Nelle attività quotidiane all’interno delle carceri o nei servizi esterni, gli operatori della Polizia Penitenziaria si rendono protagonisti di numerose azioni che salvano la vita dei detenuti da tentativi di suicidio e da atti di auto ed etero aggressività; prevengono situazioni che attentano alla sicurezza degli istituti mettendo a rischio anche la propria incolumità personale. La professionalità del nostro personale si manifesta anche in molte occasioni extra lavorative, quando, fuori dall’orario di servizio, gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria intervengono in situazioni critiche nelle quali sono coinvolti liberi cittadini. Episodi, questi, che raramente trovano eco sulla stampa e attenzione da parte degli organi di informazione che pure danno, giustamente, spazio alle problematiche penitenziarie. La Commissione ricompense, l’organo preposto alla valutazione dei casi segnalati dalle direzioni, composta da parte pubblica e rappresentanti sindacali, nella riunione tenutasi il 18 febbraio 2014, ha deliberato la concessione delle seguenti ricompense al personale di Polizia Penitenziaria: 88 Lodi per attività in servizio 9 Lodi per attività liberi dal servizio 2 Encomi per attività in servizio 4 Encomi per attività liberi dal servizio Prevenzione dei suicidi in carcere: gli interventi del DAP La prevenzione dei suicidi è sempre stato uno degli obiettivi principali che l’Amministrazione Penitenziaria si è dato nell’ambito della sua azione di intervento. Senza voler andare troppo lontano nel tempo, si deve al direttore generale Nicolò Amato l’istituzione, nel 1987, del “Servizio nuovi giunti” affidato alla professionalità di esperti in psicologia che avrebbero dovuto vagliare il rischio di auto ed etero aggressività nella fase di primo ingresso; successivamente, nel 2000, fu istituita l’U.M.E.S. (Unità di monitoraggio degli eventi di suicidio) ricostituita nel 2012, mentre è del 2007 l’emanazione delle linee guida per potenziare il “Servizio di Accoglienza” affidando ad equipe multi professionali presenti in ogni istituto il compito di seguire le persone individuate a rischio di autoaggressione. Con il passaggio della Sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale, la Conferenza Stato Regioni ha emanato specifiche linee direttive che, pur affidando il ruolo di capofila alle asl, confermano la necessità di un approccio multidisciplinare al problema. Tale approccio, tuttavia, sarebbe insufficiente se non tenesse conto delle condizioni detentive e della loro ricaduta sulle condizioni personali del detenuto. Si è consapevoli che il suicidio e l’autolesionismo sono comportamenti che possono manifestarsi sulla spinta di cause scatenanti tra le più eterogenee, comprese situazioni di reattività improvvise e imprevedibili, tant’è che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha avvertito che l’ambiente carcerario per le sue peculiarità è di per sé luogo predisponente e a rischio. Proprio per questo l’Amministrazione ha iniziato a operare da qualche anno, prima ancora che la condanna di Strasburgo la ponesse come obbligo, una revisione del regime penitenziario, disponendo che negli istituti la permanenza in cella debba essere limitata alle sole ore di riposo e di pernotto, ampliando gli spazi di socialità e riempiendo il tempo della detenzione in attività trattamentali (formazione, scuola lavoro, attività sportive, ecc.) L’Amministrazione rafforza l’impegno nelle strategie di prevenzione e sul lavoro integrato di tutte le professionalità operanti nelle carceri, ma è d’obbligo evidenziare, oltre che la partecipazione alle equipe, l’opera materiale della Polizia Penitenziaria nelle sezioni detentive, gli interventi a protezione della incolumità fisica dei detenuti, i soccorsi che vengono prestati per intercettare i tentativi di suicidio: centinai di detenuti debbono ogni anno salva la vita grazie all’azione dei Poliziotti Penitenziari. Un numero molto alto, documentato dalle tantissime situazioni che si ripetono quotidianamente nei 205 istituti penitenziari, ma che potrebbe essere ancora più consistente se si considerano quelle situazioni in cui il tentativo non viene posto in essere grazie alla presenza, alle parole dell’agente di sezione che fugano la tentazione di porre fine alla propria vita. E vorremmo che questo fosse chiaro, perché spesso l’opinione pubblica non è informata adeguatamente sul difficile lavoro della Polizia Penitenziaria, sulla difficoltà di coniugare sicurezza e rieducazione, di comprendere il dolore e la frustrazione umana e professionale che si prova di fronte al verificarsi di un suicidio di una persona ristretta in carcere. Noi ci siamo incamminati verso una strada di trasparenza, non nascondendo le criticità del carcere, ma rileviamo che in genere si preferisce evidenziare le negatività del carcere, e ce ne sono molte, trascurando le situazioni degne di menzione e di encomio. Crediamo che un riconoscimento da parte della società esterna sia loro dovuta.

FONTE: Agenzia Parlamentare (www.agenparl.it)

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