In occasione della Giornata Mondiale dell’Ambiente, celebrata il 5 giugno, Coldiretti ha diffuso un rapporto allarmante che evidenzierebbe come l’Italia sia a rischio di desertificazione: ma quanto c’è di vero in questi dati?
All’interno del dossier dell’associazione dei coltivatori italiani, basato su dati Ispra e Eswd, oltre il 28% del territorio italiano è a rischio desertificazione. Questa situazione sarebbe il risultato della combinazione tra la diminuzione della disponibilità idrica e i presunti effetti dei cambiamenti climatici. La tesi si baserebbe sui 908 eventi estremi che hanno colpito l’Italia nei primi cinque mesi del 2024, inclusi nubifragi, grandinate e tornado. Questi fenomeni hanno devastato le coltivazioni, allagato terreni e impedito le semine, aggravando ulteriormente la situazione agricola già compromessa.
Secondo Ispra, nel 2023 la disponibilità idrica in Italia è diminuita del 18%, colpendo particolarmente le regioni meridionali. La Sicilia, in particolare, ha vissuto una grave emergenza con gli agricoltori costretti a scendere in piazza a Palermo per chiedere aiuti. Anche Sardegna, Puglia e Basilicata hanno sofferto per la mancanza d’acqua, con effetti devastanti sulla produzione di grano.
Coldiretti sottolinea che il primo quadrimestre del 2024 è stato il più caldo di sempre, con temperature di 1,84 gradi superiori alla media storica.
L’Italia è davvero a rischio di desertificazione? Un’analisi critica del rapporto di Coldiretti
Tuttavia, una revisione critica di questi dati e delle conclusioni suggerite da Coldiretti è essenziale per comprendere appieno la complessità della situazione.
Innanzitutto, va considerato che l’Italia ha sempre vissuto periodi di siccità e maltempo, indipendentemente dalle recenti teorie sul riscaldamento globale. La variabilità climatica è una caratteristica naturale del nostro pianeta e non è un fenomeno nuovo. Gli eventi estremi come nubifragi, grandinate e siccità sono sempre esistiti e attribuire ogni anomalia climatica ai cambiamenti climatici rischia di semplificare eccessivamente una questione complessa.
Lastoria climaticamente variabile dell’Italia
L’Italia ha una lunga storia di eventi climatici estremi. I periodi di siccità sono stati documentati nei secoli, con impatti significativi sull’agricoltura e sulla società. Ad esempio, durante il Medioevo, l’Italia sperimentò diverse fasi di siccità severe che portarono a crisi alimentari e migrazioni. Similmente, il “Piccolo Ice Age” tra il XIV e il XIX secolo portò a inverni estremamente freddi e a variazioni significative nelle precipitazioni, influenzando le pratiche agricole e le risorse idriche.
La variabilità naturale del Clima
La variabilità climatica è un fenomeno naturale che ha sempre caratterizzato il nostro pianeta. I cicli climatici, come quelli di El Niño e La Niña, influenzano periodicamente le condizioni meteorologiche globali, compresa l’Italia. Questi cicli portano a fluttuazioni nelle temperature e nelle precipitazioni che possono causare eventi estremi senza la necessità di invocare il cambiamento climatico come causa principale. Attribuire ogni evento estremo al riscaldamento globale rischia di ignorare queste dinamiche naturali e complesse.
Gli eventi estremi: una costante storica
Nubifragi, grandinate e tornado non sono fenomeni nuovi per l’Italia. Storicamente, il paese ha affrontato innumerevoli tempeste devastanti e condizioni meteorologiche avverse. Ad esempio, nel 1951, le alluvioni del Polesine provocarono una delle più gravi catastrofi idrogeologiche della storia italiana, con migliaia di morti e decine di migliaia di sfollati. Anche negli anni più recenti, gli eventi estremi continuano a verificarsi con frequenze variabili, suggerendo che la natura stessa del clima italiano comprende una componente di variabilità che può spiegare molti di questi fenomeni.
Attribuzioni semplicistiche e il rischio di interpretazioni Errate
Attribuire il rischio di desertificazione in Italia e ogni anomalia ai cambiamenti climatici rischia di semplificare eccessivamente una questione complessa. Gli eventi meteorologici estremi possono essere il risultato di molteplici fattori, inclusi quelli naturali, piuttosto che un’unica causa predominante. Ad esempio, le tempeste possono essere influenzate dalla geografia locale, dai cicli oceanici e dalle variazioni naturali nel clima terrestre. Sostenere che ogni variazione significativa nel clima sia una conseguenza diretta del riscaldamento globale può portare a interpretazioni errate e a una risposta politica e pubblica non adeguatamente calibrata.
Soluzioni tecnologiche e investimenti strutturali
Coldiretti propone l’adozione di tecnologie avanzate come droni, robot e satelliti, nonché investimenti nella manutenzione e gestione delle acque attraverso la creazione di piccoli invasi. Tuttavia, è cruciale valutare l’efficacia reale di queste soluzioni. La tecnologia può certamente migliorare la gestione delle risorse idriche, ma potrebbe non essere necessaria se si considerano i cicli naturali delle precipitazioni e delle siccità. È necessario un approccio che consideri la natura stessa dei fenomeni meteorologici, piuttosto che attribuire tutto ai cambiamenti climatici.
Il ruolo delle istituzioni
L’appello di Coldiretti alle istituzioni per supportare l’agricoltura 4.0 e investire in infrastrutture idriche è valido, ma deve essere visto anche alla luce della possibilità che questi fenomeni climatici estremi non siano così strettamente legati al cambiamento climatico come si crede. Le istituzioni devono prendere decisioni basate su dati concreti e scientifici, considerando tutte le variabili e non solo quelle che supportano una particolare visione del clima.
Fonte: articolo di redazione lentepubblica.it