Il nuovo ciclo di trattative per il rinnovo dei contratti degli statali 2024 sta sollevando un’ondata di preoccupazione tra i lavoratori, con l’Unione Sindacale di Base (USB) che denuncia aumenti insignificanti e una perdita del potere d’acquisto pesante con l’inflazione che continua a galoppare.
Il sindacato è in prima linea nella denuncia delle attuali proposte del governo. Nonostante si parli di aumenti, i dati presentati dall’USB mostrano una realtà ben diversa: risorse insufficienti per affrontare l’inflazione che sta erodendo i salari dei dipendenti pubblici.
Scopriamo dunque quali sono le rilevazioni presentate dall’organizzazione sindacale e quali saranno le conseguenze negative previste per i dipendenti pubblici.
Rinnovo contratto statali 2024: per l’USB aumenti insignificanti
Il sindacato critica duramente l’esecutivo, accusandolo di proporre solo briciole rispetto all’inflazione galoppante. Nelle trattative attualmente in corso, secondo alcune indiscrezioni, l’esecutivo avrebbe in programma di aggiungere appena 250 milioni di euro ai fondi già stanziati per il rinnovo dei contratti nel pubblico impiego. Questa cifra porterebbe l’aumento complessivo delle retribuzioni a poco più di un risicato 5%, una percentuale che sembra impalpabile di fronte al 15% di inflazione accumulata nell’ultimo periodo.
Per i sindacati, questa offerta si traduce in un impoverimento sostanziale. Mentre l’inflazione continua a far lievitare il costo della vita, gli stipendi proposti rimangono ben al di sotto del necessario per coprire anche le esigenze di base.
Ma il dato più preoccupante, sottolinea l’USB, è che gran parte di questo aumento non verrà percepito direttamente in busta paga. Infatti, una quota significativa sarebbe destinata al cosiddetto “salario accessorio”, una voce non erogata uniformemente a tutti i lavoratori e legata a condizioni specifiche, come premi per obiettivi o produttività. In altre parole, non tutti i dipendenti vedranno effettivamente questi soldi.
Questo schema, secondo l’USB, non fa altro che penalizzare una fetta significativa di lavoratori pubblici, accentuando le diseguaglianze interne al settore. Inoltre, sposta la discussione da un reale adeguamento salariale, che risponderebbe alle esigenze quotidiane di tutti i dipendenti, a una dinamica in cui solo alcuni potranno godere dei benefici previsti.
La firma del rinnovo perennemente in ritardo
Uno dei punti centrali nella critica dell’USB riguarda la gestione del rinnovo dei contratti nel pubblico impiego, che spesso avviene con notevoli ritardi rispetto alle scadenze previste. Il sindacato ritiene inaccettabile che i contratti collettivi, che dovrebbero essere aggiornati regolarmente, vengano firmati solo dopo che sono già scaduti, compromettendo la tutela economica e contrattuale dei lavoratori. Questo ritardo cronico non solo crea incertezze, ma priva i dipendenti pubblici degli adeguamenti salariali necessari per fronteggiare l’aumento del costo della vita, che è sempre più elevato a causa dell’inflazione.
L’USB ha già sollevato questo problema in diverse occasioni, l’ultima delle quali durante lo sciopero del 17 novembre scorso. In quella giornata di mobilitazione, il sindacato ha messo in luce l’urgenza di rinnovare i contratti in modo tempestivo, prima della loro scadenza naturale, e non dopo, come è diventato ormai una prassi. La critica si basa sul fatto che i ritardi sistematici nell’aggiornamento dei contratti fanno sì che i dipendenti pubblici vedano riconosciuti eventuali aumenti o miglioramenti contrattuali solo dopo anni di attesa.
La ridefinizione dello smart working
Un nodo particolarmente critico delle trattative riguarda lo smart working e la sua possibile ridefinizione normativa. L’USB esprime forti preoccupazioni sul fatto che le modifiche proposte potrebbero essere strumentali a obiettivi più ampi del governo, in particolare per quanto riguarda l’età pensionabile. Secondo il sindacato, l’esecutivo starebbe valutando di superare il criterio attuale, che prevede la prevalenza del lavoro in presenza, per rendere più flessibile il ricorso al lavoro da remoto. Tuttavia, questa maggiore flessibilità verrebbe legata a un altro provvedimento fortemente contestato: l’aumento dell’età pensionabile fino a 70 anni.
L’USB teme che questo collegamento tra smart working ed età pensionabile rappresenti un tentativo di prolungare forzatamente la carriera lavorativa dei dipendenti pubblici, sotto la promessa di agevolazioni legate al lavoro da casa. In pratica, lavorare fino a 70 anni potrebbe diventare una condizione accettabile solo grazie all’utilizzo del lavoro agile, trasformando una misura che doveva essere una conquista di flessibilità in una trappola per mantenere i lavoratori attivi più a lungo, senza il giusto riconoscimento economico.
Riduzione dei costi a scapito della tutela del dipendente
Questo approccio viene visto come un modo per ridurre ulteriormente i costi della pubblica amministrazione, sfruttando lo smart working per abbattere le spese legate alla presenza fisica dei dipendenti, come quelle logistiche o immobiliari, senza però compensare adeguatamente i lavoratori. Per l’USB, il governo non starebbe puntando a migliorare le condizioni lavorative, bensì a ridurre gli oneri economici a discapito della qualità del lavoro e dei diritti acquisiti.
Il rischio di una “spremitura” dei dipendenti pubblici appare evidente, soprattutto in un contesto in cui le misure che avrebbero dovuto portare beneficio ai lavoratori vengono utilizzate per farli rimanere in servizio per un periodo più lungo. Questa strategia, secondo il sindacato, minerebbe anche il benessere dei lavoratori più anziani, che, sebbene possano contare sulla comodità del lavoro da remoto, potrebbero essere costretti a sostenere un ritmo lavorativo incompatibile con l’età avanzata.
Precarietà generalizzata
Il tema della precarietà all’interno della pubblica amministrazione rappresenta una delle questioni più complesse e delicate che emergono nell’attuale contesto delle trattative contrattuali. Secondo le stime fornite dall’USB, il settore pubblico conta oltre 412 mila lavoratori precari, con una situazione particolarmente critica nel comparto scolastico, dove si registrano ben 304 mila contratti a tempo determinato. Questa cifra rappresenta la stragrande maggioranza del problema, ma non esaurisce la questione: anche settori chiave come le Funzioni Centrali, con circa 12 mila precari, e le Funzioni Locali, che ne contano almeno 36 mila, sono affetti da questa instabilità contrattuale.
Il fenomeno del precariato nel pubblico impiego ha radici profonde, legate a decenni di politiche di riduzione della spesa pubblica che hanno limitato le assunzioni a tempo indeterminato. Di fronte alla necessità di mantenere i servizi pubblici in funzione, le amministrazioni hanno progressivamente fatto ricorso a contratti a termine, creando una situazione in cui migliaia di lavoratori si trovano in uno stato di costante incertezza sul proprio futuro professionale.
Il PNRR e il Piano Coesione non stanno aiutando
Il sindacato denuncia che questi numeri ufficiali potrebbero essere in realtà sottostimati. Il conteggio attuale non tiene pienamente conto delle assunzioni temporanee legate a progetti specifici, come quelli finanziati dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e dal Piano Coesione.
Le Funzioni Centrali e Locali sono particolarmente affetti da questo problema. Nelle amministrazioni centrali, il precariato riguarda molti settori chiave della macchina burocratica statale, come le agenzie e gli uffici che gestiscono servizi fondamentali per i cittadini. Anche nelle amministrazioni locali, il personale a tempo determinato è spesso impiegato in ruoli strategici, dalla gestione dei servizi sociali alle attività di pianificazione territoriale, con conseguenze che si riflettono direttamente sui cittadini.
Questi piani, concepiti per sostenere la ripresa economica e rafforzare la coesione territoriale, prevedono infatti l’impiego di un numero significativo di lavoratori con contratti a termine, aumentando ulteriormente la precarietà nel settore pubblico. Di fatto, tali assunzioni, pur contribuendo temporaneamente a soddisfare la domanda di forza lavoro, non offrono alcuna garanzia di stabilità occupazionale una volta che i finanziamenti straordinari termineranno.
Le conclusioni del sindacato
In conclusione l’USB sottolinea che il rinnovo del contratto degli statali, gli aumenti stipendiali e la stabilizzazione dei lavoratori precari dovrebbe essere una priorità per questa fine del 2024 e per i prossimi anni. Lo dovrebbe essere quantomeno per qualsiasi governo che voglia realmente investire in un servizio pubblico efficiente e di qualità. Il sindacato ribadisce che la stabilità contrattuale è un elemento imprescindibile non solo per tutelare i diritti dei lavoratori, ma anche per garantire la continuità e l’efficacia dei servizi offerti alla collettività.
Il proseguimento della trattativa sarà cruciale per capire se il governo intenda davvero aprire un dialogo serio o se, come denuncia l’USB, voglia semplicemente chiudere rapidamente un accordo con poche concessioni, sperando di comprare il consenso con incrementi salariali insufficienti.
Ormai tutti i governi di destra e sinistra da tempo hanno capito che non siamo capaci di fare una vera lotta, i sindacati anni ci stanno propinando scioperi che non risolvono niente; propongo ai sindacati che, ai loro associati, nella scuola 🏫 non aderiscano a funzioni aggiuntive, a PCTO, ad accompagnare gli alunni nei viaggi di istruzione e uscite didattiche, ecc. Inoltre i loro avvocati, ogni qualvolta il Ministro dell’ Istruzione di turno parli di adeguamento degli stipendi dei Docenti italiani, lo quereli per calunnia con richiesta di risarcimento danni morali e materiali; inoltre istituire una task force che denunci… Leggi il resto »