabilità erariale, se, successivamente all’acquisto, la sua destinazione non risulta più conveniente, per le mutate situazioni in gioco sugli assetti territoriali.

Caso

La sez. giur. Campania, della Corte dei conti, con la sentenza 20 settembre 2024, n. 475, al di là del rigetto della richiesta attorea della Procura erariale, consente di soffermarsi sull’attività istruttoria e le motivazioni della decisione, al fine di raggiungere un obiettivo finale (c.d. risultato), senza incorrere in responsabilità erariale, specie in assenza di rilievi da parte degli organi tecnici del Comune, compresi i revisori.

La vicenda concerne una richiesta di condanna (rivolta ai consiglieri che votarono la delibera di acquisto, i funzionari che curarono l’istruttoria, e non resero i pareri, il Segretario comunale che si asteneva da ogni opposizione) [2] al pagamento del danno erariale arrecato ad un Comune, relativa all’acquisto di un’area industriale, mediante partecipazione all’asta fallimentare.

Nel corso del procedimento emergevano abusi edilizi, difformità urbanistiche, pratiche di condono, ovvero veniva rappresentata l’esigenza di una attenta verifica sulla possibilità di utilizzazione del suolo per fini edificatori (assenza di vincoli pregiudizievoli), nonché si prospettava l’impatto negativo sul bilancio.

Ciò nonostante si deliberava l’acquisto, essendo una valutazione rimessa all’organo politico del Comune (il Consiglio comunale), con conseguente acquisizione del cespite dal fallimento, con assunzione di mutuo.

Conclusa l’operazione veniva segnalato alle Autorità penali la possibile integrazione della fattispecie di reato di lottizzazione abusiva (concluso con archiviazione), con contestazione alla curatela fallimentare per una presunta vendita di aliud pro alio (azione priva di risultato), successivamente inutilizzabilità del bene, e aggiudicazione (a seguito di aste) con una riduzione significativa sul prezzo di acquisto.

La Procura riscontrava l’assenza di una programmazione (inserimento nei piani finanziari e dei LLPP del Comune, ovvero in violazione dei basilari principi di razionalità, logicità e non arbitrarietà, e pure delle disposizioni procedurali del codice dei contratti e, in particolare, del principio di preventiva programmazione di spese), della dichiarazione di indispensabilità ed indilazionabilità, nonché di una attestazione di congruità del prezzo di acquisto da parte dell’Agenzia del Demanio: la violazione dei principi di buona amministrazione e sana gestione finanziaria, ai sensi degli artt. 81, 97 e 119 della Cost., nonché dell’art. 27 del d.l. c.d. “Salva Italia”, delle norme in materia di contabilità pubblica e del procedimento (par condicio e concorrenza).

Le parti convenute formulavano una serie di ampie controdeduzioni, ritenendo legittimo l’acquisto sotto il profilo normativo, precisando la liceità della scelta, evidenziandone le plurime ragioni di pubblico interesse, finalizzate al recupero di un’area dismessa da riqualificare per la salvaguardia del territorio.

Merito

La Corte individua il presunto danno erariale: pagamento degli interessi inutilmente corrisposti sui ratei del mutuo contratto per l’acquisto.

Ciò posto, il Collegio – per motivi di economia processuale – passa all’esame del merito [3], al fine di ricercare la presenza della colpa grave, sulla base di una valutazione ex ante ed alla luce delle circostanze del caso concreto, alla cui stregua va accertato il grado di esigibilità della condotta normativamente prevista [4].

Emerge l’assenza di una condotta addebitabile di «grave e marchiana leggerezza e superficialità… evidente trascuratezza degli obblighi di servizio e negligenza operativa immediatamente percepibile», non potendo in mancanza di questi profili sostanziarsi la colpa grave per il configurarsi della responsabilità amministrativa: non si riscontra, nelle condotte dei convenuti, una violazione ai rispettivi obblighi di servizio da attingersi ai ruoli ricoperti, dimostrando (diversamente da quanto richiesto dalla Procura) una condotta diligente, perita e prudente.

Indicazioni istruttorie

Seguono le motivazioni a fondamento dell’“assoluzione” (con pagamento ai convenuti delle spese processuali a carico del Comune), per punti:

  • l’acquisto dell’immobile sarebbe in coerenza con la disciplina di legge [5], essendo piena la capacità giuridica degli Enti locali con riferimento all’acquisto di beni, nel presupposto del rispetto dei principi di buon andamento e dell’equilibrio di bilancio, nel perseguimento dell’interesse pubblico [6];
  • l’acquisto dell’immobile è avvenuto nell’ambito di un’asta fallimentare, procedura presidiata dagli organi della giurisdizione, non potendo argomentarsi in senso ostativo alla generale capacità giuridica di diritto privato dell’Ente locale, anche alla luce dell’art. 1, comma 1-bis, della legge n. 241/1990, secondo cui «La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente», dove si generalizza la possibilità per le PA di operare secondo le norme del diritto privato e, quindi, mediante moduli negoziali, esprimendo in tal senso un principio tendenziale dell’ordinamento;
  • l’acquisto (la decisione di partecipare all’asta fallimentare) è stato deliberato legittimamente dal Consiglio comunale (ex 42, comma 2, lett. l), del d.lgs. n. 267/2000, riferito agli acquisti del patrimonio immobiliare) [7], con atto di mero indirizzo, dove i pareri degli uffici non sono richiesti [8], rilevando che l’attribuzione consiliare è, tuttavia, soggetta ad un “doppio criterio selettivo”: l’acquisto è di competenza del Consiglio solo se esso non è approvato in attuazione di altri atti fondamentali del Consiglio stesso o non rientra nell’ordinaria amministrazione dell’ente;
  • la direttiva (alias l’atto originario del Consiglio comunale) individuava un percorso per il perfezionamento dell’acquisto, quasi un atto pluristrutturato [9], che si è sostanziato con una serie successiva di atti (un processo decisionale in progressione, fatto da più fasi), a cura degli uffici preposti, con i relativi pareri (le attività istruttorie si sono dimostrare equivalenti ai pareri di regolarità tecnica) [10] e autorizzazioni, comprese le valutazioni del collegio dei revisori sull’indebitamento: attività effettuate in via rapida per partecipare, entro i termini, all’asta e all’acquisto del bene («appare pienamente giustificata in quanto funzionale a garantire quella che era una partecipazione indilazionabile, proprio perché legata ai tempi della procedura fallimentare»);
  • l’acquisto è consentito anche al di fuori di atti di programmazione o di altro atto contabile, essendo sufficiente l’atto di indirizzo consiliare, a cui hanno seguito altri provvedimenti di esecuzione, osservando che l’acquisto era già previsto in precedenti documenti (rispettando il principio di continuità dell’azione amministrativa e, nel caso specifico, di mandato/programma elettorale);
  • l’acquisto avvenuto mediante partecipazione ad un’asta fallimentare, cioè a una procedura pubblica soggetta al controllo di congruità ed economicità del Giudice del fallimento, risulta coerente con il quadro normativo dell’evidenza pubblica, dove la congruità è parte del procedimento, anche rispetto ai valori superiori di mercato (tutti aspetti di convenienza vagliati dal collegio dei revisori);
  • l’acquisto mediante l’apertura di un mutuo risulta legittimo, in quanto nella nozione di investimento rientrano «l’acquisto, la costruzione, la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria di beni immobili, costituiti da fabbricati sia residenziali che non residenziali», per espresso disposto normativo dell’art. 3, comma 18, della legge n. 350/2003, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2004 [11]: il tutto funzionale all’interesse pubblico per la realizzazione di un recupero di un area da destinare a servizi e uffici pubblici (un fine lecito, anzi, tra i principi del TUEL, ex 3, comma 2, una causale funzionale allo scopo pubblico ammissibile per rispondere alle esigenze della Comunità, esigenze che trovano negli amministratori i loro rappresentanti);
  • con riferimento all’inutilizzo del bene, al fallimento dei tentativi di vendita, nonché alla mancata richiesta di sanatoria degli abusi condonabili, si tratta di elementi di valutazione postumi che non possono essere presi in considerazione nell’ambito del giudizio, dovendosi verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini dell’ente pubblico in astratto ed “ex ante”, ovvero al momento della scelta e non già in base ai risultati, positivi o negativi, “ex post” acclarati [12].

Sintesi

La sentenza conferma la piena capacità del Comune di partecipare ad un’asta fallimentare per l’acquisto di un bene, quando a monte vi sia un atto consiliare di autorizzazione: non si rilevano preclusioni soggettive, «sebbene, come anzidetto, l’ente locale debba sempre valutare l’opportunità dell’acquisto di un bene immobile, la congruità del prezzo e la sua destinazione, nel rispetto dei principi costituzionali di buon andamento e dell’equilibrio di bilancio».

Si prospetta che la scelta (metodo) di partecipare ad un’asta per acquistare un bene, da inserire a patrimonio del Comune, non è un’operazione illegittima, dovendo – in ogni caso – effettuare un’attività istruttoria dalla quale deve emergere:

  • l’interesse pubblico (la motivazione, ex 3 della legge n. 241/1990), manifestato negli atti consiliari (competenza propria);
  • un giudizio di convenienza sul costo/congruità (valutato da un organo tecnico, ad es. revisore dei conti o perizia esterna);
  • una programmazione, anche successiva sulla destinazione (l’uso previsto), compatibile con la capacità di indebitamento e le esigenze del territorio, evitando investimenti improduttivi.

Note

[1] Vedi, LUCCA, Acquisizione di impianti sportivi in liquidazione, lentepubblica.it, 20 settembre 2024.

[2] La Procura citava un orientamento della magistratura contabile, che, attraverso una lettura congiunta degli artt. 49 e 147-bis del d.lgs. n. 267/2000 (TUEL), affermava che l’omessa acquisizione dei suddetti pareri determinava l’illegittimità dell’atto, Corte conti, sez. contr. Emilia Romagna, delibera n. 62/2017. Di contro, la sez. giur. Lombardia, della Corte dei conti, con la sentenza n. 142/2015, precisava che la colpevolezza degli organi politici, può non assurgere a gravità perseguibile nel caso in cui gli stessi abbiano adottato le contestate decisioni sulla base del parere di un organo tecnico (nel caso di specie, senza riserve).

[3] In virtù del principio della “ragione più liquida” se, dalla documentazione in atti, emerga in modo palese l’infondatezza della domanda attorea per insussistenza di uno o più elementi costitutivi della responsabilità amministrativa, Cass. civ., SS.UU., sentenza n. 9936/2014.

[4] Corte conti, sez. III Appello, sentenza n. 428/2017.

[5] Principi che, ancor prima della legge costituzionale n. 1/2012, debbono considerarsi immanenti nel disegno costituzionale della PA, delineato in base ai principi del buon andamento dei pubblici uffici (ex art. 97), della responsabilità dei pubblici funzionari (ex art. 28), del tendenziale equilibrio di bilancio (ex art. 81) e del coordinamento dell’autonomia finanziaria delle regioni con la finanza dello Stato, delle Province e dei Comuni (ex art. 119), Corte cost., sentenza n. 29/1995.

[6] Il principio di finalizzazione alla cura degli interessi pubblici permea l’Amministrazione pubblica nel suo complesso ed è applicabile anche all’attività di diritto privato: il ricorso a strumenti privatistici non oblitera, infatti, la necessaria preordinazione dell’azione amministrativa al perseguimento dell’interesse pubblico, Corte conti, sez. contr. Campania, delibera. n. 52/2021/PAR.

[7] Tra gli atti del Consiglio comunali, sono compresi anche gli atti, come gli acquisti, che non possono considerarsi, per loro intrinseca natura, espressione di indirizzi politici ed amministrativi di rilievo generale, ma che vengono espressamente considerati come fondamentali per il loro presumibile rilievo economico, Cass. civ., sez. I, sentenza n. 18309/2012.

[8] Ogni valutazione di merito appartiene esclusivamente all’organo deliberante, libero di determinarsi in ordine alle stesse, non essendo il parere predetto vincolante per l’organo deliberante medesimo, Corte conti, sez. Appello Sicilia, sentenza n. 1/2009. I pareri rilevano comunque sul piano interno in quanto sono preordinati all’individuazione sul piano formale dei funzionari che li formulano ai fini della responsabilità eventualmente in solido con i componenti degli organi politici in via amministrativa, Corte conti, sez. giur. Sicilia, sentenza n. 19058/2011.

[9]Nell’ambito dell’attività amministrativa delle PPAA, le cc.dd. decisioni pluristrutturate sono quelle che, ai fini della relativa legittimità, richiedono la preventiva acquisizione di un parere vincolante da parte dell’Autorità procedente, la quale non potrà discostarsene in sede di adozione dell’atto finale, TAR Campania, Napoli, sez. III, 20 settembre 2024, n. 5040.

[10] I pareri rilevano, appunto, solo sul piano interno (tant’è che la loro assenza si traduce in una mera irregolarità e non ridonda in un vizio di legittimità), hanno natura non vincolante e, pertanto la Giunta e il Consiglio possono discostarsi, sia pure fornendo idonea motivazione: trattasi di pareri che, per la loro collocazione endoprocedimentale e per l’assenza di efficacia esterna, sono inidonei a concretizzare una lesione di una situazione giuridica soggettiva, TAR Campania, Napoli, sez. VI, 6 febbraio 2024, n. 919.

[11] Una nozione di investimento che considera tutti i casi in cui dalla spesa assunta dall’ente deriva un aumento di valore del patrimonio immobiliare o mobiliare: un aumento della “ricchezza” dell’ente stesso, che si ripercuote non solo sull’esercizio corrente, ma anche su quelli futuri, proprio per giustificare il perdurare, nel tempo, degli effetti dell’indebitamento, cfr. Corte conti, sez. Riunite, delibera n. 25/CONTR/11.

[12] Corte conti, sez. giur. Lombardia, sentenza n. 467/2005.


Fonte: articolo dell'Avv. Maurizio Lucca - Segretario Generale Enti Locali e Development Manager