IRPEFCinque per Mille IRPEF: prevista la razionalizzazione dei criteri di accreditamento e dei requisiti per l’accesso al beneficio, nonché l’accelerazione e la semplificazione delle procedure per il calcolo.


 

La legge 106/2016 ha delegato il Governo all’adozione di norme finalizzate alla riforma del Terzo settore, dell’impresa sociale e del servizio civile universale. Tra gli ambiti di intervento delineati dalla delega, vi è quello relativo alle misure agevolative e di sostegno economico in favore degli enti del Terzo settore e al riordino, nonché all’armonizzazione, della relativa disciplina tributaria e delle diverse forme di fiscalità di vantaggio, nel rispetto della normativa dell’Unione europea (articolo 9, comma 1).

 

Nel novero degli strumenti di sostegno previsti dal legislatore per favorire lo sviluppo delle attività degli enti del Terzo settore rientra l’istituto del cinque per mille dell’Irpef, alla cui disciplina è dedicato uno dei decreti legislativi adottati nell’esercizio della delega: il Dlgs 111/2017.

Con il presente contributo, si intende tracciare un quadro riepilogativo delle disposizioni del testo normativo e, quindi, del nuovo assetto che il legislatore ha in tal modo conferito al cinque per mille.

 

I principi e i criteri direttivi della delega

 

Il Dlgs 111/2017 è stato adottato sulla base dei principi e dei criteri direttivi dettati dalla legge delega 106/2016, il cui articolo 9, comma 1, lettere c) e d) espressamente prevede:

 

 

  • il completamento della riforma strutturale dell’istituto della destinazione del cinque per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche in base alle scelte espresse dai contribuenti in favore degli enti del Terzo settore
  • la razionalizzazione e la revisione dei criteri di accreditamento dei soggetti beneficiari e dei requisiti per l’accesso al beneficio
  • la semplificazione e l’accelerazione delle procedure per il calcolo e l’erogazione dei contributi spettanti agli enti
  • l’introduzione, a carico degli enti beneficiari, di stringenti obblighi di pubblicità delle risorse a essi destinate, attraverso l’individuazione di un sistema improntato alla massima trasparenza, con la previsione di specifiche sanzioni in caso di mancato rispetto, fatti salvi gli obblighi di controllo interno.

 

 

Il legislatore delegante, quindi, ha attribuito al Governo il compito di allestire un impianto normativo in grado di portare a compimento la riforma strutturale del cinque per mille, tenendo conto del processo di modifica dell’istituto già iniziato da tempo. Ne deriva che le nuove disposizioni in parte integrano e in parte sostituiscono quelle già vigenti con l’effetto finale di attribuire una cornice normativa organica a uno dei più importanti strumenti di sostegno a favore degli enti del non profit.

 

Prima di passare in rassegna i contenuti del Dlgs 111/2017, si ritiene opportuno dar conto sinteticamente, da un lato, dell’assetto della disciplina dell’istituto vigente prima dell’entrata in vigore delle nuove disposizioni e, dall’altro, di quanto affermato dalla Corte costituzionale con riguardo alla natura e alla funzione del cinque per mille.

 

La disciplina vigente

 

Il cinque per mille è stato introdotto nel nostro ordinamento, “a titolo iniziale e sperimentale”, per il 2006, dalle legga finanziaria dello stesso anno (legge 266/2005, articolo 1, commi 337 e seguenti), per il finanziamento di una serie di finalità di interesse sociale e di ricerca. Nel corso degli anni successivi, l’istituto è stato di volta in volta confermato da apposite disposizioni normative, fino al 2014.

 

Mentre per il primo anno di applicazione (2006), le somme corrispondenti alla quota del cinque per mille sono state determinate “sulla base degli incassi in conto competenza relativi all’Irpef, sulla base delle scelte espresse dai contribuenti, risultanti dal rendiconto generale dello Stato” (articolo 1, comma 339, legge 266/2005), nel corso degli anni successivi (fino al 2014) è stata introdotta una specifica autorizzazione legislativa di spesa, disposta in termini di limite massimo stanziato per le finalità cui è diretto il cinque per mille.

 

Durante i primi anni di applicazione (dal 2006 al 2009), la disciplina del cinque per mille è stata caratterizzata da una notevole variabilità, sia con riferimento ai soggetti beneficiari (il cui elenco è stato più volte modificato) sia con riguardo alle disposizioni di attuazione del meccanismo (adottate di anno in anno con specifici Dpcm).

 

A partire dal 2010, invece, si è registrato un primo tentativo di sistematizzazione. Infatti, da quel momento, i soggetti ammessi al riparto sono rimasti invariati e il meccanismo è stato riproposto per ogni annualità senza modifiche, in virtù della conferma delle disposizioni contenute nell’articolo 2, commi da 4-novies a 4-undecies, Dl 40/2010 e nel Dpcm 23 aprile 2010 (quest’ultimo detta la disciplina attuativa, individuando le modalità e i termini degli adempimenti previsti a carico dei beneficiari e le attività rimesse alle amministrazioni per il riparto e la corresponsione delle quote, nonché gli obblighi connessi alla rendicontazione e all’eventuale recupero dei contributi).

 

L’esigenza della stabilizzazione dell’istituto era stata già sottolineata dalla Corte dei conti nella deliberazione n. 14/2013/G, con la quale è stata approvata la relazione concernente “Destinazione e gestione del 5 per mille dell’Irpef”. In particolare, i giudici contabili avevano espresso la necessità di attribuire al meccanismo “connotati di efficienza, che solo una normativa organica e non precaria può garantire. Infatti, la mancata stabilizzazione attraverso una legge organica -in grado di garantire la certezza degli introiti nel corso di un arco temporale ragionevole e la definizione di tempi certi per l’erogazione dei fondi, al fine di permettere ai beneficiari di programmare, con congruo anticipo, le attività da finanziare – ha prodotto inefficienze e inutili appesantimenti burocratici”.

 

L’invocata messa a regime si è avuta a partire dal 2015: il cinque per mille, quindi, è diventato un meccanismo “definitivo” di finanziamento di particolari attività ritenute meritevoli dall’ordinamento (articolo 1, comma 154, legge 190/2014).

 

Con la medesima disposizione, inoltre, è stata prevista l’adozione di un decreto di natura non regolamentare del presidente del Consiglio dei ministri con il quale, per assicurare trasparenza ed efficacia nell’utilizzazione del cinque per mille, definire un sistema di verifica e di pubblicità dell’utilizzo delle risorse erogate e di relativa rendicontazione.

 

Alla previsione si è data attuazione con l’adozione del Dpcm 7 luglio 2016, recante “Disposizioni in materia di trasparenza e di efficacia nell’utilizzazione della quota del cinque per mille”, che ha dettato ulteriori disposizioni in materia di rendicontazione e recupero delle somme nei casi di violazione nonché di pubblicazione, sul sito internet di ciascuna amministrazione erogatrice, degli elenchi dei soggetti ai quali è stato erogato il contributo e dei rendiconti trasmessi. Peraltro, in caso di violazione degli obblighi di pubblicazione nel sito web a carico di ciascuna amministrazione erogatrice e di comunicazione della rendicontazione da parte degli assegnatari, si applicano le sanzioni previste in materia di trasgressione degli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni, previste dagli articoli 46 e 47, Dlgs 33/2013 (articolo 1, comma 154, legge 190/2014).

 

Il provvedimento, peraltro, ha lasciato invariate sia la disciplina dei profili gestionali dell’istituto (dettata dal Dpcm 23 aprile 2010) sia le disposizioni relative al novero dei soggetti beneficiari. La legge 190/2014, inoltre, ha stabilito in 500 milioni di euro annui l’importo destinato alla liquidazione della quota del cinque per mille a decorrere dall’anno 2015 e ha disposto che “le somme non utilizzate entro il 31 dicembre di ciascun anno possono esserlo nell’esercizio successivo”. Si tratta di una novità molto rilevante, tenuto conto della complessa procedura per il riparto delle somme che, di regola, si esaurisce nel corso di due anni.

 

Come funziona il cinque per mille

 

Descritto il quadro normativo operante prima dell’entrata in vigore del Dlgs 111/2017, è utile ricordare brevemente il funzionamento del meccanismo. In sede di presentazione della dichiarazione dei redditi, i contribuenti possono scegliere di destinare una quota del cinque per mille della propria Irpef al finanziamento di una delle attività previste dal legislatore attraverso l’indicazione di uno specifico soggetto beneficiario, di cui va riportato il codice fiscale. Le scelte operate dai singoli contribuenti determinano, in misura proporzionale, l’importo spettante a ciascun beneficiario, nei limiti stabiliti dalla legge.

 

L’Agenzia delle entrate, sulla base delle scelte operate dai contribuenti, trasmette in via telematica al ministero dell’Economia e delle finanze – dipartimento della Ragioneria generale dello Stato – i dati occorrenti a stabilire, sulla base degli incassi relativi all’Irpef per il periodo d’imposta interessato, gli importi delle somme che spettano a ciascuno dei soggetti a favore dei quali i contribuenti hanno effettuato una valida destinazione della quota del cinque per mille della loro Irpef.

 

Gli importi sono ripartiti con decreto del ministro dell’Economia e delle finanze, sentiti il ministro dell’Istruzione, dell’università e della ricerca, il ministro del Lavoro e delle politiche sociali e il ministro della Salute, tra gli stati di previsione delle amministrazioni interessate, sulla base dei dati comunicati dall’Agenzia delle Entrate. Per ulteriori informazioni, si rinvia al sito www.agenziaentrate.gov.itHome – Cosa devi fare – Richieste, istanze e interpelli – Contributo del 5 per mille 2017 – Informazioni generali.

 

Attività e soggetti beneficiari

 

Il cinque per mille può essere destinato al sostegno di una delle seguenti finalità:

 

 

  • sostegno del volontariato e delle altre organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus), nonché delle associazioni di promozione sociale iscritte negli appositi registri nazionale, regionale e provinciale e delle associazioni e fondazioni riconosciute che operano in determinati settori (assistenza sociale, assistenza sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, sport dilettantistico, tutela, promozione e valorizzazione delle cose d’interesse artistico e storico, promozione della cultura tutela dei diritti civili, ricerca scientifica, cooperazione allo sviluppo e solidarietà internazionale)
  • finanziamento della ricerca scientifica e dell’università
  • finanziamento della ricerca sanitaria
  • sostegno delle attività sociali svolte dal comune di residenza del contribuente
  • sostegno delle associazioni sportive dilettantistiche in possesso del riconoscimento ai fini sportivi rilasciato dal Coni, che svolgono una rilevante attività di interesse sociale.

 

 

Inoltre, a decorrere dal 2012, tra le finalità alle quali può essere destinato il cinque per mille vi è quella del finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (articolo 23, comma 46, Dl 98/2011). Le disposizioni attuative di tale norma sono state adottate con il Dpcm 30 maggio 2012.

 

Obbligo di rendicontazione

 

Tra gli aspetti gestionali più rilevanti connessi al funzionamento del meccanismo del cinque per mille vi è l’obbligo per i soggetti ammessi di redigere, entro un anno dalla ricezione delle somme, un apposito e separato rendiconto dal quale risulti, anche a mezzo di una relazione illustrativa, in modo chiaro e trasparente, la destinazione degli importi attribuiti.

 

Il cinque per mille nella sentenza 202/2007 della Corte costituzionale

 

La Corte costituzionale ha avuto modo di soffermarsi sulle caratteristiche del cinque per mille nella nota sentenza 202/2007, in cui l’istituto è stato osservato alla luce delle caratteristiche del nostro sistema tributario.
Il giudice delle leggi ha affermato che, per effetto della dichiarazione di volontà manifestata dal contribuente, “il titolo di acquisto della quota del cinque per mille dell’Irpef incassata dall’erario subisce una trasformazione (…). In tal caso, infatti, “la pretesa tributaria dello Stato si riduce della quota del cinque per mille degli incassi in conto competenza relativi all’Irpef (…) del singolo contribuente e il relativo importo viene trattenuto dallo Stato non più a titolo di tributo erariale, ma come somma che lo Stato medesimo è obbligato, come mandatario necessario ex lege, a corrispondere ai soggetti indicati dal contribuente stesso, svolgenti attività ritenute meritevoli dall’ordinamento (…)”. Attraverso tale meccanismo, quindi, il finanziamento degli enti del Terzo settore è “direttamente ascrivibile alla volontà del contribuente”, perdendo, la quota del cinque per mille, la “natura di entrata tributaria erariale” e assumendo quella di “provvista versata obbligatoriamente all’erario per tale finanziamento”.

 

In altri termini, secondo i giudici costituzionali, ”la devoluzione della quota del cinque per mille dell’Irpef ai soggetti beneficiari si realizza in base alla volontà del contribuente, sia pure con la necessaria mediazione dello Stato, il quale non effettua una spesa, ma si limita, in esecuzione del vincolo di destinazione impresso dal medesimo contribuente, a corrispondere l’indicata quota d’imposta a un soggetto svolgente un’attività considerata dall’ordinamento socialmente o eticamente meritevole. Solo in mancanza di un’idonea manifestazione di volontà del contribuente in tal senso, la quota del cinque per mille mantiene la sua originaria natura di entrata tributaria erariale e resta, perciò, destinata al complesso della spesa pubblica statale”.

 

In conclusione, quindi, con il cinque per mille “opera un meccanismo fiscale di de tax diretto a favorire, mediante una riduzione dell’imposta, il finanziamento delle attività eticamente o socialmente meritevoli, svolte dal soggetto indicato dal contribuente quale beneficiario del finanziamento. Tale riduzione del tributo erariale è coerente con l’intento del legislatore di perseguire una politica fiscale diretta a valorizzare, in correlazione con un restringimento del ruolo dello Stato, la partecipazione volontaria dei cittadini alla copertura dei costi della solidarietà sociale e della ricerca”.