abuso-contratti-a-termine-decreto-dignitaAbuso di Contratti a Termine: il Decreto Dignità porta delle novità che sono entrate in vigore grazie alle misure contenute nel decreto legge approvato da Palazzo Chigi.


Scatta  la stretta sui contratti a termine dopo la pubblicazione in Gazzetta del Decreto legge ribattezzato Dignità dal Ministro del Lavoro Luigi di Maio (DL 87/2018) che consegna all’esame del Parlamento per il consueto iter di conversione in legge che dovrà concludersi entro 60 giorni almeno tre misure significative sul panorama giuslavoristico.

 

Patto di non concorrenza: di cosa si tratta?

 

Abuso di Contratti a Termine: il Decreto Dignità pone un freno

 

La prima riguarda la reintroduzione delle causali per i contratti a tempo determinato di durata oltre 12 mesi incluse le proroghe. Il datore di lavoro dovrà cioè giustificare l’apposizione del termine al contratto per una delle seguenti causali: a) esigenze temporanee e oggettive, estranee all’ordinaria attivita’, ovvero esigenze sostitutive di altri lavoratori; b) esigenze connesse a incrementi temporanei, significativi e non programmabili, dell’attivita’ ordinaria. In presenza di una di queste condizioni già a partire dal primo contratto sarà possibile apporre un termine, comunque, non superiore a 24 mesi (dai 36 mesi attuali).

 

Restano fuori i contratti per le attività stagionali che potranno essere, quindi, liberamente stipulabili purchè la durata iniziale non risulti superiore a 12 mesi (è invece sempre ammessa la proroga o il rinnovo nel rispetto della durata massima dei 24 mesi). Le proroghe possibili scenderanno, inoltre, dalle attuali 5 a 4. Le nuove regole valgono anche per i contratti a tempo determinato in somministrazione e per il rinnovo o le proroghe dei contratti attualmente in corso.

 

 

 

Sale anche il costo del rinnovo, con l’obiettivo di scoraggiare il ricorso a questa forma contrattuale nel mirino della maggioranza: ad ogni rinnovo i datori di lavoro dovranno pagare un’addizionale più cara dello 0,5% rispetto all’attuale 1,4% della retribuzione imponibile ai fini previdenziali già è a carico del datore di lavoro e che finanzia la Naspi. La terza misura sul fronte del lavoro riguarda l’aumento dell’indennità per i lavoratori licenziati “ingiustamente”. Il provvedimento licenziato dal Consiglio dei Ministri ricalca quanto suggerito lo scorso dicembre dalla Commissione Lavoro della Camera in occasione della discussione della Legge di bilancio per il 2018 aumentando gli indennizzi ad un massimo di 36 mensilità, invece delle 24 previste dal Jobs Act. Gli indennizzi minimi salgono invece da 4 a 6 mensilità di retribuzione.

 

Le altre misure

 

All’interno del provvedimento ci sono poi misure per salvaguardare i livelli occupazionali e contrastare la delocalizzazione delle aziende che abbiano ottenuto aiuti dallo Stato per impiantare, ampliare e sostenere le proprie attività economiche in Italia; contrastare il grave fenomeno della ludopatia, vietando la pubblicità di giochi o scommesse con vincite in denaro; e misure in materia di semplificazione fiscale, attraverso la revisione dell’istituto del cosiddetto “redditometro” in chiave di contrasto all’economia sommersa, il rinvio della prossima scadenza per l’invio dei dati delle fatture emesse e ricevute (cosiddetto “spesometro”), nonché l’abolizione dello split payment  per le prestazioni di servizi rese alle pubbliche amministrazioni dai professionisti i cui compensi sono assoggettati a ritenute alla fonte a titolo di imposta o a titolo di acconto.

 

Non ci sono novità in materia pensionistica come già anticipato nei giorni scorsi su Pensioni Oggi. La complessa partita previdenziale si giocherà dopo l’estate in occasione della presentazione della legge di bilancio per il 2019.