Ecco le prime ipotesi in materia di Manovra 2025 emerse dopo il primo vertice di maggioranza del Governo a Palazzo Chigi: l’obiettivo è una politica di bilancio seria più equilibrata e meno votata al sistema dei “bonus”.


Al centro della discussione, la sfida di mantenere l’equilibrio tra la sostenibilità dei conti pubblici e l’implementazione di misure di sostegno destinate a famiglie e imprese. Il tema cruciale resta quello delle risorse economiche, ma un elemento positivo potrebbe derivare dalla crescita del Prodotto Interno Lordo (PIL), che dovrebbe superare l’1%, fornendo un margine per riuscire a inserire altre misure nel pacchetto normativo.

Manovra 2025, ecco tutte le prime ipotesi del Governo

Le risorse attualmente disponibili per la manovra si aggirano intorno ai 20-25 miliardi di euro. All’interno di questo quadro finanziario, alcuni punti cardine sarebbero già stati delineati.

Scopriamo qui di seguito quali saranno.

Capitolo fisco: riduzione Irpef, taglio tasse sul lavoro ed estensione flat tax per le partite IVA

La riduzione dell’Irpef per i redditi medio-bassi rappresenta uno degli interventi centrali della prossima Legge di Bilancio. L’obiettivo principale è quello di ridurre la pressione fiscale su una fascia significativa della popolazione, composta da lavoratori e famiglie che non rientrano nelle categorie più alte di reddito, ma che spesso subiscono il peso maggiore del carico fiscale. Questa misura è pensata per offrire un alleggerimento concreto, garantendo un maggior potere d’acquisto a chi percepisce salari o redditi al di sotto di una certa soglia.

Il taglio dell’Irpef si inserisce in un quadro più ampio di riduzione delle tasse, mirato a rilanciare la domanda interna e sostenere la ripresa economica post-pandemia. Il governo, infatti, considera il miglioramento del reddito disponibile come una delle leve per incentivare i consumi, e dunque sostenere la crescita del PIL. Ridurre l’aliquota Irpef sui redditi medio-bassi è una strategia che, se attuata correttamente, potrebbe avere effetti positivi sia sul piano sociale sia su quello economico, contribuendo a ridurre le disuguaglianze e stimolare la crescita.

In parallelo, un altro tassello importante della politica fiscale riguarda il taglio delle tasse sul lavoro per i dipendenti con redditi fino a 35.000 euro annui. Questa misura, che ha già trovato attuazione negli anni passati, sarà confermata anche per il prossimo anno. Si tratta di un intervento che punta a ridurre il cosiddetto “cuneo fiscale”, ovvero la differenza tra il costo del lavoro a carico dell’impresa e lo stipendio netto percepito dal lavoratore. Ridurre questa forbice significa rendere più conveniente per le aziende mantenere o aumentare l’occupazione, garantendo al contempo salari più elevati ai dipendenti.

Sul fronte dei lavoratori autonomi, una delle novità più attese è l’estensione del regime agevolato della Flat Tax per le partite IVA. Attualmente, chi ha un fatturato fino a 85.000 euro può beneficiare di una tassazione forfettaria, ovvero un’aliquota unica del 15%. Con la nuova manovra, si prevede di innalzare questa soglia a 100.000 euro di fatturato annuo, ampliando così la platea di chi potrà accedere a questo regime fiscale agevolato.

L’aumento del limite rappresenta un’opportunità significativa per molti professionisti e piccole imprese, che potrebbero usufruire di una tassazione semplificata e vantaggiosa rispetto al regime ordinario. Questo intervento è visto come un incentivo per stimolare l’imprenditorialità e il lavoro autonomo, settori che giocano un ruolo chiave nell’economia italiana. Tuttavia, l’innalzamento della soglia potrebbe sollevare alcune critiche, in particolare per quanto riguarda l’equità fiscale, poiché il regime forfettario potrebbe essere percepito come troppo vantaggioso per alcune categorie di contribuenti rispetto ad altre.

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Capitolo famiglie: conferma assegno unico e sgravi contributivi per le mamme lavoratrici

Sul fronte delle politiche familiari, il governo si prepara a consolidare e, dove possibile, potenziare alcune misure già in vigore per il sostegno delle famiglie italiane, con particolare attenzione a quelle più numerose e alle donne lavoratrici. Due strumenti chiave saranno confermati nella prossima Legge di Bilancio: l’assegno unico universale per i figli a carico e gli sgravi contributivi dedicati alle madri lavoratrici.

Assegno unico universale

L’assegno unico è una misura centrale nel panorama del welfare familiare italiano, entrata in vigore nel 2022 con l’obiettivo di semplificare e razionalizzare i numerosi benefici economici precedenti rivolti alle famiglie. Questo contributo universale è destinato a tutte le famiglie con figli a carico fino ai 21 anni di età (o senza limiti di età in caso di disabilità), e viene erogato in misura proporzionale al reddito familiare. A seconda dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE), l’importo dell’assegno può variare sensibilmente, con un incremento per i nuclei con più figli, o per i genitori che lavorano. Questa progressività lo rende un intervento redistributivo importante, mirato a ridurre le disuguaglianze e fornire un supporto concreto alle famiglie meno abbienti, sostenendo al contempo la natalità, che in Italia registra da anni tassi particolarmente bassi.

La conferma dell’assegno unico nella prossima manovra è un segnale di continuità rispetto agli impegni presi dal governo nel voler rendere strutturale questo strumento di sostegno. L’assegno, oltre ad avere un impatto positivo sul bilancio delle famiglie, mira anche a contrastare il declino demografico, fenomeno che preoccupa per le conseguenze a lungo termine sul sistema economico e previdenziale del Paese. Seppur efficace nel garantire un aiuto mensile per le spese legate ai figli, c’è ancora dibattito su come rafforzare questa misura per renderla ancora più incisiva, specialmente per le famiglie con più di due figli e quelle a basso reddito.

Sgravi contributivi per le mamme lavoratrici

Un altro punto cruciale delle politiche familiari è rappresentato dagli sgravi contributivi per le mamme lavoratrici con almeno due figli. Questa misura nasce con l’intento di incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, una delle questioni più delicate e discusse nell’ambito delle politiche sociali italiane. L’Italia, infatti, continua a registrare uno dei tassi di occupazione femminile più bassi d’Europa, una situazione che peggiora ulteriormente per le donne con figli, soprattutto se numerosi.

Gli sgravi contributivi destinati a questa categoria di lavoratrici hanno lo scopo di ridurre i costi legati all’occupazione per i datori di lavoro, rendendo più conveniente l’assunzione o il mantenimento delle donne madri all’interno delle aziende. Questo intervento, inoltre, ha una doppia valenza: da un lato, contribuisce a rendere il mercato del lavoro più inclusivo e bilanciato, dall’altro cerca di ridurre il divario di genere, che in Italia rimane ancora marcato, sia in termini di occupazione sia di retribuzione.

L’idea alla base di questi sgravi è anche quella di sostenere economicamente le famiglie numerose, poiché la presenza di più figli comporta costi elevati e la necessità di conciliare il lavoro con le esigenze di cura. Tuttavia, per rendere davvero efficace questa misura, il governo potrebbe valutare ulteriori incentivi, come il potenziamento di servizi di welfare aziendale, agevolazioni per l’accesso agli asili nido e una maggiore flessibilità lavorativa per le madri.

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Capitolo pensioni: dipendenti pubblici a lavoro (su base volontaria) fino a 70 anni

Il capitolo pensioni rappresenta uno dei temi più delicati e discussi all’interno delle trattative per la Legge di Bilancio. Tra le ipotesi allo studio, spicca la proposta di consentire ai dipendenti pubblici di prolungare volontariamente la propria attività lavorativa fino ai 70 anni di età, superando così l’attuale limite fissato a 67 anni per l’accesso alla pensione di vecchiaia.

Questa proposta nasce da una duplice esigenza. Da un lato, mira a dare maggiore flessibilità ai lavoratori del settore pubblico, offrendo loro la possibilità di scegliere se ritirarsi al raggiungimento dell’età pensionabile standard o continuare a lavorare fino ai 70 anni, su base volontaria. Dall’altro lato, si cerca di alleviare la pressione sul sistema pensionistico, riducendo l’impatto economico che l’invecchiamento della popolazione sta progressivamente esercitando sulle casse dello Stato.

Tuttavia, l’eventuale prolungamento dell’età lavorativa dei dipendenti pubblici pone anche alcune questioni critiche, soprattutto in termini di impatto sul mercato del lavoro e sulle nuove generazioni. L’allungamento della carriera dei dipendenti più anziani potrebbe, infatti, ridurre il turnover all’interno del settore pubblico, limitando le opportunità di ingresso per i giovani. In un contesto come quello italiano, dove il tasso di disoccupazione giovanile è già particolarmente elevato, questo potrebbe rappresentare un problema, rischiando di aggravare ulteriormente la difficoltà delle nuove generazioni di trovare un’occupazione stabile.

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