Con l’ordinanza 16150/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito che ai dipendenti pubblici non può essere applicato un trattamento economico diverso da quello previsto dal CCNL di comparto.


Si tratta di una decisione che segna un punto fermo sulla corretta applicazione delle fonti contrattuali nel pubblico impiego privatizzato.

La controversia

La questione nasce da un contenzioso tra un ex dipendente e l’ente pubblico non economico siciliano (un Consorzio) presso cui lavorava. Impiegato in precedenza come geometra capo lotto, aveva richiesto il riconoscimento delle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori, affermando che tali mansioni erano inquadrabili nel livello A del CCNL Autostrade e Trafori, mentre egli era inquadrato nel livello A1.

Il Tribunale  aveva inizialmente rigettato la domanda, sostenendo che il Consorzio, essendo un ente pubblico non economico, doveva applicare la contrattazione collettiva regionale e non quella destinata alle società che gestiscono strade e autostrade. Tuttavia, la Corte d’appello aveva riconosciuto il diritto dell’impiegato alle differenze retributive, basandosi sull’applicazione del contratto privatistico che il Consorzio aveva adottato, pur riconoscendo che avrebbe dovuto seguire la contrattazione regionale.

Il Consorzio a questo punto aveva impugnato la sentenza della Corte d’appello, sollevando diversi motivi di ricorso, tra cui la violazione dell’art. 24 della L.R. Sicilia n. 10/2000 e l’errata applicazione dell’art. 2126 del Codice Civile. In particolare, il Consorzio sosteneva che non era corretto riconoscere differenze retributive basate su un contratto collettivo privatistico, non applicabile ai dipendenti pubblici.

La decisione della Cassazione: il trattamento economico dei dipendenti pubblici non può prescindere dal CCNL

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del Consorzio, ribadendo che nel pubblico impiego privatizzato, il trattamento economico deve essere determinato esclusivamente dalla legge e dalla contrattazione collettiva di comparto. La Corte ha chiarito che un’amministrazione pubblica non può applicare un contratto collettivo diverso da quello previsto, nemmeno se questo comporta un trattamento economico più favorevole. Inoltre, la Corte ha stabilito che l’applicazione di un trattamento economico diverso, non conforme alla contrattazione collettiva di comparto, è nulla e deve essere ripristinata la legalità mediante la restituzione delle somme corrisposte indebitamente.

Questa ordinanza della Corte di Cassazione rappresenta un importante chiarimento sulla corretta applicazione delle norme contrattuali nel pubblico impiego privatizzato. L’amministrazione pubblica deve attenersi rigorosamente alla contrattazione collettiva di comparto e qualsiasi deroga a tale principio comporta la nullità degli atti deliberativi che dispongono trattamenti economici non conformi. La decisione sottolinea in conclusione l’importanza di garantire l’equità e la legalità nella gestione del personale pubblico, impedendo discrezionalità e favoritismi nell’applicazione dei contratti collettivi.

Il testo della sentenza

Qui il documento completo.