La formale spettanza di un risparmio di imposta è un presupposto ineliminabile dell’abuso del diritto e non ne rappresenta, come invece sostenuto nel motivo di ricorso, un limite.

Il contribuente non può usufruire di un’agevolazione fiscale che, sebbene formalmente spettante per legge, è frutto di una operazione elusiva perché concepita al solo scopo di fruire di una riduzione d’imposta diversamente non spettante.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 24027 dell’11 novembre 2014.

Il fatto
Con avviso di accertamento, ai fini delle imposte dirette, l’Agenzia delle Entrate ha disconosciuto le agevolazioni previste dall’articolo 4 della legge 383/2001, di cui il contribuente aveva usufruito per il periodo d’imposta 2008.
Avverso l’atto impositivo veniva proposto ricorso, accolto in primo grado, ma poi respinto in appello. In questa sede, contrariamente a quanto ritenuto dalla Ctp, i giudici hanno confermato la legittimità dell’atto e la conseguente non debenza dell’esenzione fiscale, perché ottenuta attraverso un’operazione elusiva, i cui effetti sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 37-bis del Dpr 600/1973.

Contro la sentenza della Ctr il contribuente ha interposto ricorso per cassazione, lamentando l’erronea applicazione dell’articolo 37-bis.
A giudizio del ricorrente, infatti, la norma antielusiva sarebbe stata applicata a un caso in cui manca l’indebito vantaggio fiscale perché, essendo l’agevolazione fiscale prevista ex lege, il beneficio non può essere qualificato come “indebito”.

La Corte suprema ha ritenuto infondato il motivo di doglianza addotto dal contribuente e lo ha respinto con condanna di spese.

Il diritto
Nel caso in esame, la società contribuente aveva usufruito delle agevolazioni previste dall’articolo 4 della legge 383/2001 (“Tremonti-bis”), consistente nell’esclusione dal reddito d’impresa del 50% della differenza fra l’ammontare complessivo degli investimenti in beni strumentali effettuati nel 2001 e la media aritmetica degli investimenti effettuati nei cinque periodi d’imposta precedenti.

Dall’esame degli atti processuali è emerso che il contribuente, al precipuo fine di ottenere l’incentivo in esame, ha posto in essere la seguente operazione:

  • acquisto, nel corso del 2012, dell’intero capitale sociale di una società in nome collettivo
  • trasformazione dell’ente in una società in nome collettivo e conseguente modifica della ragione sociale
  • modifica dell’oggetto sociale della società da “produzione, stiratura e rifinizione di capi di biancheria” ad “attività di costruzione, acquisto, vendita, locazione e gestione di immobili”.

A parere dei giudici di legittimità, che sul punto confermano la posizione dell’Agenzia delle Entrate, gli effetti fiscali dell’operazione sono inopponibili all’Amministrazione finanziaria ai sensi dell’articolo 37-bis del Dpr 600/1973 perché gli atti, di per sé privi di valide ragioni economiche, sono stati diretti a ottenere un indebito abbattimento d’imposta.
A nulla valgono le motivazioni del contribuente secondo cui, in merito all’erronea applicazione della norma anti-elusiva al caso di specie, non può parlarsi di “indebito vantaggio fiscale”, essendo l’agevolazione espressamente prevista dall’articolo 4 della legge 383 del 2001.
I giudici di legittimità, infatti, hanno deciso per l’infondatezza di tale motivo doglianza sulla base del principio secondo cui “la formale spettanza di un risparmio di imposta è un presupposto ineliminabile dell’abuso del diritto e non ne rappresenta, come invece sostenuto nel motivo di ricorso, un limite”.

Pertanto, le disposizioni di cui all’articolo 37-bis sono correttamente applicate anche nel caso in cui un’esenzione fiscale, sebbene formalmente spettante al contribuente, sia frutto di un’operazione che è stata concepita “allo scopo di fruire delle agevolazioni, diversamente non spettanti”.

 

 

FONTE: Fisco Oggi – Rivista Telematica dell’Agenzia delle Entrate

AUTORE: Emiliano Marvulli

 

 

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