Da Montecitorio arriva l’ok definitivo alla legge di conversione del decreto 47/2014: nessuna modifica rispetto al testo licenziato dal Senato la settimana scorsa.
Bonus arredi svincolato dal costo dei connessi lavori di ristrutturazione; cedolare secca con aliquota agevolata al 10% anche nei comuni colpiti da calamità naturali; assimilazione all’abitazione principale, ai fini Imu, per la casa posseduta da connazionali non residenti; tutela per chi ha denunciato gli affitti “in nero”.
Rispetto al provvedimento originario, sono queste le principali modifiche in ambito tributario arrivate durante l’iter parlamentare del Dl 47/2014.
Bonus arredi (articolo 7, commi 2-bis e 2-ter)
Per il “bonus arredi” resta in piedi il solo limite del tetto massimo di 10mila euro, sancita l’irrilevanza del costo della ristrutturazione cui lo stesso è collegato. È stata infatti eliminata la disposizione introdotta dalla “Stabilità 2014”, in base alla quale la detrazione Irpef del 50% per le spese sostenute fino al 31 dicembre 2014 per l’acquisto di mobili e grandi elettrodomestici, destinati all’arredo di immobili ammessi al “bonus ristrutturazioni” con l’aliquota maggiorata del 50% (con spese, cioè, sostenute dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2014), poteva essere calcolata su un importo non superiore a quello dei costi per l’intervento edilizio cui è associato. In altre parole, la spesa agevolabile per mobili ed elettrodomestici potrà essere anche più elevata di quella per l’associata ristrutturazione, fermo restando il limite assoluto dei 10mila euro per unità immobiliare.
Cedolare secca al 10% (articolo 9, commi 2-bis e 2-ter)
Il testo originario del Dl n. 47 già aveva ridotto dal 15 al 10%, per il quadriennio 2014-2017, l’aliquota dell’imposta sostitutiva da applicare in caso di opzione per il regime della cedolare secca relativamente ai contratti di locazione abitativa a canone concordato, stipulati nei maggiori comuni italiani (Bari, Bologna, Catania, Firenze, Genova, Milano, Napoli, Palermo, Roma, Torino e Venezia) e in quelli confinanti, in tutti gli altri capoluoghi di provincia e nei comuni ad alta tensione abitativa, individuati con la delibera n. 87/2003 del Cipe (tra l’altro, è previsto che l’elenco venga aggiornato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del Dl 47).
Tale possibilità (applicazione dell’aliquota ridotta al 10%), durante il percorso del provvedimento in Parlamento, è stata estesa ai contratti di locazione stipulati nei comuni per i quali, negli ultimi cinque anni, è stato deliberato lo stato di emergenza a seguito di eventi calamitosi.
Imu per cittadini residenti all’estero (articolo 9-bis)
Ai fini del trattamento Imu, viene meno la facoltà per i Comuni di assimilare all’abitazione principale l’unità immobiliare posseduta da cittadini italiani non residenti, purché non locata: a partire dal 2015, l’equiparazione opererà automaticamente. È stata però ristretta la platea dei beneficiari e sono state poste condizioni più stringenti. Infatti, perché scatti l’assimilazione, è richiesto che il possessore sia pensionato e risulti iscritto all’Anagrafe degli Italiani residenti all’estero; inoltre, l’immobile agevolabile – uno e uno solo – non deve non essere locato né concesso in comodato d’uso. In questi casi, dunque, niente Imu, se l’abitazione non è classificata in una delle categorie catastali A/1, A/8 o A/9; altrimenti, si applicheranno l’aliquota agevolata dello 0,4% e la detrazione di 200 euro.
Su questi immobili, inoltre, Tari e Tasi saranno dovute in misura ridotta di due terzi.
Locazioni in nero (articolo 5, comma 1-ter)
Introdotta una clausola di salvaguardia, fino al 31 dicembre 2015, degli effetti venutisi a creare e dei rapporti giuridici sorti sulla base dei contratti di locazione registrati presso l’Agenzia delle entrate in base all’articolo 3, commi 8 e 9, del Dlgs 23/2011. Ciò per “contenere” le conseguenze derivanti dalla pronuncia di illegittimità da parte della Corte costituzionale (sentenza n. 50 del 14 marzo 2014) in merito a quelle disposizioni normative, che prevedevano, per le ipotesi di mancata registrazione del contratto entro i termini di legge oppure di indicazione di un affitto inferiore a quello effettivo o, ancora, di registrazione di un contratto di comodato fittizio, l’applicazione di sanzioni “particolari”: il canone annuo veniva fissato, ex lege, in un importo pari al triplo della rendita catastale, mentre per il contratto scattava la disciplina del “4+4”, cioè durata di quattro anni a partire dalla data di registrazione, volontaria o d’ufficio, rinnovabili di altri quattro anni.
FONTE: Fisco Oggi, giornale on line dell’Agenzia delle entrate