Ecco una riflessione di Fabio Ascenzi sulle conseguenze dell’autonomia differenziata sulla scuola e sui possibili rischi per la tenuta del sistema attuale della pubblica istruzione.
La scuola è aperta a tutti. Basterebbero queste sei, semplici, parole dettate nel primo comma dell’art. 34 per qualificare l’importanza attribuita dalla nostra Costituzione al diritto all’istruzione.
La Carta non si ferma però a una semplice enunciazione formale; infatti, così come per l’uguaglianza sostanziale garantita dall’art. 3, anche in questo ambito si è voluto specificare che tale diritto deve essere garantito a tutti i cittadini, precisando nei commi successivi che l’istruzione è obbligatoria e gratuita, e che i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Proprio nel comma finale risulta ancora più evidente l’analogia con l’art. 3, allorché si chiosa che la Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. Quindi la scuola pubblica e gratuita uscita dalla sintesi dell’Assemblea costituente non è solo la formulazione di un diritto fondamentale, ma una vera e propria norma programmatica che deve vedere lo Stato, in tutte le sue articolazioni, impegnato per la più completa realizzazione.
Dovrebbe essere chiaro, pertanto, perché vi sia una forte preoccupazione per gli effetti che le richieste di maggiore autonomia pretese da alcune Regioni possano avere in ambiti come la sanità e l’istruzione, senza dubbio tra i primi in cui il principio di uguaglianza sostanziale posto alla base della nostra Costituzione non dovrebbe mai essere messo in discussione.
Le diseguaglianze irrisolte nella scuola
E invece la scuola è l’altro settore in cui si manifestano le maggiori diseguaglianze irrisolte tra le diverse parti del nostro Paese. Tendenze croniche e storicizzate, che avrebbero già meritato gli interventi necessari a un loro superamento. Ne analizzo alcuni aspetti numerici, che aiutano a comprendere in maniera rigorosa la situazione reale del sistema istruzione pubblica composto, è bene ricordarne le dimensioni, da 8.447 istituzioni scolastiche autonome, 7.154.000 studenti e oltre un milione di lavoratori e lavoratrici.
Dal Rapporto 2022 dello SVIMEZ, Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno, con dati riferiti all’anno scolastico 2020-2021, si apprende che gli alunni della scuola primaria senza servizio mensa in Italia ammontano al 57.94%, con una distribuzione del 46.53% nel Centro-Nord e 78.82% nel Sud.
Nel Mezzogiorno, circa 650 mila alunni delle scuole primarie statali (79% del totale) non beneficiano di alcun servizio mensa. In Campania se ne contano oltre 200 mila (87%), in Veneto poco più di 101 mila (52%). Per effetto delle carenze infrastrutturali, solo il 18% degli alunni del Mezzogiorno accede al tempo pieno, rispetto al 48% del Centro-Nord; pertanto, gli allievi della scuola primaria nel Mezzogiorno frequentano mediamente 4 ore di scuola in meno a settimana rispetto a quelli del Centro-Nord. Alla fine del ciclo della primaria, un bambino del Nord avrà passato a scuola 1.226 ore in più di uno del Sud, cioè circa un anno di formazione aggiuntiva offerta all’uno e negata all’altro.
Proseguendo nel Rapporto, si scopre anche che circa 550 mila allievi delle scuole primarie del Mezzogiorno (66% del totale) non frequentano scuole dotate di una palestra, nel Settentrione sono il 54%. Siffatto divario rimane pure per la secondaria, dove il 57% degli alunni meridionali non ha accesso a una palestra.
E davanti a questi numeri, non credo possa considerarsi casuale che poi si riscontri un tasso di abbandono scolastico molto più elevato nelle Regioni meridionali (16.6%) rispetto a quelle settentrionali (10.4%).
La frammentazione dell’istruzione: un rischio possibile
Un diritto fondamentale qual è l’istruzione, sottesa in molteplici dettami costituzionali anche quando non citata, potrebbe così subire una frammentazione tale da vedere disgregata l’unità nazionale (persino linguistica e culturale) proprio in uno dei suoi principali tratti identitari, e cioè l’educazione dei giovani cittadini.
Con la sua regionalizzazione, infatti, sarebbe forte il rischio che si ingeneri un sistema fortemente competitivo, malsano e incompatibile con i valori della nostra Costituzione, che esigono l’esercizio del diritto allo studio in maniera uguale su tutto il territorio, proprio attraverso il ruolo assegnato alla scuola pubblica, fondata sull’uguaglianza di accesso e sulla pari opportunità di apprendimento.
Il parere della Consulta
La Corte costituzionale, con la sent. n. 200 del 2009, emanata a un decennio dalla riforma del 2001, ha già chiarito che «deve essere garantito agli utenti del servizio scolastico un adeguato livello di fruizione delle prestazioni formative sulla base di standard uniformi applicabili sull’intero territorio nazionale; ferma comunque la possibilità delle singole Regioni, nell’ambito della loro competenza concorrente in materia, di migliorare i suddetti livelli di prestazioni e, dunque, il contenuto dell’offerta formativa, adeguandola, in particolare, alle esigenze locali». E ancora che «il sistema generale dell’istruzione, per sua stessa natura, riveste carattere nazionale, non essendo ipotizzabile che esso si fondi su una autonoma iniziativa legislativa delle Regioni, limitata solo dall’osservanza dei principi fondamentali fissati dallo Stato, con inevitabili differenziazioni che in nessun caso potrebbero essere giustificabili sul piano della stessa logica. Si tratta, dunque, di conciliare, da un lato, basilari esigenze di “uniformità” di disciplina della materia su tutto il territorio nazionale, e, dall’altro, esigenze autonomistiche che, sul piano locale-territoriale, possono trovare soddisfazione mediante l’esercizio di scelte programmatiche e gestionali rilevanti soltanto nell’ambito del territorio di ciascuna Regione».
Concetto ribadito anche un una successiva pronuncia, sent. n. 309 del 2010, dove il Giudice delle leggi afferma che «l’obbligo di istruzione appartiene a quella categoria di “disposizioni” statali che definiscono la struttura portante del sistema nazionale di istruzione e che richiedono di essere applicate in modo necessariamente unitario e uniforme in tutto il territorio nazionale, assicurando, mediante una offerta formativa omogenea, la sostanziale parità di trattamento tra gli utenti che usufruiscono del servizio di istruzione».
Scuola e autonomia differenziata. Quali rischi per il sistema della pubblica istruzione?
Come noto, il testo del Disegno di legge Calderoli prossimo all’approvazione definitiva della Camera prevede che le norme generali sull’istruzione (art. 117 Cost., secondo comma, lett. n) possano essere completamente regionalizzate. E non può tranquillizzare la clausola che si potrà procedere alla concessione dell’autonomia alle Regioni richiedenti solo dopo il finanziamento dei LEP sulle corrispondenti materie. Ne ho affrontato i motivi in alcuni dei miei precedenti articoli, evidenziando le criticità date dal fatto che, pur in presenza di questo limite, diverse materie sono state definite dalla Commissione Cassese non-leppizabili, cioè non vincolate al finanziamento dei LEP, e pertanto immediatamente trasferibili. Ad esse si potrebbero poi aggiungere molte funzioni che, pur ricomprese in materie-Lep, non hanno implicazioni finanziarie e quindi ugualmente sottratte dalla definizione obbligatoria dei relativi livelli essenziali. Nell’ambito dell’istruzione, queste potrebbero interessare nientemeno che il reclutamento e la formazione del personale, il riconoscimento dei titoli di studio nei concorsi, la contrattazione integrativa e la retribuzione, gli organi collegiali, i programmi, i piani di studio, gli orari, i criteri di formazione delle classi, le sperimentazioni ordinamentali, ecc…
Se le richieste delle Regioni più ricche di vedersi riconosciuta la maggiore autonomia ai sensi dell’art. 116 Cost. andassero in porto, le diseguaglianze territoriali e sociali messe in evidenza nei decenni precedenti verrebbero ulteriormente ampliate, tracciando anche in un ambito fondamentale come questo un solco definitivo tra la situazione reale del Paese e il modello solidale dettato dalla nostra Costituzione.
Con buona pace delle speranze di Pietro Calamandrei che, consapevoli della funzione fondamentale dell’istruzione pubblica e gratuita nella costruzione della Repubblica, consideravano l’art. 34 il più importante della nostra Costituzione e prefiguravano la scuola come un vero e proprio organo costituzionale.
Fonte: articolo di Fabio Ascenzi