Una pronuncia recente della Corte di Cassazione mette nero su bianco un principio piuttosto chiaro: il ritardo del vigilante sul posto di lavoro giustifica il licenziamento per giusta causa.
La vicenda in esame attiene al licenziamento di un vigilante presso una banca che, essendo giunto sul posto di lavoro con un ritardo di circa 40 minuti rispetto all’orario di inizio del proprio turno, ha lasciato sprovvisto di sorveglianza l’istituto di credito. Questo ritardo, considerato potenzialmente pericoloso per la sicurezza del luogo di lavoro, ha spinto il datore di lavoro a sanzionare il dipendente con il licenziamento.
Quest’ultimo, quindi, contestava il provvedimento in Tribunale, sostenendo che la sua assenza, sebbene costituisse una negligenza, non giustificava la misura estrema del licenziamento, specialmente alla luce del fatto che il ritardo non aveva comportato danni concreti.
L’iter giuridico della controversia
In primo grado, il Tribunale di Lanciano si pronunciava a favore del lavoratore, ritenendo che il licenziamento fosse eccessivo rispetto all’effettiva gravità dell’infrazione. Tale decisione si basava su una valutazione di proporzionalità, ritenendo che la violazione commessa dal vigilante, seppur sanzionabile, non avrebbe compromesso in modo così grave il rapporto fiduciario con il datore di lavoro, al punto da giustificare un licenziamento in tronco.
La Corte d’Appello ribaltava la sentenza di primo grado, ritenendo che il ritardo non costituisse una semplice violazione lieve, bensì un grave inadempimento contrattuale. Essendo un vigilante responsabile della sicurezza di una banca, la sua assenza, seppur limitata nel tempo, ha esposto la banca a rischi significativi sul piano della sicurezza di beni e persone. La Corte ha considerato il comportamento del dipendente come un inadempimento incompatibile con la diligenza richiesta in simili ruoli, dove la puntualità e l’affidabilità sono requisiti essenziali. I giudici di secondo grado hanno quindi ritenuto legittimo il licenziamento, in quanto la condotta del vigilante ha irrimediabilmente compromesso l’affidamento del datore di lavoro nel dipendente e il rapporto di fiducia intercorrente tra i due.
La sentenza della Corte d’Appello si basa sui principi di diligenza e buona fede, stabiliti rispettivamente dagli artt. 1175 e 1375 c.c., secondo cui il dipendente è tenuto a porre in essere tutte le attività necessarie per rispettare i propri obblighi contrattuali. Nel caso specifico, il vigilante ammetteva di essere stato informato del cambio di orario tramite un messaggio del datore di lavoro, di non aver letto attentamente il messaggio, di aver avuto contezza del turno solo a seguito della chiamata della centrale operativa, causando quindi il ritardo. Secondo la Corte, tale negligenza ha costituito una violazione rilevante dei doveri contrattuali, essendo derivata da un comportamento imprudente e contrario ai doveri di correttezza.
Cassazione: il ritardo del vigilante giustifica il licenziamento
Contro tale decisione, il lavoratore proponeva ricorso in Cassazione.
La Cassazione, con l’ordinanza n. 26770 del 2024, ha confermato la decisione della Corte d’Appello, affermando che il licenziamento per giusta causa è legittimo anche quando non esplicitamente previsto nel Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL), purché l’inadempimento sia considerato grave. La Cassazione ha stabilito che il giudice di merito è libero di valutare la proporzionalità tra la condotta del lavoratore e la sanzione applicata, anche se la fattispecie non è dettagliatamente tipizzata all’interno del CCNL. La Corte ha quindi sottolineato che, essendo il ruolo del vigilante piuttosto sensibile nel contesto dell’istituto bancario, l’assenza di sorveglianza può costituire una negligenza grave e perciò idonea a giustificare il licenziamento.
Il concetto di “danno potenziale”
Un punto importante nella decisione della Cassazione è rappresentato dall’attenzione posta sul concetto di “danno potenziale”, secondo cui, nonostante non si sia verificato alcun danno materiale, il semplice ritardo del vigilante ha esposto l’istituto bancario a significativi rischi di sicurezza. La Cassazione ha chiarito che il potenziale danno alla sicurezza, derivante dalla mancanza di vigilanza, è sufficiente a giustificare il licenziamento, in quanto la negligenza del dipendente è risultata incompatibile con l’affidabilità richiesta dal suo ruolo. Questa interpretazione estende la responsabilità del lavoratore ben oltre gli effetti concreti della sua condotta, considerando l’impatto potenziale sul luogo di lavoro e sulla sicurezza complessiva dell’azienda.
Precedenti disciplinari tenuti in considerazione
La Cassazione ha inoltre preso in esame i precedenti disciplinari del lavoratore, sottolineando come questi abbiano ulteriormente inciso sul giudizio finale. La Corte ha ritenuto che il vigilante, avendo già ricevuto ammonizioni per vari comportamenti passati, avesse reiterato una condotta contraria ai doveri di diligenza e affidabilità richiesti. Questo elemento ha inevitabilmente influito sulla decisione di considerare il licenziamento proporzionato alla gravità complessiva della condotta del lavoratore. In ruoli ad alta responsabilità, come quelli della vigilanza, il rapporto fiduciario tra lavoratore e datore di lavoro risulta essenziale e la perdita di tale fiducia, specialmente alla luce di precedenti violazioni, può giustificare una sanzione espulsiva.
L’impatto della sentenza per i lavoratori del comparto della vigilanza
La sentenza della Cassazione ribadisce un principio di particolare rilevanza per i lavoratori in settori critici e ad alta responsabilità, come la vigilanza privata, confermando che la puntualità e la tempestività sono elementi essenziali per la salvaguardia della sicurezza e la gestione del rischio. Anche in assenza di un danno effettivo, un ritardo può essere valutato come una mancanza grave quando il ruolo ricoperto comporta specifiche responsabilità in termini di sicurezza. La pronuncia della Cassazione stabilisce quindi un precedente importante per l’applicazione della giusta causa di licenziamento, sancendo che l’inadempimento, pur non previsto esplicitamente dal CCNL, possa giustificare il recesso del datore di lavoro nei casi in cui il comportamento del dipendente minacci la sicurezza o il regolare svolgimento delle attività aziendali.