Incentivi per le zone a fallimento di mercato. Taglio della burocrazia. Leva fiscale. Condivisione delle infrastrutture. Liberazione di frequenze. I punti su cui lavorare per assicurare un futuro “ultra largo” all’Italia
Il recente rapporto redatto da Caio sul futuro della banda ultra larga in Italia rappresenta uno snodo importante per delineare le prospettive per l’ammodernamento delle infrastrutture di comunicazione.
Il bicchiere è chiaramente mezzo pieno.
Da un lato è vero come gli operatori di comunicazione abbiamo abbiano avviato con decisione una nuova fase di infrastrutturazione che ci porterà nel giro di un triennio a disporre di reti a banda ultra fissa (>30 Mbps in download, la soglia che l’Unione Europea fissa come obiettivo 2020 per il 100% della popolazione) per circa metà della popolazione, valori che salgono all’80% per le reti a banda ultra larga mobile (in questo caso l’obiettivo prestazionale non è in realtà codificato in sede comunitaria). Negli anni successivi si può ipotizzare che la copertura si sviluppi ulteriormente, ma dipenderà molto dai risultati commerciali. Va inoltre ricordato, come questo livello di copertura faccia riferimento alle dichiarazioni di Telecom Italia, mentre gli operatori alternativi si focalizzeranno su circa 150 città (le maggiori, ovviamente). In sintesi, è ragionevole ipotizzare che all’orizzonte 2020 le logiche di mercato porteranno difficilmente a coprire più del 70-75% della popolazione.
Riguardo invece al secondo obiettivo europeo (50% di utenti a 100Mbps) ci troviamo di fronte all’inviluppo di interrogativi tecnologici, regolamentari e di mercato. Le caratteristiche della rete in rame italiana ci consentirebbero di beneficiare di livelli prestazionali che, su brevi distanze, superano la fatidica soglia dei 100 Mbps, ma l’attuale quadro regolamentare non consente l’utilizzo delle tecnologie abilitanti (a cominciare dal vectoring). Allo stesso tempo, perché realizzare nuovi investimenti se la domanda per servizi di fascia più alta rimane traballante? In sintesi, ad oggi non è possibile fornire indicazioni ragionevoli su quale sarà il livello di utenti a 100 Mbps nel 2020. Potremo considerarci fortunati se arriviamo al 25%.
Quali politiche allora ipotizzare?
Escludendo per il momento gli scenari più drastici che prevedono la separazione societaria della rete fissa e un nuovo assetto azionario (che non risolve di fatto il problema della redditività degli investimenti), le linee di intervento sono quelle tradizionali per favorire i grandi progetti infrastrutturali.
Incentivi. Il modello del finanziamento a fondo perduto già sperimentato per il digital divide infrastrutturale di prima generazione e in corso di applicazione anche per i nuovi progetti in alcune regioni meridionali rimane probabilmente la soluzione più efficace per estendere ulteriormente il livello di copertura e i meccanismi di claw back offrono sufficienti garanzie per evitare eventuali distorsioni.
Minori costi. Un’ulteriore leva da utilizzare è l’applicazione del ricco armamentario normativo in nostro possesso per favorire l’accesso alle infrastrutture civili esistenti (tipicamente possedute da aziende multiservizi locali), ma spesso rimasto lettera morta. Il recente accordo siglato tra il Comune di Bologna e Metroweb dimostra come si possa, volendo, procedere concretamente anche per l’impiego delle tecniche meno invasive e più economiche. La sfida è quella di generalizzare le pratiche virtuose, contrastando i comportamenti dilatori.
Fiscalità. La leva fiscale è un ulteriore strumento che si può utilizzare, a maggior ragione in un contesto nel quale l’investimento genera implicitamente nuova domanda e innesca un circolo virtuoso sullo sviluppo economico. La misura non è di per sé in grado di modificare radicalmente le prospettive, ma congiuntamente ad altri strumenti può fornire un contributo positivo.
Condivisione. In realtà, in Italia il tema della condivisione degli investimenti nelle reti fisse appare più come un argomento pro competitivo che una reale modalità per estendere il livello di copertura, come invece si sta verificando nell’esperienza francese, nella quale un ruolo molto attivo è stato svolto dall’autorità di settore (ARCEP).
Frequenze. A maggior ragione in assenza di infrastrutture alternative, l’Italia avrà bisogno di ricercare sinergie tra la traiettoria di sviluppo delle reti fisse e mobili. La disponibilità di nuove frequenze per sfruttare appieno le potenzialità delle nuove tecnologie radio deve diventare una priorità di politica industriale.
Domanda. Il traino della domanda pubblica aggregata rimane una leva possibile, ma nella fattispecie i benefici complessivi sull’incremento di domanda e, quindi, la capacità di remunerare gli investimenti sono relativamente contenuti, al di là del possibile stimolo allo sviluppo di servizi innovativi.
In sintesi, basta dosare sapientemente quanto fatto sinora in modo troppo spesso asincrono.
FONTE: Agenda Digitale (www.agendadigitale.eu)
AUTORE: Cristoforo Morandini, Between