Ancora una volta la Nike e Colin Kaepernick finiscono per fare parlare di se dopo l’ultima campagna pubblicitaria: si tratta di attenzione alla giustizia sociale o di opportunismo?


Colin Kaepernick, l’ex quarterback dei San Francisco 49ers, escluso dal football professionistico sei anni fa per la sua protesta contro le violenze della polizia nei confronti della comunità afroamericana, torna alla ribalta grazie al supporto del suo storico sponsor, Nike. L’azienda lo ha recentemente invitato nel proprio quartier generale in Oregon, dove Kaepernick ha potuto dimostrare le sue abilità lanciando palloni a un gruppo di giocatori di alto livello della National Football League (NFL). Tra questi atleti figurano nomi di rilievo come Derrick Henry, CeeDee Lamb e Jaylen Waddle, tutti sotto contratto con Nike.

Le prestazioni di Kaepernick hanno suscitato entusiasmo tra i giocatori, che non hanno esitato a lodare la precisione e la potenza dei suoi passaggi. Questo evento rappresenta l’ultimo capitolo di una collaborazione iniziata quando Nike scelse Kaepernick come volto della campagna per il 30° anniversario del celebre slogan “Just Do It“. Una decisione audace, considerando che Nike è anche lo sponsor tecnico di tutte le squadre della NFL, il che suscitò ampie discussioni e divise il mondo sportivo tra sostenitori e oppositori.

La protesta di Kaepernick, espressa inginocchiandosi durante l’inno nazionale per sensibilizzare sulle ingiustizie sociali, non mancò di attirare l’attenzione dell’allora presidente Donald Trump, che criticò aspramente il gesto, definendo in modo offensivo i giocatori che seguivano l’esempio di Kaepernick.

La campagna pubblicitaria della Nike che fa tanto discutere

Ma perché Nike ha scelto di continuare a sostenere l’ex giocatore di football nonostante le polemiche? La risposta risiede nella visione commerciale dell’azienda, che ha individuato in Kaepernick il volto ideale per una campagna in grado di generare un significativo incremento nelle vendite. E i numeri sembrano dar ragione a Nike: subito dopo l’annuncio della collaborazione, le vendite sono aumentate del 31%.

Nonostante le proteste che hanno inondato i call center e i social media di Nike, con associazioni di polizia che invitavano al boicottaggio e video di ex-clienti che bruciavano prodotti Nike, l’azienda ha registrato un boom di vendite, dimostrando che la scelta di Kaepernick come testimonial è stata vincente sotto il profilo commerciale.

Tuttavia, non mancano le critiche nei confronti di Nike. Alcuni osservatori sottolineano come la scelta di sostenere Kaepernick possa essere vista come una mossa opportunistica, volta a capitalizzare sulla crescente attenzione verso le questioni di giustizia sociale senza un reale impegno a lungo termine. Nike è stata più volte accusata di ipocrisia, dato che, nonostante le campagne pubblicitarie progressiste, l’azienda è stata oggetto di critiche per le condizioni di lavoro nelle sue fabbriche in diversi paesi del mondo. Questo contrasto solleva dubbi sull’autenticità delle iniziative promosse.

La questione del “data mining” della Nike

Ma a far discutere non è solo il messaggio in sé della campagna pubblicitaria, ma anche il “data mining” utilizzato da Nike, vale a dire l’utilizzo e l’analisi approfondita dei dati forniti da parte degli utenti.

Secondo il Case Study: Nike & Colin Kaepernick “Just Do It” Campaign, a cura di Brian Urvater, Courtney Vandegrift e Renea Nichols, Nike ha anche raccolto dati sulle reazioni complessive dei consumatori alle voci del marchio su questioni sociali e argomenti controversi. In un sondaggio condotto da Sprout Social, a 1.000 consumatori americani è stato chiesto se “le persone vogliono che i marchi prendano posizione su questioni importanti”. Il 66% dei consumatori ha risposto che “è importante che i marchi prendano posizione pubblica su questioni sociali e politiche”. Questa informazione è stata cruciale per la decisione di Nike di lanciare questa campagna perché trasmette ciò che i consumatori cercano in un marchio. Molti consumatori, soprattutto i più giovani, cercano marchi con cui possano connettersi personalmente da un punto di vista etico.

Inoltre, un sondaggio del 2017 di Edelman ha rilevato che “la maggior parte dei millennial (60%) sono acquirenti guidati dalle convinzioni” che si fidano di un’azienda in base all’identità del marchio dell’azienda e alle convinzioni sociali/politiche. Il 53% dei Millennial presta attenzione al modo in cui le aziende da cui acquistano beni e servizi si comportano rispetto alle questioni politiche e sociali. Inoltre, l’80% degli adolescenti, che rappresenta un enorme target di riferimento per Nike, sostiene il movimento Black Lives Matter.

Osservando questa ricerca da un punto di vista economico, le generazioni più giovani sono cruciali per Nike con cui interagire attraverso tattiche come queste. Secondo un articolo di Forbes di Jules Schroeder, “i Millennial hanno 200 miliardi di dollari di potere d’acquisto e la Gen Z ha 143 miliardi di dollari di potere d’acquisto diretto”, un’area di cui Nike voleva sfruttare appieno con questa strategia di campagna.

Considerazioni finali

La decisione di Nike di prendere posizione pubblicamente su una questione sociale e di promuovere Kaepernick per attirare più attenzione e connettersi con il proprio pubblico a un livello più profondo è stata una strategia di pubbliche relazioni accuratamente studiata. Tuttavia, questo solleva una domanda critica: Nike sta veramente cercando di promuovere un cambiamento sociale significativo o sta semplicemente sfruttando una tendenza per aumentare i profitti?

Mentre alcuni applaudono l’azienda per aver preso una posizione forte, altri vedono questo supporto come un tentativo di sfruttare commercialmente una questione sociale delicata.

Questa vicenda sottolinea come Nike continui a puntare su Kaepernick non solo per il suo talento sportivo, ma anche per il potente messaggio sociale che rappresenta, in un periodo in cui l’attenzione alle questioni di giustizia sociale è più rilevante che mai. Tuttavia, resta da vedere se l’azienda riuscirà a mantenere un equilibrio tra l’impegno sociale e le critiche sulla sua coerenza etica


Fonte: articolo di Milena Fortis