Sembrerebbe un titolo piuttosto provocatorio, eppure il nuovo Presidente degli USA Donald Trump non ha nascosto le sue intenzioni “bellicose” sulla Groenlandia e su Panama.


Nel corso della sua prima conferenza stampa dell’anno, Donald Trump ha infatti esposto una serie di provocazioni che potrebbero ridefinire le relazioni internazionali, mentre il suo insediamento alla Casa Bianca è ormai imminente, previsto per lunedì 20 gennaio 2025.

Donald Trump vuole davvero invadere Groenlandia e Panama?

Con il tono deciso che lo ha sempre contraddistinto, il presidente non ancora ufficialmente in carica ha lanciato minacce a Panama e alla Groenlandia, dichiarando che non esclude l’utilizzo della forza militare nei loro confronti. Il suo intervento ha toccato vari temi, tra cui la revisione delle politiche economiche verso la Danimarca, l’intenzione di rinominare il Golfo del Messico e l’ipotesi di aumentare gli stanziamenti per la difesa dei Paesi alleati della NATO.

Trump ha rinnovato la sua attenzione per il Canale di Panama, un simbolo del potere commerciale e strategico, ribadendo la necessità di riprenderne il controllo per motivi di sicurezza economica e nazionale. “Il Canale è stato costruito per le nostre forze armate“, ha sottolineato, aggiungendo che, in caso di necessità, non esiterà ad adottare misure drastiche, tra cui l’applicazione di tariffe punitive.

Nel frattempo, il magnate ha anche reso noto di voler rivedere la politica commerciale con il Canada, ipotizzando la possibilità di imporre dazi aggiuntivi. Il piano, secondo quanto dichiarato, potrebbe includere un ampio intervento sulle relazioni economiche, spingendo il governo canadese a rivedere le proprie politiche per evitare sanzioni.

Una delle affermazioni più sorprendenti è giunta in merito al Golfo del Messico. Trump ha dichiarato di voler cambiarne il nome, proponendo di ribattezzarlo “Golfo d’America“, sostenendo che il nuovo nome sarebbe “più adeguato” e che avrebbe un suono migliore. La mossa sembra parte di una più ampia strategia di simbolismo che potrebbe contribuire a rafforzare la sua visione nazionalista.

Infine, il presidente ha lanciato un avvertimento ai membri della NATO, suggerendo che la sua amministrazione potrebbe chiedere un notevole aumento dei contributi alla difesa, arrivando fino al 5% del PIL di ciascun Paese alleato. Una proposta che potrebbe alterare gli equilibri all’interno dell’Alleanza, spingendo i membri a rivedere le proprie politiche di spesa.

Il video della Conferenza Stampa di Trump

Il confronto con l’approccio “muscoloso” di Donald Reagan

Il confronto tra Donald Trump e Ronald Reagan in relazione a minacce o azioni di politica estera può essere interessante, soprattutto se si considera il contesto delle dichiarazioni provocatorie e delle politiche aggressive. Un esempio rilevante di un precedente simile nella storia recente è rappresentato dalla guerra delle Falkland (Malvine), che coinvolse la Gran Bretagna e l’Argentina nel 1982, durante la presidenza di Ronald Reagan.

La guerra delle Falkland/Malvine

Nel 1982, le isole Falkland, un territorio d’oltremare britannico nel sud Atlantico, furono invase dall’Argentina. La crisi che ne derivò rappresentò una delle situazioni internazionali più delicate durante il mandato di Reagan. La risposta degli Stati Uniti fu fondamentale, poiché, sebbene gli Stati Uniti fossero tradizionalmente alleati del Regno Unito, si trovarono in una posizione difficile, considerando i legami con l’Argentina, che faceva parte del blocco anticomunista in America Latina.

Il ruolo di Reagan e degli Stati Uniti

Sebbene Reagan inizialmente cercasse di mantenere una posizione neutrale, in quanto gli Stati Uniti avevano relazioni sia con l’Argentina che con il Regno Unito, alla fine il governo statunitense decise di sostenere attivamente la Gran Bretagna. Questo sostegno si manifestò principalmente attraverso l’invio di aiuti militari e la fornitura di intelligence alla Royal Navy britannica, cruciali per il successo delle operazioni britanniche.

Reagan, pur non minacciando direttamente l’uso della forza, fece un passo diplomatico significativo, facendo capire al governo argentino che l’invasione delle Falkland non sarebbe stata tollerata. Questa posizione forte, pur non culminando in un conflitto diretto tra Stati Uniti e Argentina, mostrò l’intenzione di Reagan di intervenire se necessario per proteggere gli alleati e gli interessi strategici americani, sebbene attraverso canali indiretti.

Paralleli con Trump

Le dichiarazioni di Trump, come quelle fatte alla conferenza stampa che abbiamo analizzato, presentano un approccio simile di uso della retorica aggressiva e minacce, anche se non necessariamente seguite da azioni dirette. Così come Reagan si trovò a dover bilanciare le relazioni con diverse nazioni (Gran Bretagna e Argentina), Trump ha spesso posto in essere dichiarazioni dure per spingere le sue politiche, ma con un approccio che tende a restare sul piano della minaccia piuttosto che dell’azione diretta.

Nel caso delle Falkland, Reagan usò una combinazione di diplomazia assertiva e supporto pratico, simile al modo in cui Trump ha cercato di influenzare i negoziati internazionali tramite minacce economiche (come i dazi) senza mai arrivare all’escalation militare. Tuttavia, mentre Reagan ha avuto un ruolo decisivo in un conflitto che ha visto l’intervento militare diretto della Gran Bretagna, le azioni di Trump restano prevalentemente nelle sfere della retorica e della diplomazia economica.

Minacce reali o provocazioni fini a se stesse?

Le minacce di Trump, come quelle espresse durante la sua conferenza stampa, vanno interpretate alla luce del suo stile politico e della sua retorica. Nel corso dei suoi anni di carriera, Trump ha spesso utilizzato dichiarazioni forti e provocatorie come strumento per attrarre l’attenzione, consolidare il suo supporto tra i suoi elettori e negoziare da una posizione di forza.

Il suo approccio alle relazioni internazionali è stato, fin dall’inizio, segnato da un pragmatismo aggressivo, che ha portato a minacce e promesse di rivedere accordi internazionali e di adottare misure drastiche come dazi, tariffe e azioni militari. Tuttavia, molte di queste dichiarazioni spesso sono rimaste sul piano della retorica e non si sono tradotte in azioni concrete, almeno non nelle modalità annunciate in conferenza stampa.

In definitiva, mentre Trump ha dimostrato di essere disposto ad utilizzare misure drastiche, come i dazi commerciali o minacce a livello di politica estera, è difficile pensare che le sue dichiarazioni più estreme siano effettivamente destinate a tradursi in azioni reali e dirette. Più probabilmente, si tratta di provocazioni funzionali a rafforzare il suo messaggio di leadership autoritaria, spesso più orientate alla mobilitazione interna che a un cambiamento concreto delle dinamiche internazionali. Anche se i dazi commerciali sono sicuramente un’arma più concreta delle altre.

Tuttavia occorre attendere l’esito dei prossimi eventi, per capire se l’aggressività di Trump rimarrà solo sulla carta o se si propagherà effettivamente come ha annunciato.