La legge 92/2012, di proposta governativa ha introdotto un’ampia gamma di norme in materia economica, lavoristica e previdenziale, tra le quali la riforma dell’art. 18 legge 300/70 (Statuto dei lavoratori).
Con l’art. 1, commi da 47 a 68, ha introdotto un nuovo rito processuale per le sole cause d’impugnazione dei licenziamenti, articolato, nel primo grado di giudizio, in due fasi (una cd. sommaria e la seconda di opposizione al provvedimento adottato nella prima) e seguito da un grado di reclamo in appello e dal giudizio di Cassazione.
Queste le principali ragioni d’insoddisfazione unanime per la riforma processuale.
1) Il nuovo rito incide sul processo del lavoro che, in molte sedi, funziona da sempre con efficacia e garantisce rapidità di decisioni;
2) La celerità che si è voluta assicurare (art. 1, comma 1, lett. c) era già attuata in molte sedi con strumenti analoghi (corsia preferenziale nell’agenda del giudice o della sezione);
3) La specialità del rito comporta ora gravi problemi di rapporti con le cause connesse da trattarsi col processo del lavoro;
4) La doppia fase nel primo grado introduce una doppia verifica di legittimità del licenziamento inutile e pregiudizievole all’esigenza di celerità;
5) Il carattere eventuale della seconda fase si risolve, nella prevalenza dei casi, in un passaggio ineliminabile per chi voglia pervenire ai gradi d’impugnazione;
6) La caratteristica vincente del processo del lavoro è costituita dal meccanismo di decadenze e preclusioni immediato e dai poteri ufficiosi del giudice, che si esprimono fin nel tentativo di conciliazione e nell’interrogatorio libero iniziali: il carattere formalizzato della prima fase del primo grado, senza decadenze, rende invece incompleti le difese e il materiale probatorio delle parti, impedendo così al giudice di giungere, già coi primi adempimenti processuali, a soluzioni decisive e utili per le parti;
7) Le norme sul nuovo rito – affidate all’elaborazione del Ministero dell’economia – presentano dei deficit di tecnicità e precisione e stanno generando, incertezze, contrasti e contenziosi interpretativi, tra gli altri, su: a) gli effetti delle azioni proposte erroneamente con uno o l’altro rito; b) i rapporti tra le due fasi del primo grado in ordine alla rispettiva natura ed agli ambiti istruttori; c) l’identificazione delle cause proponibili col nuovo rito; d) gli effetti della decisione adottata nel fase sommaria; e) i rapporti con le cause trattate con diverso rito;
8) Taluni contrasti stanno già interessando le sezioni unite (ad es. sulla proponibilità dell’azione di accertamento da parte del datore di lavoro) e soprattutto la Corte costituzionale (ad es. sull’identità del giudice nelle due fasi del primo grado), con riflessi ordinamentali gravi per gli equilibri di molti uffici: si pensi, nel caso in cui venisse sancita l’incompatibilità del giudice persona fisica nelle due fasi, alla concreta possibilità che, nelle sedi più piccole, il giudice dell’opposizione possa non essere specializzato, con risultati evidentemente paradossali.
Si volevano insomma ottenere celerità nelle decisioni e certezza del diritto, ma si sono generati invece rallentamenti e incongruenze irrisolvibili.
La riforma proposta da magistrati e avvocati – e condivisa dalle forze sociali – ha i seguenti pregi:
a) Riconduce i processi dei licenziamenti all’unico rito del lavoro, conservando gli strumenti acceleratori ordinamentali pensati dalla legge 92/2012, utili dunque a dare a questi processi una via preferenziale anche negli uffici giudiziari in cui il rito ordinario del lavoro non garantisce tempi rapidi di definizione;
b) Elimina gli inconvenienti sopra elencati;
c) Elimina le incertezze applicative anche in altre controversie sui licenziamenti (discriminatori e dei soci lavoratori di cooperative)
c) Si conforma all’idea di semplificazione e uniformità, che guida l’attuale tendenza legislativa: su tutti il d. lgs 150/2011, riducendo il numero dei riti processuali civili.
La soppressione del rito speciale della legge 92/2012 è in linea col carattere sperimentale enunciato nella legge (art. 1, comma 2) e, su questo piano, trova un significativo precedente nell’abrogazione del cd. “rito societario” (che era stato introdotto col d. lgs 5/2003)
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FONTE: Associazione Nazionale Magistrati