migrazione sanitaria minoriEcco un’importante riflessione del Dott. Fabio Ascenzi sul fenomeno della migrazione sanitaria dei minori e sulle conseguenze sull’esercizio del diritto alle cure. 


In diversi articoli precedenti ho riportato molteplici fonti che testimoniano quanto ampio e preoccupante sia il fenomeno della cosiddetta migrazione sanitaria nel nostro Paese.

Milioni di cittadini che ogni giorno si vedono negato il diritto ad essere curati nella Regione di residenza, essendo costretti a recarsi in altre a causa della mancanza di servizi omogenei su tutto il territorio nazionale.

Nell’analisi di questo deprecabile fenomeno, merita un ulteriore approfondimento l’impatto sulla popolazione dei minori, dal quale emergono ingiustizie e diseguaglianze ancora più inaccettabili.

Infatti, a maggior ragione quando si tratti di bambine, bambini e adolescenti, garantire il diritto alla salute non significa solo adempiere agli obblighi di uguaglianza sostanziale pretesi dalla nostra Costituzione, ma vieppiù determinare quel pieno sviluppo della persona umana che dovrebbe essere obiettivo prioritario dello Stato, per garantire un futuro di benessere e di opportunità ai singoli cittadini, e di conseguenza anche alla comunità nel suo complesso.

Ma i numeri che su questa tematica rappresentano la realtà italiana sono tutt’altro che incoraggianti.

Migrazione sanitaria dei minori: i dati raccolti

Un importante studio pubblicato su Italian Journal of Pediatrics (PediatrMario De Curtis, Fic interregional healthcare mobility in Italy, a cura di Francesco Bortolan, Davide Diliberto e Leonardo Villani) ha valutato per la prima volta l’entità della migrazione sanitaria dei minori.

Il lavoro è stato enorme, poiché condotto su tutti i 7.871.887 bambini e ragazzi residenti in Italia nel 2019 con un’età inferiore a 15 anni. I dati (ottenuti dal Rapporto annuale sull’attività di ricovero ospedaliero – SDO 2019, pubblicato dal Ministero della Salute) hanno messo in luce che i bambini/ragazzi residenti nel Mezzogiorno rispetto a quelli residenti nel Centro-Nord sono stati curati più frequentemente in altre Regioni (11.9% contro 6.9%), numero che cresce sensibilmente soprattutto quando si considerano i ricoveri ad alta complessità (21.3% contro 10.5% del Centro-Nord).

Il costo della migrazione sanitaria dal Mezzogiorno, dove risiede circa il 35% dei bambini/ragazzi, verso altre Regioni è stato di 103,9 milioni di euro pari al 15.1% della spesa totale dei ricoveri e l’87.1% di questo costo (90,5 milioni di euro) ha riguardato la mobilità verso gli ospedali del Centro-Nord. In termini assoluti la Campania, Regione del Sud con il più elevato numero di bambini 0-14 anni, è quella che spende di più per ricoveri fuori Regione (25 milioni di euro pari al 12% dei costi sanitari per questa fascia di popolazione).

Critiche anche le situazioni del Molise (con un impatto pari al 45.9% di tutte le spese sanitarie per l’assistenza ai minori under 15), della Basilicata (pari al 44.2%), della Calabria (pari al 26.9) e dell’Abruzzo (pari al 26.3%).

In generale è emerso che per i bambini del Sud vi è un rischio del 70% più elevato di doversi spostare in altre Regioni per curarsi. In particolare, per quanti affetti da malattie croniche e rare, tra i più soggetti alla mobilità sanitaria interregionale, considerata la scarsa presenza nelle Regioni meridionali di strutture all’avanguardia per patologie complesse.

Un’altra recente analisi sulla migrazione sanitaria pediatrica in Italia, effettuata da Rita Campi dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri, evidenzia che il numero totale dei ricoveri erogati prima del compimento della maggiore età (0-17anni) è stato di 854.272, con un tasso di ospedalizzazione pari a 9.1 per 100 residenti; un indice di fuga pari all’8.7%: dal 3.4% del Lazio al 43.4% del Molise, il 30.8% della Basilicata, il 26.8% dell’Umbria e il 23.6% della Calabria. Un terzo dei bambini e adolescenti si mette in viaggio dal Sud per ricevere cure per disturbi mentali (il 10% dei casi) o neurologici, della nutrizione o del metabolismo nei centri specialistici convergendo principalmente a Roma, Genova e Firenze, sedi di Istituti di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) pediatrici.

Sembrerebbe evidente che, per recuperare tali divari, sarebbe necessario un ingente investimento di risorse per i servizi sanitari, e probabilmente neppure questo potrebbe bastare se non venisse abbandonata la metodologia sin qui adottata dallo Stato per il finanziamento alle Regioni, rimodulandola su un sistema orientato a intercettare soprattutto i bisogni territoriali non soddisfatti. Nel 2021 la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di 4,25 miliardi di euro.

Si pensi come potrebbe cambiare la situazione poc’anzi rappresentata se solo si cominciasse a trasformare una parte di questo denaro da costi in risorse, investendole poi in quelle parti del nostro Paese che scontano un conclamato deficit di servizi, sia sotto l’aspetto quantitativo che qualitativo.

Migrazione sanitaria dei minori: lo storico dei dati e il confronto con gli altri Paesi UE

Lo storico non è incoraggiante.

Alcuni dati riportati in un lavoro pubblicato dall’OECD (European Observatory on Health Systems and Policies), Italia: Profilo della sanità 2023, ci rivelano che il nostro Paese, fino al 2019, ha dedicato all’assistenza sanitaria una quota di PIL decrescente e inferiore alla media europea e ai principali partner europei, come Germania, Francia e Regno Unito. Nel 2019, cioè prima della pandemia Covid-19, la spesa sanitaria pubblica era pari al 6.4% del PIL, ben al di sotto del 9.8% della Germania, il 9.3% della Francia, o il 7.8% del Regno Unito, e molto simile al 6.5% della Spagna.

La spesa sanitaria a carico delle famiglie, invece, era pari al 2.3% del PIL, mentre in Francia e Germania era pari all’1.9 e 1.8%. Nel biennio 2019-2021, per far fronte alle esigenze imposte dalla pandemia, la spesa sanitaria pubblica ha registrato un’impennata dell’8.3 % in termini reali. Nel solo 2021, la spesa sanitaria in Italia ha rappresentato il 9.4 % del PIL, quindi una percentuale ancora in aumento, ma comunque inferiore all’11% media UE.

In termini pro capite, la spesa si è attestata a 2.792 euro, una cifra inferiore di quasi un terzo rispetto alla media dell’Unione. L’esperienza che ci è stata imposta dalla fase pandemica avrebbe dovuto indurre, come minimo, a mantenere questa tendenza al rialzo per gli investimenti in ambito sanitario. E invece i dati sulla spesa per il 2022 hanno registrato un notevole calo su base annua, che ha visto la spesa sanitaria pro capite tornare a un livello di circa il 2.6 % superiore rispetto al 2019. Tale situazione è stata causata da una riduzione significativa della spesa diretta (-6 %) sommata a un calo più moderato della spesa sanitaria pubblica (-3.5 %), dato dalla minore incidenza delle spese rese necessarie dalla pandemia Covid-19, che sicuramente nel 2021 erano state maggiori.

La legge di bilancio 2022 ha previsto un incremento annuo dell’1.6% per le spese sanitarie, pari a 2 miliardi di euro. Il governo ha assicurato che il fondo sanitario nel 2024 arriverà al massimo storico di 134 miliardi di euro, che corrisponderebbe a un 6.88% in rapporto al PIL. Di contro, appelli di scienziati e premi Nobel italiani proprio in questi giorni hanno lanciato l’allarme delle conseguenze nefaste che avrebbe l’inverarsi della previsione che nel bilancio 2025 sia previsto solo il 6.2% del PIL, una cifra che tornerebbe addirittura inferiore a quel 6.4% registrato nel periodo antecedente la pandemia.

L’emergenza scaturita dal Covid-19 ci ha mostrato, in tutta la sua crudezza, cosa sia significato avere smantellato in gran parte del Paese la medicina territoriale, la diminuzione dei medici di base, la carenza negli ospedali di personale medico e professionale; portando ancora di più allo scoperto le diseguaglianze create dalle disparità sociali e dai divari territoriali. Nella sua drammaticità, l’emergenza di questi anni ci ha consegnato un patrimonio esperienziale senza precedenti: per i numeri, per la specificità, per lo stress-test a cui sono stati sottoposti l’intero Servizio Sanitario Nazionale e le sue articolazioni regionali. Sarebbe davvero delittuoso non prenderne lezione, rendendo strutturali oggi le misure eccezionali intraprese allora.

Al momento, invece, la spesa a carico delle famiglie risulta in costante crescita.

Nella Relazione al Parlamento sulla gestione dei servizi sanitari regionali, depositata dalla Corte dei conti la settimana scorsa, emerge che nel 2022, in Italia la spesa diretta a carico delle famiglie è stata il 21.4% di quella totale, pari ad un valore pro capite di 624.7 euro, in crescita del 2.10% rispetto al 2019, con ampi divari tra Nord (che spende mediamente di più) e Mezzogiorno. Confrontandola con quella dei maggiori paesi europei, a fronte del 21.4% di quella italiana, corrispondente, a parità di potere d’acquisto, a 920 dollari pro capite, l’out of pocket in Francia raggiunge appena l’8,9% del valore totale (corrispondente, per il 2021, 544 dollari pro capite), l’11% in Germania (882 dollari pro capite).

Migrazione sanitaria dei minori: le difficoltà dei cittadini

Dei dati riportati nella Relazione nel suo complesso, sarà utile approfondirne alcuni dettagli in prossimi articoli, ma intanto non può sfuggire come questa situazione evidenziata vada a determinare ulteriori diseguaglianze tra cittadini, essendo condizionata dalle relative posizioni reddituali, alcune delle quali addirittura impossibilitate a farsi carico delle spese per viaggi, trasferimenti, soggiorni fuori sede, assenza dal lavoro.

Secondo dati ISTAT riferiti al 2021, l’11% dei malati ha desistito e rinunciato alle cure per problemi economici, per difficoltà di accesso al servizio e per gli effetti della pandemia (erano il 9.6% nel 2020 e il 6.3% nel 2019). A fronte di numeri così elevati, non è azzardato ipotizzare che molte di queste situazioni abbiano coinvolto proprio bambine e bambini bisognosi di cure.

Come più volte ribadito, nascere o risiedere in luoghi diversi della Repubblica, così come situazioni di diseguaglianze economiche, non possono determinare forme di cittadinanza diverse; anzi, se differenze ci fossero, sarebbe lo Stato a dover intervenire per eliminarle. È difficile immaginare un ambito più giusto, qual è il diritto alla salute dei minori, dove tale principio garantito dalla nostra Costituzione debba essere assolutamente preteso e attuato.


Fonte: articolo del Dott. Fabio Ascenzi