Il 19 Luglio è dedicato alla memoria di Paolo Borsellino e della sua scorta, assassinati questo stesso giorno del 1992 nella Strage di Via d’Amelio.
Il 19 luglio 1992 ricorre una delle pagine più nere della Storia Italiana, dal dopoguerra ad oggi. Oggi, infatti, si celebra il 26mo anniversario della Strage di Via d’Amelio: con il giudice Paolo Borsellino perdono la vita gli agenti di scorta Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, prima donna poliziotto a essere uccisa in un attentato di mafia.
Palermo risponderà, anche quest’anno, all’appello di non dimenticare il giudice scomparso tragicamente 26 anni fa, a soli 57 giorni dall’amico e collega Giovanni Falcone, morto nella strage di Capaci il 23 Giugno del 1992.
Il 19 Luglio, dedicato alla memoria di Paolo Borsellino e della sua scorta
Oggi sfilerà la fiaccolata in memoria della strage: “Depistaggi e tradimenti: 26 anni senza verità”, sarà il testo del lungo striscione che aprirà il lungo corteo, alla quale hanno aderito sessanta tra associazioni, movimenti e numerosi Comuni siciliani. La manifestazione avrà inizio alle 20.30 a Piazza Vittorio Veneto (Statua della Libertà). Il corteo attraverserà via Libertà, via Autonomia Siciliana, per arrivare infine in via D’Amelio, luogo della strage, dove verrà deposto un tricolore e intonato l’inno nazionale.
Il riferimento dello striscione è ovviamente legato agli insabbiamenti emersi dalla sentenza del processo Borsellino quater, dove è stata sottolineato come le false dichiarazioni di tre poliziotti abbiano dato vita a “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“.
Senza dimenticare che per questa strage ci sono già stati condannati eccellenti, come l’ex senatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri e i vertici dei Carabinieri dei Ros dell’epoca, Mori e De Donno.
Un ricordo dell’uomo
Paolo Borsellino fu chiamato da Rocco Chinnici a far parte del pool antimafia, insieme a Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Lo scopo del Pool era condividere le informazioni e la conoscenza del fenomeno mafioso tra più persone, coordinando le indagini e rendendo più efficace l’azione giudiziaria, che da quel momento si sarebbe basata su accertamenti bancari e patrimoniali, vecchi rapporti delle forze dell’ordine e nuovi procedimenti penali, che costituirono la mole probatoria che avrebbe portato al Maxiprocesso.
Ovviamente, per il suo lavoro, diventò presto bersaglio della criminalità organizzata, come divenne presto evidente dopo i numerosi attentati operati dalla Mafia nei confronti dei servitori dello Stato.
Pochi giorni prima della morte, e dopo la Strade di Capaci, dichiarò, citando Ninni Cassarà:
« Guardi, io ricordo ciò che mi disse Ninni Cassarà allorché ci stavamo recando assieme sul luogo dove era stato ucciso il dottor Montana alla fine del luglio del 1985, credo. Mi disse: “Convinciamoci che siamo dei cadaveri che camminano”. »
(Paolo Borsellino, intervista rilasciata a Lamberto Sposini il 24 giugno 1992)
L’eredità di Paolo Borsellino
La morte del giudice lasciò tramortita e ferita l’Italia. Tuttavia, da quel giorno, una nuova coscienza del pericolo mafioso e della certezza matematica dell’influenza di Cosa Nostra sulla vita quotidiana della cultura siciliana e italiana non poté più essere celato. Cosa Nostra era uscito allo scoperto con le proprie armi e fu così messa a nudo. E fu così, inoltre, che crebbe la consapevolezza che, accanto all’ala stragista, operava un’ala di criminalità più “legalizzata”, una Mafia dei colletti bianchi, presente anche in insospettabili CdA di grandi Società, nel Settore Pubblico, nei Consigli Comunali.
Un concetto chiaramento espresso in un’altra delle sue ultime interviste:
« All’inizio degli anni settanta, Cosa Nostra cominciò a diventare un’impresa anch’essa. Un’impresa nel senso che attraverso l’inserimento sempre più notevole, che a un certo punto diventò addirittura monopolistico, nel traffico di sostanze stupefacenti, Cosa Nostra cominciò a gestire una massa enorme di capitali. Una massa enorme di capitali dei quali, naturalmente, cercò lo sbocco. Cercò lo sbocco perché questi capitali in parte venivano esportati o depositati all’estero e allora così si spiega la vicinanza fra elementi di Cosa Nostra e certi finanzieri che si occupavano di questi movimenti di capitali, contestualmente Cosa Nostra cominciò a porsi il problema e ad effettuare investimenti. Naturalmente, per questa ragione, cominciò a seguire una via parallela e talvolta tangenziale all’industria operante anche nel Nord o a inserirsi in modo da poter utilizzare le capacità, quelle capacità imprenditoriali, al fine di far fruttificare questi capitali dei quali si erano trovati in possesso».
(Paolo Borsellino, intervista a Canal+, 21 maggio 1992.)
La Mafia si era scoperta come un sistema pervasivo (che tuttora, purtroppo, rimane tale). Tuttavia adesso si avevano gli strumenti per conoscerla e (da parte delle persone oneste) additarla e condannarla.
Il messaggio universale che ricaviamo è il seguente: non dobbiamo dimenticare il fatto che la Mafia esiste. Altrimenti, noi stessi diventiamo Mafia.