antitrust (1)Con la sentenza n. 14137/2017, la Corte di cassazione è tornata a occuparsi del tema inerente la deducibilità o meno, ex articolo 75 del vecchio Tuir (ante 2004 – ora articolo 109), delle sanzioni antitrust irrogate per violazioni anticoncorrenziali.


 

Il Collegio giudicante, nell’esprimere il proprio convincimento, prende le mosse dall’interpretazione dell’articolo 75 del vecchio Tuir, che riconosce la deducibilità di spese e componenti negativi se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito. E, a questo proposito, richiama il consolidato orientamento giurisprudenziale che ha da tempo disconosciuto la natura di costo deducibile alle somme versate a titolo di sanzioni antitrust (fra le altre: Cassazione 11 aprile 2011, n. 8135, e 3 marzo 2010, n. 5050).

 

In particolare, ricorda la sentenza in epigrafe, già in precedenti occasioni, la suprema Corte ha avuto modo di evidenziare che: “la sanzione conseguente alla violazione di un divieto da parte di un’impresa non deriva da un’attività connessa al corretto esercizio dell’impresa (omissis) e non può pertanto qualificarsi come fattore produttivo, trattandosi di condotta non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vita della impresa, ma antitetica rispetto al corretto svolgimento di tale attività” (Cassazione, sentenza n. 5050/2010).

 

Ne discende che “la condotta anticoncorrenziale non può integrare un fattore produttivo, essendo non soltanto autonoma ed esterna rispetto alla normale vito dell’impresa, ma radicalmente antitetica al suo corretto andamento, sicché l’imputazione della sanzione antitrust al reddito d’impresa quale sopravvenienza passiva neutralizzerebbe la ratio punitiva della misura, trasformandola in un risparmio d’imposta” (sentenza in epigrafe).

 

Come ricordato dalla sentenza in nota, inoltre, anche le pronunce della Corte di giustizia dell’Unione europea si collocano in senso conforme alla citata giurisprudenza interna, rimarcando che l’efficacia della sanzione inflitta a garanzia della concorrenza potrebbe essere sensibilmente ridotta dalla sua deducibilità fiscale, che avrebbe l’effetto di compensarne il peso con una diminuzione degli oneri tributari (Corte Ue 11 giugno 2009, C-429/07, Inspecteur van de Belastingdienst).

 

Sul tema, è utile altresì ricordare che anche l’Agenzia delle entrate, in diverse occasioni, ha negato la deducibilità delle sanzioni amministrative proprio sulla base di considerazioni analoghe a quelle della Cassazione (cfr: circolare 26 settembre 2005, n. 42/E; circolare 17 maggio 2000, n. 98/E e circolare 20 giugno 2002, n. 55/E).

 

In particolare, secondo l’amministrazione finanziaria, occorre distinguere “tra le spese sostenute per porre in essere l’attività e le spese sostenute a causa ed in conseguenza dell’illiceità dell’attività”. Mentre le prime risultano deducibili (salvo l’ipotesi in cui siano riconducibili a fattispecie penalmente rilevanti, nel qual caso la loro deduzione è espressamente negata dall’articolo 14, comma 4-bis, della legge 24 dicembre 1993, n. 537), le seconde non lo sono, in quanto, “essendo le stesse la conseguenza del comportamento illecito dell’imprenditore”, non possono essere considerate “quali costi inerenti ai ricavi conseguiti. Non è configurabile, infatti, neppure in via indiretta, alcun rapporto funzionale tra il costo stesso e i ricavi realizzati”.

 

Alla luce di tale articolato quadro di precedenti giurisprudenziali e prassi amministrativa, la Corte di legittimità ha concluso ribadendo che la sanzione irrogata per comportamento anticoncorrenziale non può essere qualificata come costo deducibile dal reddito di impresa, in quanto priva di un nesso di inerenza con l’attività commerciale svolta. Inoltre, una diversa interpretazione, atta a riconoscere detta deducibilità, non sarebbe giustificabile neanche sotto il profilo logico-giuridico, in quanto avrebbe l’effetto di compensare parzialmente il peso dell’ammenda con una diminuzione degli oneri fiscali, incidendo così sull’efficacia punitiva della decisione della Commissione Ce.