La Corte di Giustizia dell’UE ha affrontato la possibile discriminazione degli stranieri nelle regole di accesso italiane al reddito di cittadinanza: ecco quali sono le motivazioni.


Gli eurogiudici hanno affrontato una questione riguardante i diritti dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo, che risiedono stabilmente in un paese dell’Unione.

Il caso in esame riguarda due cittadine straniere residenti in Italia, accusate di aver fornito dichiarazioni false per ottenere il reddito di cittadinanza, la misura di sostegno economica introdotta nel 2019 e poi ricovertita quest’anno in due diversi sussidi: l’assegno di inclusione e il supporto alla formazione e al lavoro.

Le due donne avrebbero attestato falsamente di soddisfare i requisiti di residenza necessari per accedere a tale prestazione, che prevedeva una residenza di almeno dieci anni in Italia, di cui gli ultimi due in modo continuativo. La somma indebitamente percepita ammontava rispettivamente a 3.414,40 euro e 3.186,66 euro. Il Tribunale di Napoli aveva sollevato la questione, chiedendo chiarimenti alla Corte di Giustizia riguardo alla conformità di tale requisito di residenza con la normativa europea.

Reddito di cittadinanza, l’UE contesta le restrizioni per gli stranieri

La Corte di Giustizia ha esaminato il caso con attenzione, rilevando che il requisito di residenza di dieci anni imposta dall’Italia può configurarsi come una discriminazione indiretta nei confronti dei cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo. Sebbene tale requisito sia applicabile anche ai cittadini nazionali, esso incide principalmente sui cittadini stranieri, tra cui rientrano i soggiornanti di lungo periodo.

La Corte ha quindi analizzato se tale disparità di trattamento potesse essere giustificata sulla base delle differenze nei legami con lo Stato membro. Tuttavia, è stato evidenziato che la direttiva dell’Unione Europea, che stabilisce le norme per il riconoscimento dello status di soggiornante di lungo periodo, prevede un periodo di soggiorno legale e ininterrotto di cinque anni. Questo periodo è considerato sufficiente per garantire pari diritti rispetto ai cittadini del paese di residenza, in particolare per quanto riguarda l’accesso alle prestazioni sociali e alla protezione sociale.

Di conseguenza, la Corte ha dichiarato che uno Stato membro non può unilateralmente estendere il periodo di soggiorno richiesto per i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo per accedere a tali prestazioni. Inoltre, si stabilisce il divieto di penalizzare penalmente le persone per false dichiarazioni riguardanti requisiti di residenza che violano il diritto dell’Unione.

Questa decisione della Corte di Giustizia ha importanti implicazioni per le politiche sociali degli Stati membri, sottolineando l’importanza di garantire un trattamento equo e conforme alla normativa europea per tutti i residenti, indipendentemente dalla loro nazionalità.

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