L’italia si conferma fanalino di coda su gender equity ed equità salariale: ancora molta strada da fare in materia di parità di genere, persino in tribunale e tra gli avvocati.


L’ottavo Rapporto sull’Avvocatura 2024 realizzato da Censis e Cassa Forense, ha presentato all’attenzione degli avvocati argomenti come l’intelligenza artificiale e la riforma della giustizia vista attraverso i dispositivi di attuazione previsti dal Pnrr ed ha proposto i dati aggiornati sugli iscritti, sui redditi e sulle pensioni, integrati dalle opinioni degli avvocati sulla propria situazione professionale e sulle prospettive della professione.

Nel corso del ‘900 la crescita delle donne nell’avvocatura è stata graduale e costante, arrivando oggi a rappresentare oltre il 47% degli iscritti all’albo degli avvocati nel 2023 con un dato simile nel 2024, un dato importante se paragonato al 20% dato degli anni ‘90.

Tuttavia, a tale equilibrio numerico, non corrisponde una parità sostanziale, come accade per molti altri settori, nel nostro paese, dal business, alla politica. Maggiore è il livello di rappresentanza, minore la presenza delle donne, come accade negli organi istituzionali o nelle posizioni di vertice degli studi legali.

Ancora lontana la parità di genere, anche in tribunale

Non emergono dati confortanti dal rapporto che anzi individua una ampia, progressiva percentuale della professione forense da parte delle avvocate. “La professione forense, pur vedendo un incremento di avvocate nelle nuove iscrizioni, mostra una netta disparità di reddito e una crescente percentuale di abbandono tra le professioniste” – dichiara Laura Massaro, Responsabile dipartimento Pari Opportunità OCF.

Pesano gli scarsi risultati delle politiche locali di welfare, che ancora oggi costringono molte donne a scegliere tra famiglia e vita professionale, soprattutto in presenza di una professione, come quella legale, spesso poco vincolata ad orari di ufficio. Inoltre, l’accesso limitato a corsi di specializzazione e aggiornamento professionale rappresenta un ulteriore ostacolo. Ultimo tassello che chiarisce i risultati diffusi è la grande disparità salariale.

Sembra che davvero poco sia cambiato dai dati diffusi nel 2020 (rapporto CENSIS 2019) dall’ADGI associazione donne giuriste Italia che riportava come “A parità di età e di localizzazione una avvocata ha un reddito dichiarato inferiore alla metà dell’avvocato uomo. In generale le donne hanno un reddito medio inferiore a quello degli uomini del 58%, in valori assoluti di quasi 30.000 euro, un terrificante gap salariale di genere. Non solo, gli avvocati riescono a raggiungere un livello di reddito superiore alla media (oltre i 41.000 euro l’anno di imponibile IRPEF) a partire dalla fascia d’età compresa tra i 40 e i 45 anni, mentre le avvocate vi arrivano ben quindici anni dopo, al raggiungimento dei 55 anni”. I dati del rapporto 2024  riportano come “le donne avvocato guadagnano in media il 53% in meno rispetto ai colleghi uomini, con una differenza assoluta di quasi 30.000 euro.

Molto c’è ancora da fare sulla rotta tracciata dalla Strategia nazionale per la parità di genere 2021-2026, che si ispira alla Gender Equality Strategy 2020-2025 dell’Unione europea, visto che l’italia anche nel rapporto Global Gender Gap 2024 si posiziona 37esima in Europa e 87esima nel mondo.  Inoltre dovremmo attendere ancora per ricevere i dati riguardanti altre professioni, vista  la proroga della scadenza per la trasmissione al Ministero del Lavoro del Rapporto biennale sulla parità di genere in azienda, slittato al 20 settembre prossimo.

Di norma le imprese devono inviare il documento sulla situazione del personale maschile e femminile, questo biennio esteso alle aziende fino a 50 dipendenti, mentre fino allo scorso biennio riguardava solo le imprese sopra i 100 dipendenti. La modifica è stata prevista dall’articolo 3 della legge 275 del 2021, intervenuta sull’articolo 46 del Codice delle Pari Opportunità (d.lgs 198/2006).

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Fonte: articolo di Rossella Angius