La condizione essenziale è che l’ufficio fiscale garantisca, nei casi richiesti, il diritto al contradittorio, invitando il contribuente prima dell’emissione dell’atto impositivo
Difatti, puntualizzano i giudici, il termine dilatorio di 60 giorni previsto dall’articolo 12, comma 7, della legge 212/2000 (Statuto del contribuente), è riferibile, unicamente, alla chiusura della verifica fiscale e non alla fase del contraddittorio che si sviluppa successivamente.
Il contenzioso origina da un avviso di accertamento emesso per l’annualità 2007 ai fini Iva, Ires e Irap, in applicazione degli studi di settore e previa attivazione del procedimento di accertamento con adesione ai sensi dell’articolo 5 del Dlgs 218/1997.La Commissione tributaria di primo grado rigettava il ricorso argomentando sulla legittimità dell’avviso emesso in assenza di un verbale ricognitivo dell’attività istruttoria svolta.
Stesso verdetto in secondo grado: il Collegio di appello riteneva che il termine dilatorio previsto dall’articolo 12 riguardasse la chiusura delle sole attività di verifica e non la fase del contradittorio instaurato in sede istruttoria.
In particolare, i giudici di merito ritenevano che l’ufficio avesse correttamente applicato la procedura di accertamento standardizzato, invitando la società al contradittorio, che veniva dalla stessa disertato.
Di certo, puntualizzano i giudici di merito, l’ufficio non aveva alcun obbligo di inviare proposte scritte di definizione bonaria.
Decisone – osservazioni
La società presentava ricorso per cassazione lamentando la violazione dell’articolo 12 dello Statuto del contribuente: l’Agenzia, secondo la parte, in violazione del principio del contradittorio, aveva emesso l’avviso in assenza di verbale ricognitivo delle attività svolte, dal quale sarebbe dovuto decorrere il termine di sessanta giorni.
L’ufficio competente, contestava la società, si era limitato a una comunicazione telefonica nella quale proponeva l’adesione a una minore pretesa impositiva.
A supporto delle propria difesa, la ricorrente cita la recente pronuncia delle sezioni unite secondo cui, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’articolo 12, comma 7, della legge 212/2000 “deve essere interpretato nel senso che l’inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l’emanazione dell’avviso di accertamento – – determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l’illegittimità dell’atto impositivo emesso ante tempus, poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace esercizio della potestà impositiva”.
In riferimento a tale pronuncia, la Corte, nel rigettare il ricorso presentato dalla società, chiarisce che il termine di sessanta giorni interessa le sole attività di verifica .
In particolare, la richiamata norma riguarda l’intervallo di tempo che deve necessariamente intercorrere (salvo l’esistenza di situazioni di particolare urgenza) tra il rilascio al contribuente del verbale di chiusura delle operazioni ivi previste (accessi, ispezioni o verifiche eseguite nei locali destinati all’esercizio dell’attività) e l’emanazione del relativo avviso di accertamento.
Il caso, invece, sottoposto al vaglio dei giudici, si colloca nell’ambito della procedura di accertamento cosiddetto standardizzato (mediante, in particolare, l’applicazione degli studi di settore), “la quale prevede la fase – necessaria a pena di nullità dell’accertamento: Cass., sez. un., n. 26635 del 2009 – del contraddittorio procedimentale, alla quale il contribuente deve obbligatoriamente essere invitato a partecipare e della quale l’Ufficio deve dar conto – salvo che il contribuente non abbia aderito all’invito – nella motivazione dell’atto impositivo”.
Nella vicenda trattata, non risulta in alcun modo violato il diritto al contradittorio, in quanto l’ufficio ha operato in modo tale da garantire la partecipazione e l’interlocuzione del contribuente nella fase anteriore all’emissione dell’accertamento.
Del resto, l’attuale quadro normativo non prevede un principio generale di contradittorio in ordine alla pretesa fiscale, fatta eccezione per i casi di cui agli articoli 37-bis, comma4, del Dpr 633/1972, 62-bis e 62-sexies del Dl 331/1993, e 12, comma7, della legge 212/2000.
In più occasioni, la giurisprudenza di legittimità ha bocciato l’obbligatorietà del contradittorio tra fisco e contribuente nella fase amministrativa, stabilendo che l’ufficio delle Entrate non è sempre tenuto a interpellare il cittadino, neppure nel caso di incertezza intrinseca della dichiarazione dei redditi (Cassazione, sentenza 26316/2010). In senso conforme, Cassazione, sentenze 16874/2009, 20268/2008, 10964/2007 e16597/2003.
La Corte suprema, inoltre, con sentenza 14027/2012, ha sottolineato la differenza tra il contradittorio instaurato in sede processuale, “inteso come espressione del diritto di difesa”, e il mero intervento del privato nel procedimento amministrativo, inteso, invece, “come facoltà d’introduzione di ulteriori elementi in fatto e in diritto a completamento della fattispecie concreta sulla quale la Pubblica Amministrazione è chiamata a provvedere in funzione dell’attuazione dell’interesse pubblico”.
In definitiva, lo svolgimento dell’attività istruttoria non deve necessariamente concludersi con la redazione di un verbale ricognitivo delle attività svolte, potendo l’Amministrazione procedere all’emissione dell’avviso laddove emergano elementi fattuali di rilievo a supporto della pretesa.
In questo modo non risulta pregiudicato il diritto di difesa del contribuente, che può sempre presentare osservazioni e memorie a supporto dell’attività d’indagine; in caso contrario, non è dato ipotizzare, a carico dell’Agenzia, un obbligo di redazione del verbale di chiusura dell’attività d’indagine, specie se il contribuente ha disertato, volutamente, il contradittorio con l’ufficio.