piano casa abusivismoChe cos’hanno in comune una casa abusiva, una scossa di terremoto, un territorio lasciato in balia dell’incuria e della dimenticanza?Apparentemente nulla. Ma nell’Italia dei disastri annunciati mascherati da fatalità, le connessioni sono più che una semplice probabilità.


 

Ad un anno esatto dal sisma che ha ferito il centro Italia eccoci di nuovo a parlare di tragedia, distribuendo colpe e omissioni che con il senno di poi servono sempre e solo a rafforzare il senso di smarrimento e l’amaro in bocca, per una politica che proprio non intende assumersi le proprie responsabilità, diventando finalmente adulta.

 

Com’è possibile che una scossa del quarto grado della scala Richter possa provocare tanti e tali danni (alle persone, alle case) così com’è accaduto ad Ischia? Semplice: buona parte delle abitazioni colpite era abusiva, costruite laddove non sarebbe mai stato consentito, con materiali spesso inidonei e ben lontani dal rendere sicura una casa. La domanda che segue è facile e non troverà purtroppo risposta. Com’è stato possibile? Perché nessuno è intervenuto per tempo? Come mai le istituzioni locali (tutte) si sono sottratte nel loro compito di far rispettare le leggi?

 

Torniamo al terremoto di un anno fa. A che punto siamo con la messa in sicurezza del territorio? E con la ricostruzione? E, soprattutto, abbiamo un’idea di vivibilità sostenibile e concreta per i paesi e le comunità della dorsale appenninica?

 

Saltiamo alle scelte di medio periodo della politica nazionale. Com’è possibile che in un Paese che spende circa 23 miliardi di euro all’anno per la Difesa (missioni di guerra internazionali, corsa agli armamenti, mantenimento esercito, ecc.) non si riescano a trovare 9 miliardi (stima ISPRA) per rimettere in sicurezza persone, edifici e territori in mezza Italia?

 

Nella fiaba “I tre porcellini” di Jacobs Joseph il porcellino più grande ammonisce (invano) i due fratelli minori a costruire case più solide, anteponendo la sicurezza alle scorciatoie del tutto e subito… Ecco il punto, e la proposta. Tra meno di un anno andremo al voto per eleggere i rappresentanti del Parlamento. In campagna elettorale di tutto si parla e si ragione, tranne che di tematiche ambientali. Consumo di suolo, manutenzione, messa in sicurezza del patrimonio edilizio (pubblico e privato), sembrano essere argomenti tabù. La politica non ne parla perché sa che alla gente certi discorsi non interessano (qualcuno, in fondo, quelle case abusive le abita…).

 

Sarebbe quindi il caso di provare ad unire le forze, senza primogeniture o manie di protagonismo. Tutti insieme ai nastri di partenza, per una corsa contro il tempo finalizzata a “pretendere” dai partiti e da tutti i candidati che si presenteranno alle elezioni del 2018 di mettere al centro questi temi. Della lotta senza quartiere all’abusivismo edilizio e della cura del territorio dovremmo fare una bandiera, e sbatterla in faccia a partire dall’ultimo dei più anonimi dei deputati su fino ai ministri e al Presidente del Consiglio del prossimo Governo.

 

Sarebbe bello e utile e credo anche giusto se tutte le associazioni ambientaliste, le reti virtuose di comuni, le realtà locali che da anni si battono su questi temi, decidessero una buona volta di fare fronte comune, e attivassero una campagna unica e forte. Di sensibilizzazione e di pressione, di formazione alla bellezza e di confronto.

 

Per raccontare le cose belle che funzionano, i modelli, gli esempi, e pretendere che su questo la Politica si giochi un pezzo di gara al consenso. Strizzando l’occhio, per una volta, a chi va strizzato per davvero.