Tra stabilimenti, concessioni balneari ed erosione del suolo, le spiagge libere italiane sono a rischio: vediamo i dati.


La nostra bella penisola, l’Italia, dovrebbe sviluppare una grandissima estensione di spiagge e zone costiere. Peccato però che, nei fatti, con i suoi circa 120 km2 di superficie complessiva, misuri più o meno come il territorio della Città di Ancona.

Un’area variegata e molto differente, a volte anche a pochi km di distanza, per aspetto, morfologia e caratteristiche territoriali nonché per insediamenti.

Dalle lunghe e large spiagge della costiera Romagnola e Marchigiana, sull’Adriatico, alle spiagge non accessibili, poiché riserva naturale, fino a quelle a picco sul mare, molto sceniche, ma fruibili solamente via mare di vaste aree del nostro bel Paese. Isole ed isolette.

Le spiagge libere sono a rischio? Ecco i dati

Interessanti dati e riflessioni diffusi da ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione e Ricerca, nel suo report diffuso a fine giugno 2024 su “L’evoluzione delle spiagge italiane nel monitoraggio ISPRA della fascia costiera” che disegna una costellazione di piccole spiagge, mediamente profonde circa 35m, e occupano circa il 41% delle coste, ovvero circa 3400 km, su un totale di più di 8300 km.

Agli stabilimenti vanno aggiunte anche le altre strutture di natura antropica e il fenomeno dell’erosione delle coste, che, come sottolineato da un rapporto dell’ISPRA, stanno finendo per restringere sempre più i litorali italiani.

Per chi fosse interessato l’intero convegno di presentazione del report è disponibile in streaming gratuito sul canale Youtube ufficiale di Ispra: https://www.youtube.com/watch?v=OqcJb9X8Hzk

Cambiano i luoghi, soprattutto al sud Italia, meridione ed isole, dove, secondo i dati Unioncamere, si assiste ad una presenza di stabilimenti che cresce a vista d’occhio: dal 2011 a oggi la Sardegna ha di fatto moltiplicato per 3 volte le proprie imprese balneari, la Calabria le ha raddoppiate mentre la Sicilia ha registrato un +75,4%.

Pessimistici i dati diffusi da Legambiente, che ragiona su ordini numerici molto più grandi: solo nel 2021 l’associazione ambientalista contava infatti 12.000 stabilimenti balneari. Nel suo annuale appello a prendere coscienza della situazione di fragilità della costa, “Innalzamento della temperatura e del livello del mare, erosione costiera, eccessiva antropizzazione dei litorali, inondazioni, eventi meteo estremi” l’Associazione accende un campanello di allarme anche sul sempre minore spazio di coste italiane libere da fenomeni di antropizzazione e edificazione.

Il dato su cui tutti gli attori coinvolti concordano, al momento, è quella della ‘confusione’ di dati e numeri, dovuta alla pluralità di fonti ma anche ad un necessario censimento di tutto l’esistente, sempre più stringente perché sollecitato dall’Unione Europea, in merito alla urgenza di un nostro allineamento alla normativa Bolkenstein, sulla concorrenza.

Per redigere questo primo rapporto, il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT) ha considerato i numeri forniti dal SID (Sistema Informativo del Demanio marittimo), includendovi tutta la linea di costa, non solamente quella fruibile, il documento recita testualmente che “per la quantificazione della linea di costa, il tavolo ha ritenuto di considerare tutto il litorale, a prescindere dalla sua morfologia”.

È un dato di fatto che, ad oggi, non esiste un dato ufficialmente riconosciuto valido che fotografi la situazione costiera, mentre le norme che regolano la proporzione tra spiagge libere e concessioni balneari, risultano vaghe e non stringenti poiché non stabiliscono proporzioni specifiche, ma lasciano libera interpretazione affermando che “deve vigere un’adeguata proporzione”.


Fonte: articolo di Rossella Angius