Un’esplosione devastante ha sconvolto la tranquillità di Calenzano, un comune del bacino industriale fiorentino, causando un’ennesima tragedia: al momento 4 morti, 26 feriti e riflettori accesi su misure di sicurezza probabilmente insufficienti.


La deflagrazione, avvenuta in un deposito Eni, ha provocato cinque morti accertati e 26 feriti. La colonna di fumo generata dall’incidente era visibile a chilometri di distanza, estendendo la percezione del disastro anche nei comuni limitrofi. L’autostrada A1 è stata chiusa per ore, così come alcune tratte ferroviarie, mentre la Protezione Civile ha diramato un’allerta nel raggio di cinque chilometri, chiedendo agli abitanti di non aprire le finestre e distribuendo mascherine per proteggersi dagli idrocarburi dispersi nell’aria.

La dinamica dell’incidente e le vittime

Secondo le prime ricostruzioni, l’esplosione sarebbe stata innescata da una perdita di liquido infiammabile o dalla fuoriuscita di vapori nella zona delle pensiline di carico, dove erano presenti diversi camionisti intenti a fare rifornimento con le loro autobotti. Lo scoppio ha coinvolto l’intera struttura, facendo crollare parte dell’edificio direzionale adiacente e incendiando gli autocarri parcheggiati. Le vittime sono tutte autotrasportatori.

Il video del momento dell’esplosione della tragedia di Calenzano

In questo video qui di seguito (fonte: SkyTg24) il momento dell’esplosione nel deposito ENI.

Reazioni e polemiche politiche: un dibattito acceso sulla sicurezza sul lavoro

L’esplosione nel deposito Eni di Calenzano ha acceso un acceso dibattito politico, rivelando fratture profonde sulla gestione della sicurezza sul lavoro e sulle politiche di prevenzione dei rischi industriali.

Il Ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, ha espresso cordoglio per le vittime, lodando il rapido intervento dei Vigili del Fuoco, ma il suo messaggio non è bastato a placare le critiche. Esponenti dell’opposizione, in particolare del Partito Democratico (PD) e del Movimento 5 Stelle (M5S), hanno accusato il governo di inerzia e di una gestione inadeguata del tema della sicurezza sul lavoro.

Andrea Quartini, deputato del M5S, ha chiesto con forza che la Ministra del Lavoro, Marina Calderone, e il Ministro dell’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, si presentino in Parlamento per riferire sulle dinamiche dell’incidente e sulle misure che il governo intende adottare per evitare tragedie analoghe. Quartini ha definito questa ennesima tragedia come “una ferita aperta nel mondo del lavoro, che mette in evidenza le lacune strutturali nella prevenzione degli incidenti in ambito industriale.”

Dal PD, Marco Furfaro ha parlato di “strage annunciata”, sottolineando come i protocolli di sicurezza spesso non siano rispettati o vengano applicati con superficialità. “Non possiamo più tollerare che luoghi di lavoro diventino teatri di morte. È necessario accertare le responsabilità, ma soprattutto occorre un impegno strutturale e immediato per garantire la sicurezza dei lavoratori,” ha dichiarato Furfaro, chiedendo un’inchiesta approfondita non solo sull’incidente, ma anche sull’efficacia dei controlli nei depositi industriali di tutto il Paese.

La reazione dei sindacati

Le polemiche hanno travalicato i confini dell’Aula parlamentare, con organizzazioni sindacali e associazioni per la sicurezza sul lavoro che hanno puntato il dito contro le recenti scelte politiche.

La CGIL e la CISL hanno denunciato come i tagli agli ispettorati del lavoro e il mancato rafforzamento delle strutture di controllo abbiano ridotto la capacità dello Stato di prevenire situazioni di rischio. Anche l’ANMIL (Associazione Nazionale Mutilati e Invalidi sul Lavoro) ha definito l’incidente di Calenzano un tragico monito sulla necessità di un cambio di passo radicale.

Un sistema normativo da ripensare

L’incidente di Calenzano riaccende i riflettori sull’adeguatezza delle normative in materia di sicurezza nei depositi industriali. Attualmente, il Decreto Legislativo 81/2008, noto come Testo Unico sulla Salute e Sicurezza sul Lavoro, rappresenta la base legislativa per la prevenzione degli incidenti sul lavoro. Tuttavia, episodi come questo evidenziano carenze strutturali nella sua applicazione.

In particolare, i depositi di materiali infiammabili rientrano nelle norme del cosiddetto Seveso III Directive (Direttiva 2012/18/UE), recepita in Italia dal Decreto Legislativo 105/2015. Questa normativa impone valutazioni approfondite dei rischi, piani di emergenza aggiornati e frequenti ispezioni. Tuttavia, la tragica realtà dimostra che la teoria spesso non si traduce in pratica.

Le falle principali:

  1. Carente manutenzione: molte strutture non effettuano controlli periodici sugli impianti, favorendo incidenti causati da perdite o guasti tecnici.
  2. Formazione inadeguata: i lavoratori e gli operatori esterni spesso non ricevono istruzioni dettagliate per la gestione di situazioni critiche.
  3. Sovrapposizione di competenze: la frammentazione tra enti locali e centrali complica la gestione delle autorizzazioni e delle verifiche.

Cosa manca per prevenire tragedie simili

Nonostante le normative esistenti, il sistema di prevenzione presenta gravi lacune. Una delle criticità più evidenti è l’assenza di controlli capillari e frequenti, che potrebbero intercettare segnali di rischio prima che si trasformino in catastrofi. Anche il coordinamento tra le autorità preposte lascia a desiderare, spesso rallentato da lungaggini burocratiche.

Inoltre, occorre potenziare la formazione dei lavoratori e degli operatori esterni, prevedendo simulazioni periodiche di emergenza e aggiornamenti obbligatori sulle procedure di sicurezza. È fondamentale, infine, garantire investimenti adeguati per la manutenzione e l’ammodernamento delle strutture industriali, privilegiando soluzioni tecnologiche in grado di rilevare perdite in tempo reale.

Una battaglia politica, ma anche culturale

Il caso di Calenzano non è un episodio isolato, ma si inserisce in una lunga scia di incidenti industriali che sollevano interrogativi sull’efficacia del sistema di prevenzione in Italia. Il dibattito politico che ne è scaturito evidenzia una tensione più ampia tra chi richiede misure immediate e incisive e chi sostiene la necessità di una revisione strutturale più graduale ma sostenibile.

Questa tragedia potrebbe rappresentare un punto di svolta, costringendo le forze politiche a confrontarsi non solo sulle responsabilità contingenti, ma anche sulla direzione futura delle politiche di sicurezza e prevenzione. Tuttavia, affinché ciò avvenga, è necessario che il dibattito vada oltre le accuse reciproche, puntando a un’azione condivisa e concreta per tutelare la vita e la dignità dei lavoratori.

Infine in tutto questo si impone una seria riflessione su come il nostro Paese affronta la sicurezza sul lavoro e la tutela ambientale. Gli strumenti normativi, per quanto dettagliati, non bastano se mancano i mezzi e la volontà politica per farli rispettare. Ogni incidente come quello di Calenzano rappresenta non solo una sconfitta legislativa, ma anche un fallimento collettivo nella protezione della vita umana e del territorio.

Non possiamo limitarci a piangere le vittime e a promettere indagini: è necessario un cambio di rotta deciso e coraggioso, che metta la prevenzione e la sicurezza al centro delle politiche industriali. Solo così sarà possibile evitare che tragedie del genere continuino a ripetersi, con un costo umano e sociale inaccettabile.