Si tratta di una vicenda che sta particolarmente rimbalzando nelle ultime settimane: la questione del bullismo a scuola è riaperta ancora una volta, dopo il clamoroso caso di ragazzi che hanno fatto ironia e schiamazzi durante la proiezione del film dedicato al “ragazzo con i pantaloni rosa” suicidatosi a soli 15 anni nel 2012.


All’anteprima del film Il ragazzo dai pantaloni rosa, l’ambizioso progetto della regista Margherita Ferri per sensibilizzare i giovani sugli effetti del bullismo e del cyberbullismo, si è verificato un episodio sconvolgente.

Il film, ispirato alla tragica storia di Andrea Spezzacatena, un quindicenne che nel 2012 si tolse la vita a causa delle vessazioni subite dai compagni di scuola, narra il dramma di un adolescente preso di mira per aver indossato dei pantaloni rosa, scoloriti per errore. In seguito a questo episodio, Andrea divenne vittima di un brutale bullismo che lo portò al suicidio. Il ragazzo dai pantaloni rosa mira a raccontare la sua vicenda, con la speranza di prevenire episodi di bullismo omofobico e di promuovere l’empatia tra i giovani.

Qui di seguito il trailer ufficiale del film.

Tuttavia non tutto è andato in tal senso durante una proiezione destinata alle scuole nei giorni scorsi, anzi.

Il caso del film sul “ragazzo con i pantaloni rosa” e la questione del bullismo a scuola

La proiezione, che si è svolta a Roma durante la 19a edizione della Festa del Cinema, ha riunito un gruppo di scuole della capitale. Tuttavia, al buio della sala, ciò che doveva essere un momento di riflessione si è trasformato in un’occasione per alcuni studenti di lanciare insulti omofobi e frasi violente, generando sconcerto tra gli spettatori.

In sala, l’episodio di intolleranza ha suscitato la reazione di alcuni professori, i quali, tentando di riportare l’ordine, sono stati ignorati o derisi dagli stessi ragazzi. L’increscioso episodio ha sollevato forti critiche, e la voce più accorata è stata quella di Teresa Manes, madre di Andrea Spezzacatena.

In un messaggio amaro la Manes ha ribadito l’importanza di promuovere una cultura dell’empatia nelle scuole, puntando il dito contro l’omofobia ancora radicata nella società italiana: «La parola non è un concetto vuoto. La parola è viva e può uccidere», ha scritto. L’accorato appello di Teresa Manes richiama l’urgenza di cambiare il modo in cui la società affronta certi temi, insegnando ai giovani la forza e il valore delle parole.

Qui di seguito il post uscito sulla sua pagina Facebook, che la donna utilizza come strumento di denuncia nei confronti del bullismo dalla morte del figlio.

E a Treviso alcune scuole hanno rifiutato la proiezione del film

Nel frattempo, anche a Treviso si sono sviluppate polemiche legate alla visione del film. In alcuni istituti scolastici, i genitori hanno espresso preoccupazioni riguardo all’adeguatezza del film per studenti di età compresa tra gli 11 e i 12 anni, temendo che le tematiche di omofobia e suicidio potessero turbare i ragazzi. In risposta a tali preoccupazioni, la scuola media “Augusto Serena” ha ritirato la propria partecipazione alla proiezione. Questa decisione, condivisa con il collegio docenti, ha portato all’annullamento di altre proiezioni previste nei cinema della zona.

La multisala di Silea, parte del circuito The Space, ha dovuto così rinunciare alla proiezione a causa della mancanza di adesioni da parte degli istituti scolastici locali. L’anteprima per le scuole in programma al Cinema Edera era inoltre già stata annullata su richiesta di alcuni genitori della scuola media “Serena”.

Micol Papi, rappresentante della Rete degli Studenti Medi del Veneto, ha criticato duramente l’approccio di alcune scuole, sottolineando come evitare questi argomenti privi i ragazzi di un’educazione completa e mirata alla comprensione di tematiche fondamentali come l’accettazione e il rispetto. “Sembra che manchi una volontà nel sistema scolastico di affrontare questioni legate alla sfera affettiva e sessuale,” ha dichiarato la Papi, sottolineando il rischio di perpetuare un clima di disinteresse e mancanza di supporto educativo.

Sul bullismo a scuola abbiamo ancora tanto da imparare

Nonostante gli sforzi per sensibilizzare e prevenire fenomeni di bullismo, la realtà dei fatti dimostra che c’è ancora molto da fare. L’episodio di Roma rivela un’amara verità: anche quando i ragazzi risultano esposti direttamente alle testimonianze del dolore e alle conseguenze devastanti del bullismo, il messaggio spesso non riesce a oltrepassare la barriera dell’indifferenza o del pregiudizio. Se gli insulti e l’intolleranza esplodono proprio nel momento in cui si cerca di educare, allora emerge con forza l’urgenza di trovare nuovi strumenti per comunicare e nuovi approcci per insegnare l’empatia.

La reazione di alcune scuole di Treviso, che hanno evitato il confronto con i temi difficili, sottolinea una mancanza di coraggio educativo, una tendenza a voler proteggere i giovani dal dolore invece di prepararli ad affrontarlo. Eppure, è proprio a scuola che i ragazzi dovrebbero imparare che la diversità è una ricchezza e che le parole, anche quelle pronunciate per scherzo, possono lasciare ferite profonde. Finché istituzioni e famiglie non saranno pronte a sostenere un’educazione più aperta e incisiva, continueremo a girare intorno al problema senza mai affondare davvero la lama della comprensione.

Se vogliamo che la memoria di giovani come Andrea non sia calpestata, dobbiamo riflettere seriamente su quanto siamo disposti a fare per cambiare. E soprattutto, dobbiamo ammettere che, sul bullismo, a scuola abbiamo ancora tanto, troppo da imparare.