L’occultamento o la distruzione delle scritture ha natura di reato permanente, in quanto la condotta penalmente rilevante si protrae fino al momento dell’accertamento fiscale

L’elemento psicologico del reato di “occultamento o distruzione di documenti contabili” può essere provato anche con elementi deducibili in base a norme di comune esperienza, come la situazione di crisi irreversibile dell’impresa.
Inoltre, il delitto in questione ha natura di reato permanente, in quanto la condotta penalmente rilevante si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, che coincide con il dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione.
Questi, in sintesi, i principi di diritto stabiliti dalla pronuncia della Cassazione n. 11537 dell’11 marzo.

Il fatto
La Corte d’appello confermava in secondo grado la condanna per omessa esibizione dei documenti e dei registri contabili, per gli anni dal 2001 al 2006, del legale rappresentante e socio accomandatario di una Sas, al fine di evadere le imposte.

Il ricorso dell’imputato
Ricorreva per cassazione l’imputato, affidando il ricorso a tre motivi di diritto.
Con il primo, eccepiva che egli non avrebbe avuto alcun interesse a omettere l’esibizione delle fatture passive o della residua documentazione atta a confermare le voci di spesa sostenute dalla società, poiché la loro mancata esibizione non rendeva possibile la deduzione ex lege. Ciò si traduceva, quindi, in un danno per lo stesso imputato.
Con il secondo motivo, il ricorrente sosteneva che la sua condotta omissiva era derivata dall’essere del tutto estraneo alla gestione della compagine societaria (era una “testa di paglia”) e, quindi, anche dei documenti, tutti depositati presso la sede sociale e perduti nel 2005, per allagamento dell’appartamento in cui si trovavano.
Infine, la parte ricorrente asseriva di dover beneficiare degli effetti dell’indulto ex legge 241/2006, contrariamente all’opinione della Corte territoriale.

Le motivazioni
La Cassazione rigetta il ricorso dell’imputato, con articolata motivazione.
Quanto al primo motivo, i Supremi togati osservano che la circostanza che stesse montando una situazione di crisi irreversibile faceva emergere lo specifico interesse del ricorrente, quale amministratore, a evadere le imposte, poiché l’assolvimento del debito tributario avrebbe inevitabilmente contribuito ad aggravare la situazione finanziaria della società.
Da qui, la sussistenza del requisito soggettivo del dolo ex articolo 10 del Dlgs 74/2000, la cui prova può essere tratta anche da elementi deducibili in base a norme di comune esperienza.

Censurato anche il secondo motivo di ricorso avanzato dall’imputato, per ragioni processuali, la Cassazione passa a vagliare e a rigettare anche il terzo motivo.
In questo senso, i giudici escludono la verosimiglianza della teoria dell’allagamento dell’appartamento ove era conservata la contabilità, per abbracciare l’ipotesi dell’occultamento di tali documenti, almeno fino al 6 novembre 2006 (oltre, dunque, la “data-soglia” del 2 maggio 2006, limite per usufruire dell’indulto).
In conclusione, la Cassazione qualifica il delitto di occultamento della documentazione contabile come reato permanente, in quanto la condotta penalmente rilevante si protrae sino al momento dell’accertamento fiscale, che coincide con il dies a quo da cui decorre il termine di prescrizione.

Osservazioni
Il delitto di sottrazione o occultamento delle scritture contabili sussiste qualora il contribuente nasconda l’assetto contabile dell’azienda, senza che siano previste “soglie monetarie” di rilevanza, diversamente da altre fattispecie (ad esempio, dichiarazione infedele ex articolo 4 del Dlgs 74/2000).
Si tratta di una previsione molto severa proprio per l’importanza del bene giuridico tutelato dalla norma, ossia l’interesse statale alla trasparenza fiscale del contribuente.

Inoltre, l’impossibilità di ricostruzione del volume di affari o del reddito, requisito previsto dalla norma ai fini della configurabilità del reato, deve essere riferita alla situazione “interna” dell’azienda, “senza che assuma alcuna rilevanza la possibilità in concreto di poter pervenire alla ricostruzione, avvalendosi di elementi e dati raccolti all’esterno e in modo indiretto, perché è sufficiente un’impossibilità relativa” (cfr Cassazione n. 38224/2010).

La sentenza in commento prevede la possibilità di accertare il dolo “specifico”, in quanto la condotta deve essere mossa dal fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, anche tramite elementi indiretti, tratti da norme di comune esperienza.

FONTE: Fisco Oggi, giornale on line dell’Agenzia delle entrate
AUTORE: Martino Verrengia
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